Irom Sharmila: l’attivista gandhiana contro le violenze dell’esercito indiano

In by Simone

Irom Sharmila lo scorso 14 marzo ha compiuto 44 anni. Dal 2000 sta portando avanti uno sciopero della fame e della sete, nella migliore tradizione della non-violenza gandhiana, contro l’applicazione nel suo stato – il Manipur – del controverso Armed Forces (Special Powers) Act (Afspa) del 1958, che garantisce alle forze dell’ordine poteri da legge marziale in territori «sensibili». Una deroga che in Manipur come in gran parte degli stati del nord-est indiano (e il Jammu Kashmir) si traduce in sistematiche violazioni dei diritti umani da parte del braccio armato della legge di New Delhi.Lo sciopero della fame e della sete di Irom Sharmila, iniziato all’età di 28 anni, se da un lato è diventato uno dei simboli della lotta non violenta contro le angherie dello stato indiano, dall’altro anno dopo anno mostra i limiti della modalità di protesta quando si ha a che fare con un governo come quello indiano – indipendentemente dal colore politico – assoluatemente impermeabilie a qualsiasi tipo di pressione sul tema vago e populista della «sicurezza nazionale», coadiuvato da un sistema legale che continua a criminalizzare il tentato suicidio.

Cos’è l’Afspa
Ma facciamo un passo indietro e parliamo un po’ dell’Afspa. La legge, varata nel 1958 per contrastare le istanze indipendentiste degli stati di Assam e Manipur, è stata mutuata dal governo indiano da un’ordinanza promulgata dalla reggenza britannica nel 1942 per combattere con maggiore efficacia, ironicamente, la disobbedienza civile organizzata da Gandhi nel movimento Quit India.

Nella versione aggiornata del 1958, l’Afspa dà alle forze dell’ordine «poteri speciali» in caso di gestione del dissenso in territori «sensibili»: tra gli altri, arrestare senza mandato chiunque «minacci l’ordine pubblico»; sparare, previo «avviso», anche per uccidere, contro chi «minacci «l’ordine pubblico»; completa immunità legale: sotto l’Afspa i membri delle forze dell’ordine non possono essere né denunciati né sono tenuti a rispondere davanti alla legge di presunte azioni illegali o violazioni dei diritti umani.

L’Afspa, inizialmente esteso unicamente in Manipur e Assam, negli anni è entrato in vigore anche nel resto delle cosiddette «sette sorelle» del nordest (Nagaland, Tripura, Meghalaya, Arunachal Pradesh, Mizoram) e, dal 1990, nel Jammu Kashmir, dando la stura alla militarizzazione del territorio e alla soppressione del dissenso con mezzi straordinari. Una serie di reparti specializzati dell’esercito indiano ancora oggi agisce secondo le direttive dell’Afspa nei territori sopra elencati – escluso il Tripura, dove lo scorso anno il governo del Left Front lo ha abolito – imponendo sul territorio quella che è a tutti gli effetti una legge marziale prolungata.

Vittime, omicidi «di stato» e arresti arbitrari si contano a migliaia, tanto che l’Afspa è generalmente considerato dalla comunità internazionale – dall’Onu in giù – una norma lesiva dei diritti umani. Ai ripetuti appelli delle ong e organizzazioni trasnazionali per il superamento dell’Afspa, l’India ha sempre risposto con un rifiuto.

Una protesta lunga 16 anni
Nel 2000, dopo l’assassinio di 10 persone che stavano aspettando un autobus nella cittadina di Malom – che gli attivisti locali imputano agli uomini del reparto paramilitare Assam Rifles, mai perseguiti per legge per effetto dell’immunità garantita dall’Afspa – Irom Sharmila decide di entrare in sciopero della fame e della sete, finché la legge sui poteri speciali dati alle forze dell’ordine non fosse stata ritirata dal governo locale.

Il governo locale, negando il valore politico della protesta di Sharmila, la denuncia ai sensi della legge 309 del codice penale indiano, che criminalizza il tentato suicidio. La legge prevede una detenzione massima di 365 giorni.

Sharmila viene tenuta in stato di detenzione presso l’ospedale Jawaharlal Nehru di Imphal, dove i medici – per ordine del tribunale – procedono all’alimentazione forzata tramite sondino nasale.

E ogni anno, per 16 anni, alla scadenza dei 365 giorni di detenzione legali, si ricomincia da capo: Sharmila viene scarcerata e dichiara di non aver alcuna intenzione di interrompere lo sciopero della fame e della sete; dopo un paio di giorni i medici la visitano, constatando un preoccupante stato di disidratazione che minaccia la vita di Sharmila; la polizia ne ordina l’arresto; viene di nuovo accusata ai sensi della legge 309; riprende l’alimentazione forzata col sondino.

In tutti questi anni, i vari governi che si sono succeduti alla guida del Manipur hanno promesso all’elettorato il ritiro dell’Afspa, salvo poi rimangiarsi tutto ad elezioni vinte. E non fa eccezione il governo attuale dell’Indian National Congress, che imputa al governo federale di New Delhi l’impossibilità di procedere all’abolizione dell’Afspa in Manipur, nonostante il caso del Tripura dimostri vero il contrario.

Siamo quindi di fronte a una ciclicità deteriorante: Sharmila non ha intenzione di demordere, giustamente; il governo e il sistema legale indiano per contro rimangono sulle proprie posizioni; l’Afspa, con le violenze di stato che comporta, continua ad essere in vigore in Manipur e a farne le spese è sempre la popolazione locale.

Il limite di una protesta giusta, nobile e non violenta fatta contro chi non vuole sentir ragioni e, stando così le cose, non ha davvero nulla da perdere.

[Scritto per Eastonline]