Kai-Fu Lee contro l'”armonizzazione” del web

In by Gabriele Battaglia

Forte del suo milione di follower, Kai-Fu Lee, ex presidente di Google China, continua a criticare la censura online. Lo fa da Twitter, e non più sui social network cinesi, su cui non gli è più possibile twittare. Eppure, qui Kai di follower ne ha 30 milioni. Un’audience da tv o radio locale, che ha spaventato Pechino. Kai-Fu Lee, dal 2005 al 2009 presidente di Google China e prima ancora assunto alla Microsoft è stato “armonizzato”. Negli ultimi tre giorni non gli è stato possibile aggiornare i suoi tweet sui più popolari microblog cinesi (Sina e Tencent Weibo). Lee, non si è perso d’animo ed è passato su Twitter con questo messaggio: “sono stato silenziato sia da Sina che da Tencent per tre giorni, quindi chi vuole può trovarmi qui”.

Kai-Fu Lee, è nato a Taiwan e ha cittadinanza statunitense. Oggi è presidente e amministratore delegato di Innovation Work, un incubatore di aziende che operano nel campo della tecnologia che fa base a Pechino. Su Twitter ha quasi un milione di follower, niente se confrontato ai 30 milioni che lo seguono sui microblog cinesi. È vero che Twitter non è accessibile dalla Cina, ma basta un proxy o una vpn per scavallare il cosiddetto grande firewall cinese, e sono in molti i cinesi che sono in grado di farlo.

Pensate se i suoi 30 milioni di follower cinesi cominciassero a seguirlo su Twitter, Lee diventerebbe il quarto personaggio pubblico più seguito al mondo, appena dopo Justin Bieber, Lady Gaga e Katy Perry. E ha la stoffa per farlo. Appena qualche ora dopo aver denunciato di essere stato censurato – senza mai usare la parola invisa al regime – ha citato una frase del prossimo presidente Xi Jinping che ha fatto i titoli dei giornali nell’ultimo mese: “il Partito comunista dovrebbe essere in grado di accettare anche le critiche più affilate”. Non si può certo affermare che al ragazzo manchi l’ironia.

Il quarantenne Lee aveva più volte criticato sui suoi account di microblog il controllo governativo su Internet. Qualche giorno fa aveva riassunto un articolo del Wall Street Journal che metteva in evidenza come i controlli sull’intranet cinese rallentassero di molto la rete e quindi inficiassero in maniera considerevoli le aziende (straniere e non) che lo usavano per lavoro e il loro giro di affari. All’inizio di quest’anno aveva anche espresso il suo personale supporto alla redazione del settimanale di Guangzhou Nanfang Zhoumo, che scioperando contro la censura aveva riacceso il dibattito sulla libertà di espressione nell’ex Impero di mezzo. Come se non bastasse, in un discorso di settembre al World Economic Forum di Tianjin aveva espresso la convinzione che i social media fossero uno strumento in crescita utilissimo per combattere la corruzione.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata probabilmente l’esplicitazione delle critiche alla direzione di Jike, un motore di ricerca lanciato due anni fa dal sito del Quotidiano del Popolo, la voce del Partito comunista. Un sito in lingua cinese che condivideva con il guru dell’internet cinese le critiche al motore di ricerca, è stato esso stesso censurato. Sicuramente una coincidenza da non sottovalutare.

Il punto della questione ce lo spiega un blog dedicato specificatamente alla tecnologia, Huxiu. Lee denunciava che il denaro che lo Stato investiva in Jike era sprecato. Innanzitutto, come motore di ricerca non poteva assolutamente competere con Baidu, il cosiddetto google cinese, che occupa più del 70 percento del mercato, e neppure con Qihoo, altro motore di ricerca in mandarino che si è accaparrato il 10 per cento, diventando così la seconda azienda sul mercato.

Lee aveva anche criticato la decisione dell’azienda di scegliere come amministratore delegato Deng Yaping, ex campione di ping pong a livello olimpico. Terzo punto, e sicuramente non secondario, girano voci incontrollabili sul fatto che Jike sia pronta a licenziare un quarto dei suoi 400 dipendenti. La compagnia ha negato dalle pagine del Global Times, ma essendo quest’ultimo lo spin off in lingua inglese del Quotidiano del popolo, la dichiarazione lascia il tempo che trova.

Un altro punto da tenere in considerazione è quello messo in evidenza da Bill Bishop, uno dei più famosi consulenti It a Pechino. “Puoi dire la tua con franchezza se hai uno o due milioni di fan, ma se ti seguono in 30 milioni la tua voce è paragonabile a quella di una tv o una radio locale” – ha spiegato Bishop a Bloomberg. Per poi aggiungere: “non conosco molte altre persone che ne hanno così tanti”.

[Scritto per Lettera43; foto credits: blogs.cfr.org ]