UPDATE India – Scontro generazionale nella destra indiana

In by Simone

Il futuro della destra indiana ha un solo nome: Narendra Modi. Il chief minister del Gujarat, elevato a massima autorità per la prossima campagna elettorale del Bjp, è però inviso al grande vecchio Advani che, messo in minoranza, ha deciso di far saltare il banco dimettendosi dal suo partito. (UPDATED)
18:27 ora indiana – Update
Rajnath Singh, presidente del Bjp, ha appena annunciato che Advani accoglie la decisione del partito di non accettare le sue dimissioni. Pare sia stata decisiva l’intercessione di Mohan Bhagwat, leader della formazione estremista hindu Rss, che sarebbe riuscito a convincere Advani a ritornare sui propri passi. In sostanza: polvere spazzata sotto il tappeto e torniamo ai finti sorrisi.


La storia

Scene di permalosità senile. E’ il triste spettacolo riservato a chi segue l’evolversi degli eventi in questa stagione della politica indiana che alla malattia dell’immobilismo cerca di rispondere, a modo suo, con un rinnovamento perlomeno esteriore.
Il tempo stringe, nel 2014 si torna alle urne per eleggere il governo nazionale, e dalle parti dell’attuale opposizione si prova a bruciare le tappe, ricompattarsi ed organizzare una campagna elettorale senza sconti.

Da mesi il volto più spendibile del Bharatiya Janata Party (Bjp) è Narendra Modi. Sessantadue anni, chief minister del Gujarat – stato dell’India nord-occidentale elevato a modello vincente di amministrazione conservatrice e progresso economico – leader elevato per acclamazione a promessa di una nuova “destra indiana” capace di far convivere l’aderenza alla tradizione hindu con le aspirazioni di una middle class affamata di soldi, modernità, successo, riconoscimento internazionale.

La svolta, ampiamente preannunciata da un battage mediatico in grande stile, è arrivata nel weekend. Durante la convention del Bjp convocata a Goa, NaMo – questo il nickname coniato dall’entourage di Modi per strizzare l’occhiolino alla gioventù indiana – viene nominato “all’unanimità” a capo dell’election panel per il 2014; l’autorità di peso chiamata a definire le strategie e gli equilibri interni al secondo partito indiano in vista delle prossime elezioni.

Quando Rajnath Singh, presidente del Bjp, ha scandito il nome di Narendra Modi, dalla folla si è levato il classico coro “Na-Mo! Na-Mo! Na-Mo!”, slogan che sentiremo allo sfinimento nel 2014.
Ma all’interno del Bjp, un partito attraversato da decine di correnti a livello territoriale ed ideologico – a partire da quelle dell’estremismo hindu di Rss, Vhp, Shiv Sena – non tutti hanno accolto con favore il ricambio generazionale.

L.K. Advani, storico leader ultraottantenne del Bjp e – fino a pochi giorni fa – autorità indiscussa all’interno della destra indiana (che ricalca le dinamiche sociali di rispetto e devozione assoluta verso i più anziani), per la prima volta in 33 anni aveva rinunciato a partecipare al meeting nazionale del partito, adducendo “motivi di salute”.

Non era un segreto che Advani osteggiasse l’ascesa di Modi all’interno del Bjp. NaMo è dotato di carisma, grandi doti oratorie e una sterminata vanità mista ad un malcelato culto della personalità. Un Bjp a trazione Modi, è opinione diffusa, diventerebbe un partito-personale – come di fatto già è diventato proprio in Gujarat – indebolendo il meccanismo di fili e burattini che ha permesso ad entità a metà tra la politica e la società civile – come gli estremismi hindu di cui sopra – di manovrare a distanza i vertici della formazione politica a capo della coalizione d’opposizione.

Modi non è personaggio manovrabile; molto meglio, secondo il grande vecchio Advani, spingere sul chief minister del Madya Pradesh, quel Shivraj Singh Chouhan che tanto ricorda, per devozione al partito e spirito mite, l’ultimo primo ministro espresso dal Bjp a Delhi, Atal Bihari Vajpayee (ultimo mandato: 1999-2004).

Messo pubblicamente in minoranza, Advani ha deciso di far saltare il banco, consegnando a Rajnath Singh le proprie dimissioni dai tre principali consessi del partito: National Executive, Parliamentary Board ed Election Commitee.

Advani, nella lettera che subito è diventata di dominio pubblico, spiega come “da qualche tempo mi risulta difficile riconciliarmi con l’attuale funzionamento del partito o con la strada che sta intraprendendo”. Traduzione: l’affare Modi non mi è piaciuto.

Una dichiarazione bomba per la stampa e un atto di forza arrivato di sorpresa all’establishment del Bjp che sperava in una transizione di potere in sordina, una presa di coscienza da parte di Advani che i tempi sono cambiati e bisogna far largo alle nuove generazioni (sì, anche in India i sessantenni sono considerati nuove generazioni).

Così non è stato e la mossa di Advaniji ha costretto la leadership hindu a una serie di atti dovuti: la presidenza respinge le dimissioni, fiume di dichiarazioni a negare una crisi all’interno del Bjp e ribadire il ruolo centrale e fondamentale che Advani è chiamato a giocare nella prossima stagione politica, massime cariche politiche del partito – Sushma Swaraj, capa dell’opposizione alla camera bassa, ed Arun Jatley, capo dell’opposizione alla camera alta – ad implorare un ripensamento di Advani mantenendo però la posizione della maggioranza espressa a Goa: il futuro del Bjp si chiama Modi.

Il tira e molla è ancora in corso. Advani, in silenzio stampa, si gode lo scompiglio creato dalla sua lettera; gli alleati del Bjp provano a riposizionarsi, storcendo il naso davanti alla prospettiva della leadership di Modi ed al trattamento “irrispettoso” riservato ad uno dei pilastri della destra indiana; Modi non rilascia dichiarazioni e continua per la sua strada, fingendo di spiacersi per la decisione presa dal suo mentore di un tempo.

Il tempo gioca a favore di NaMo, personalità politica di spiccata intolleranza religiosa invischiata – direttamente o meno lo decideranno i tribunali, secondo le ere geologiche della burocrazia indiana – nei pogrom del 2002 contro le comunità musulmane del Gujarat. Episodio che fino ad alcuni mesi fa gli valse un trattamento da appestato da parte della comunità internazionale, con richieste di visto negate da Stati Uniti e Regno Unito.

Bazzecole che i tassi di crescita del Gujarat – che Modi millanta attorno al 10 per cento, contro il 5 scarso dell’India federale – hanno già aiutato ad appianare, con Londra decisa a riabilitare Narendra Modi in virtù di maggiori scambi ed accordi commerciali col “Vibrant Gujarat”.

Si sta per aprire l’era Modi e Advani – assieme al terribile passato che rappresenta – non può che opporvi la cocciutaggine dell’uomo d’apparato. Gli strepiti di una politica che la destra indiana vuole lasciarsi alle spalle.

[Foto credit: currentnews.in]