Dopo venti giorni di prigionia senza uno straccio di prova, il presidente del sindacato degli studenti di Jawaharlal Nehru University (Jnu) Kanhaiya Kumar giovedì notte è stato liberato su cauzione, a condizione che per i prossimi sei mesi collabori attivamente alle indagini delle autorità circa gli elementi «anti-nazionali» presenti nel campus.
Raggiunto l’ateneo nella tarda serata di venerdì, Kumar ha tenuto un discorso di quaranta minuti davanti ai compagni del movimento studentesco. E la stampa indiana parla già di un giovane politico predestinato.Il video del discorso, interamente in hindi (qui il video di Ndtv con un po’ di contesto in inglese, all’inizio; qui la traduzione in inglese), è stato diffuso viralmente sui social network indiani dopo aver impegnato diversi canali all-news nazionali in una diretta inusuale: telecamere da tutto il paese hanno seguito un’ora di discorso e slogan cantati da centinaia di studenti di Jnu. Gli stessi slogan che inizialmente furono portati dalle autorità di polizia come «prove» a carico del leader studentesco, 29 anni, accusato di sedizione. E che proprio giovedì, poche ore prima dell’applicazione della sentenza di libertà su cauzione (arrivata mercoledì), l’Alta corte di New Delhi ha ritenuto assolutamente inconsistenti, tanto da decretare il ritorno in libertà di Kumar nonostante l’opposizione dell’accusa.
Parole di un futuro leader politico?
Il discorso di Kumar si è sviluppato attorno ai temi che solo 20 giorni prima l’avevano condannato a una detenzione che col senno di poi ha dell’assurdo: il termine «azadi» (libertà), utilizzato in particolare dalla comunità kashmira indipendentista, è stato declinato da Kumar contro i molti mali che, secondo lo studente e migliaia di giovani universitari in tutto il paese, attanagliano la nazione indiana: povertà, discriminazione castale, repressione delle minoranze religiose ed etniche, inguistizia di stato, sfruttamento dei lavoratori.
Kumar, in un parallelismo molto efficace, ha dichiarato di volere «libertà non dall’India, ma in India», rivolgendosi in prima persona contro il primo ministro Narendra Modi – la cui passata affiliazione ultracinquantennale con la sigla estremista hindu Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss) ora torna a pesare come un macigno – e contro la ministra delle risorse umane Smriti Irani, il «volto» simbolo dell’ingerenza governativa negli affari universitari del paese.
Le parole di Kumar hanno ricevuto il plauso della quasi totalità dell’opposizione di governo, anche da chi – pur con riserve su parte dei contenuti, espressi facendo proprie parole chiave della lotta socialista e comunista – riconosce al giovane leader studentesco capacità oratorie fuori dal comune.
Modi ha trovato un nemico
Non è chiaro se questo mese vissuto intensamente possa essere un trampolino di lancio per una carriera politica di Kumar, già membro del movimento studentesco espressione del Partito comunista indiano (marxista-leninista). Ma di certo le premesse ci sono tutte, considerando il valore simbolico attribuito ormai unanimemente alla lotta degli studenti indiani contro il governo del Bjp.
Kumar, leader del sindacato di Jnu, col senno di poi risulta il frutto di un errore di valutazione macroscopico da parte delle autorità di governo che hanno fatto scattare la repressione nel campus di Jnu.
Primo tra gli arrestati, vittima di pestaggi da parte di avvocati vicini al Bjp, Kumar è un ragazzo di 29 anni con le idee molto chiare – socialismo, laicismo, uguaglianza – proveniente da una famiglia del sottoproletariato del Bihar: padre ex contadino, ora paralizzato; madre unica lavoratrice della famiglia, guadagna 3000 rupie (intorno ai 40 euro) al mese; un fratello nell’esercito, grazie al quale ha potuto smontare la retoria militarista della destra che contrapponeva i giovani «anti nazionali» di Jnu ai valorosi combattenti che perdono la vita al fronte col Pakistan.
A questo aggiungiamo doti oratorie fuori dal comune, un’opposizione in cerca di un leader-simbolo attorno al quale riorganizzarsi e le prossime elezioni previste per il 2019.
Segniamoci questo nome: Kanhaiya Kumar. Ne risentiremo parlare.
[Scritto per Eastonline; foto credit: theintercept.com]