Kumamoto, riflessioni su un disastro «contenuto»

In by Gabriele Battaglia

Da giovedì scorso, due forti terremoti e oltre 300 scosse di assestamento hanno colpito il Kyushu, isola maggiore nel sud del Giappone. Il bilancio è al momento di più di quaranta morti con decine di migliaia di persone sfollate. Intanto, continuano le ricerche e i soccorsi. In totale sarebbero più di 2000 le persone «non in salute», ferite o in stato di shock. Ma anche se i danni sono ingenti, anche per un paese come il Giappone, le misure di informazione e prevenzione hanno evitato danni maggiori. Quella del 14 aprile a Kumamoto, nel sud del Giappone, è stata una notte insonne per migliaia di persone. Alle 21:26 un forte terremoto ha colpito l’isola del Kyushu, nel sud del Giappone. 

Il sisma è stato il più forte degli ultimi cinque anni in termini di intensità, anche se sulla scala Richter ha fatto registrare un grado relativamente basso, 6,4.

Cinque anni fa, il terremoto del Tohoku, di magnitudo 9.0 aveva scatenato uno tsunami alto fino a quaranta metri che aveva inondato gran parte della costa del Nordest del Giappone, provocando la morte di oltre 18mila persone, e innescato l’incidente nucleare di Fukushima.

L’evento di giovedì notte è quindi solo parzialmente paragonabile a quell’evento. Questa volta, nessuno tsunami, nessun problema con le centrali nucleari — in Kyushu si trova infatti quella di Sendai, unico impianto attivo del paese, per ora senza anomalie.

Tuttavia, se rispetto ad altri paesi — tra cui anche l’Italia, particolarmente esposta a eventi sismici — i danni del terremoto di Kumamoto sono stati contenuti qualche motivo c’è. Due su tutti: il flusso continuo di informazioni e le politiche di adeguamento edilizio promosse dal governo di Tokyo nel dopoguerra.

La comunicazione prima di tutto

Uno degli ultimi giorni della mia permanenza a Tokyo ho ricevuto a casa un libretto giallo. Era una guida del governo metropolitano pensata per informare la cittadinanza dell’alto rischio di un terremoto di grande entità nei prossimi anni e invitarli a essere pronti ad affrontare l’emergenza in ogni momento. All’interno c’era un manga di poche pagine che rappresentava una Tokyo devastata.


Una scena dal fumetto Tokyo X Day

Al di là dell’allarmismo, quella guida era il segnale che in Giappone di terremoti si parla, sui terremoti si fa informazione (vista anche la frequenza con cui si verificano forti scosse).

Lo stesso linguaggio è diverso. Quando in Giappone si parla di terremoto, ad esempio, la magnitudo passa in secondo piano. La portata di un sisma è calcolata soprattutto sulla base dello shindo, l’intensità, calcolata su una scala da 1 a 7. È questo valore a dare la portata distruttiva di un evento sismico, nonché un’idea dell’ “avvertibilità” delle scosse per gli esseri umani. Nel caso del terremoto di giovedì sera, lo shindo è stato di 7, il massimo grado nella scala messa a punto dall’Agenzia meteorologica nazionale (Kishocho). Molto forti sono state anche le scosse di assestamento che hanno raggiunto il grado 6 kyo, forte.

Sul sito dell’agenzia è possibile trovare un gran numero di informazioni — come l’intensità avvertita in tutte le località interessate da un sisma — e aggiornamenti in tempo reale. Sono gli stessi dipendenti del Kishocho a coordinarsi con il governo e comparire costantemente in tv per nelle ore successive al sisma per dare dettagli sulla probabilità di nuove scosse e avvisare la cittadinanza di avere prudenza.

Il Kishocho mantiene poi un vasto network fatto di sistemi informatici all’avanguardia e centraline di rilevazione in tutto l’arcipelago che permette di segnalare l’arrivo di un terremoto qualche secondo prima che sia avvertito, sui media tradizionali come tv, radio e telefono, e sempre più via web via email e app. L’anticipo della notifica permette di mettere in atto le prime misure a protezione della propria salute — ad esempio mettere testa e corpo al riparo dalla caduta di macerie sotto un tavolo.

Anche i media hanno un ruolo fondamentale. L’ «early warning» del Kishocho viene ripreso da Nhk, la tv nazionale, che lancia un segnale sonoro specifico in caso di terremoti nel corso di qualsiasi trasmissione. Dopo il terremoto di giovedì Nhk ha subito attivato un servizio di notiziario non stop via internet e un live blog in modo da tenere aggiornate il maggior numero di persone sugli sviluppi del sisma.

 

Dal 2011 i social network sono poi diventati un importante strumento di condivisione e diffusione delle informazioni. In risposta al bisogno di comunicare in situazioni di questo tipo, le tre grandi compagnie telefoniche del paese hanno attivato servizi di Wi-Fi gratuiti su tutto il territorio della provincia di Kumamoto.

Il pesce gatto che fa cadere (anche) i governi

Il Giappone è un paese precariamente adagiato su faglie attive e costellato di vulcani. Eventi distruttivi come terremoti, eruzioni vulcaniche e tsunami non sono certo una novità. Per secoli la responsabilità di questi eventi devastanti fu attribuita, seguendo la tradizione cinese, a squilibri nello yin e nello yang. Non mancavano poi spiegazioni più folkloristiche.

Quella più celebre riguarda un gigantesco pesce gatto che vivrebbe nel fango da cui emerge l’arcipelago giapponese sorvegliato speciale dal dio Kashima. Quando questo però si distrae, il pesce gatto, in giapponese namazu, ne approfitta per sciogliere un po’ i muscoli, inconsapevole delle tremende conseguenze del suo gesto istintivo.


Un namazu-e. Foto credit: thehazardblog.com

Soprattutto nella seconda metà dell’ ‘800 dopo un devastante terremoto nell’attuale Tokyo, divennero molto popolari le stampe, le namazu-e (e significa immagine), che raffiguravano il gigantesco vertebrato. Queste, come spiega in un articolo e in un libro Gregory Smiths della Pennsylvania State University, diventarono per certi aspetti espressione di una critica sociale alla struttura sociale del Giappone shogunale, precorrendo il cambiamento che sarebbe arrivato di lì a poco con la modernizzazione del paese.

I governi moderni sembrano infatti aver capito la lezione. Prevenire i terremoti e adeguare le strutture sia pubbliche sia private a una possibile forte scossa è diventato negli anni un imperativo per la stabilità politica. Gli standard sono stati resi più rigorosi nel 1981 e oggi, stando alle statistiche del governo giapponese, oltre l’85 per cento degli edifici pubblici e l’82 per cento di quelli privati su suolo nazionale sono antisismici.

Questo non è però quasi mai bastato a salvare la politica dalle conseguenze di un sisma. Se il terremoto dello Ansei del 1855 ha accelerato la fine dello shogun, quello del gennaio 1995 a Kobe — insieme con l’attacco terroristico alla metro di Tokyo da parte della setta religiosa Aum Shinrikyo — ha contribuito alla fine prematura del primo governo guidato da un socialista, Tomiichi Murayama; quello del 2011 ha poi messo in seria crisi il Partito democratico, primo partito a rompere il dominio liberaldemocratico in più di mezzo secolo, costretto a cedere a fine 2012 il timone all’attuale primo ministro Shinzo Abe.

E forse questo pensiero ha sfiorato anche il segretario di gabinetto del governo di Tokyo, Yoshihide Suga, primo uomo dell’attuale governo a presentarsi al pubblico dopo il sisma di giovedì. Anche questo terremoto avrà il suo prezzo.

[Scritto per East online]