La campagna elettorale di Narendra Modi, esponente della destra indiana favorito alle prossime elezioni previste per maggio, si muove su binari paralleli: una presenza costante sui media e social network, per catturare il voto della middle class, e comizi nelle campagne intrisi di populismo. Il caso dei copricapi regionali indossati da NaMo in India è già tragicomica leggenda.
Per quanto entusiasmo – o livore – riversino online da anni gli Internet Hindus per sostenere NaMo lungo il cammino che lo porterà all’ineluttabile vittoria nelle prossime elezioni generali di aprile/maggio, e per quanto i professionisti del web si sforzino di aumentare in ogni modo il gradimento percepito dei candidati committenti, naturalmente con l’appoggio più o meno palese dei vari media di riferimento, il 70 per cento degli Indiani continua a vivere nell’India rurale e dei piccoli centri.
E lì conta ancora e sempre il comizio, lo slogan a effetto tradotto e scandito in lingua locale e soprattutto l’identificazione degli elettori con il candidato, la loro percezione diretta riguardo alla determinazione dei politici di fare proprie le loro istanze: non per nulla la maggioranza degli stati indiani è governata da partiti regionali a base castale, religiosa o linguistica ed è la danza delle alleanze tra questi e i due partiti nazionali, Congress e Bjp, a determinare di volta in volta la compagine di governo a New Delhi.
Qualunque politico nutra serie ambizioni nazionali è tenuto dunque a visitare non solo ogni stato dell’Unione Indiana, ma anche, possibilmente, ogni comunità, ogni distretto, ogni gruppo sociale e religioso significativo, cercando di mostrarsi sempre un po’ più disponibile dei suoi avversari a rappresentarne i membri e le aspirazioni quasi fosse Uno di Loro.
In una terra dove già nel suo insieme l’abito fa ancora parecchio il monaco, non esiste però oggetto che possa vantare funzioni identitarie più efficaci e immediate a questo fine di un copricapo: l’aveva già intuito Gandhi al momento di disegnare quello che doveva diventare il Gandhi-Cap, simbolo della lotta per l’Indipendenza recentemente riportato in auge dal Partito dell’Uomo Comune (Aap) e d’altronde anche noi italiani negli scorsi anni abbiamo avuto una certa esperienza dell’uso di cappelli e berretti vari a scopo propagandistico.
Offerti tradizionalmente in segno di rispetto, di riconosciuta leadership o di accoglienza, acconciati in diverse fogge e selezionati per colore a seconda della circostanza, indossati come simbolo d’appartenenza regionale, religiosa, castale o di status, i copricapi tradizionali indiani offrono davvero infinite varianti anche nell’ambito di comunità analoghe e originarie di zone attigue, e come tali vengono quindi ostentati più o meno da tutti i politici durante i numerosissimi appuntamenti previsti dalle loro campagne elettorali.
Ma forse nessun politico indiano fino ad ora aveva mai avuto un problema d’affermazione identitaria a livello nazionale così grande quanto quello di Narendra Modi, sospettato da più parti non solo di convinto sciovinismo religioso ai danni delle minoranze non induiste del paese, ma anche di scarso senso patriottico per l’India-Nazione in sé, di palese campanilismo verso il suo Gujarat d’origine e di favoritismi tattici, oltre che ideologici, verso determinati gruppi castali a discapito di altri.
Così, forse nel tentativo d’infondere fiducia nell’elettorato del paese intero in ogni sua sfumatura etnica, sociale e culturale, NaMo sta ora collezionando il più straordinario campionario pubblico di turbanti, tiare e copricapi vari che si sia mai visto su una testa sola nella storia dell’India, in un tripudio folkloristico notato e ripreso ormai dalla stampa indiana al completo.
Un défilé che, nel pieno del crescendo elettorale, si sta arricchendo quotidianamente di così tanti nuovi e pittoreschi look da aver però inevitabilmente riportato alla memoria dei più attenti anche l’ignominioso rifiuto opposto da Modi al modesto zucchetto islamico offertogli da un anziano Imam sufi durante una manifestazione del 2011 proprio nel suo Gujarat.
Considerato che l’ombra più grave che perdura sul candidato premier della destra nazionalista induista è sempre la sua presunta complicità nel terribile pogrom subìto dalla comunità islamica nel 2002, durante il suo primo governo in Gujarat, tra un topi dell’Himachal Pradesh e una tiara infiorata in Tamil Nadu, tra un copricapo tribale dei Naga e un pagri rajasthano, ostentare un umile e universale copricapo islamico, in rappresentanza degli oltre 180 milioni di cittadini musulmani indiani, potrebbe rendere decisamente più credibile l’intera operazione simpatia messa in atto da Modi.
Anche se naturalmente il rischio è quello di alienarsi a cambio i più estremisti tra i suoi sostenitori: comunque vadano a finire le prossime elezioni, l’ormai "rauca democrazia indiana" – come l’ha definita recentemente Fareed Zakaria – trarrebbe dal suo gesto un sicuro giovamento e potrebbe magari anche favorire la produzione futura di quei Do di Petto che ormai da troppo tempo mancano dal repertorio indiano.
[Pubblicato su Guidaindia; foto credit: latesthdwallpaper.com]
*Alessandra Loffredo è fondatrice e redattrice di GuidaIndia