India – Panico per lo spauracchio Wal-Mart

In by Simone

Il governo Singh ha proposto l’entrata di multinazionali nel mercato della vendita al minuto, aprendo le porte a giganti come Wal-Mart e Tesco. La popolazione, fomentata dal populismo del BJP e dei seguaci anti-corruzione di Anna Hazare, è entrata nel panico, schierandosi violentemente contro la riforma.
Doveva essere la sessione parlamentare risolutiva, quella che avrebbe partorito – non senza dolore – una legge anti-corruzione degna di questo nome, placando le ire di Anna Hazare e permettendo al baraccone della politica indiana di proseguire oltre.

La dura contestazione delle opposizioni in aula aveva già rallentato i lavori, ma martedì 29 novembre la proposta sull’entrata delle multinazionali nel mercato indiano della vendita diretta al consumatore ha gettato nel caos l’intero Paese e la sua già balbettante dialettica politica.

La misura prevede l’entrata nel mercato indiano di investimenti diretti stranieri (Foreign Direct Investment, FDI): negozi multi-marca per il 51% a capitale straniero e rivenditori monomarca stranieri al 100%.

Una simile apertura vedrebbe l’ingresso nella catena dal produttore al consumatore di colossi come Wal-Mart e Tesco, eventualità che le opposizioni del Paese descrivono come “un incubo per contadini e piccoli rivenditori locali”.

Il Bharatiya Janata Party (BJP), principale partito di opposizione, ha guidato una protesta ininterrotta all’interno del parlamento indiano, impedendo il regolare svolgimento dei lavori a suon di urla e schiamazzi e minacciando di far saltare ogni discussione ufficiale finché il Congress non ritirerà la proposta sugli FDI.

Giovedì 1 dicembre centinaia di migliaia di fruttivendoli, drogherie, supermercati e kirana shop – empori dove sono disponibili svariati tipi di merce – hanno risposto all’appello della Confederation of All India Traders, incrociando le braccia per tutta la giornata e paralizzando di fatto la vendita di merci in buona parte del Paese.

Migliaia di persone si sono riversate nelle strade per manifestare il proprio dissenso: in Rajasthan i manifestanti hanno bruciato loghi di cartone delle multinazionali più note e fantocci di paglia raffiguranti il premier Manmohan Singh, mentre a Lucknow – Uttar Pradesh – si sono scontrati con le forze di polizia.

La protesta a livello nazionale è stata spalleggiata dal BJP, dal Partito Comunista Indiano (Marxista – Leninista) e dagli attivisti anti-corruzione legati ad Anna Hazare, che riguardo l’entrata di FDI nel mercato indiano aveva dichiarato alla stampa: “Gli inglesi arrivarono in India per commerciare, poi regnarono per 250 anni. Volete ricondurci un’altra volta in schiavitù?

Nel caos populista generatosi attorno alla proposta del governo – che, è bene specificarlo, costituzionalmente non necessita dell’appoggio del parlamento per renderla effettiva – si sono quasi completamente persi di vista i pro e i contro di una simile riforma strutturale del mercato interno indiano.

L’opinione pubblica, mai come in questo periodo così sensibile alle spinte demagogiche delle opposizioni e degli attivisti extra parlamentari come Anna Hazare, ha percepito la manovra come una svendita del mercato indiano alle multinazionali straniere operata da una maggioranza descritta dalle opposizioni come “al soldo di Wal-Mart”.

A differenza di Cina, Russia e Brasile, che da anni hanno permesso a rivenditori al dettaglio stranieri di operare all’interno dei propri confini – basti pensare a Carrefour e Wal-Mart – in India le grandi multinazionali del settore sono relegate alla vendita all’ingrosso, lasciando spazio ad un tessuto locale di piccoli rivenditori, intermediari e contadini.

Solo nelle grandi metropoli sono presenti ipermercati e centri commerciali come Big Bazaar e Star India Bazaar, rispettivamente controllati dalle indiane Pantaloon Retail e Tata Group.

Tutto il resto del Paese si rifornisce in una miriade di negozietti, baracche di legno e venditori che espongono la merce del giorno sopra teli stesi ai margini delle strade: una fetta di società indiana che, vedendo minacciata la propria sopravvivenza dall’ingresso di competitori stranieri, è risoluta nell’opporsi alla riforma.

Pranab Mukherjee, ministro delle Finanze indiano, ha provato ad illustrare più in profondità la proposta del governo, spiegando all’Hindustan Times che la riforma è “un dovere per la crescita” e chi si oppone ha delle “strette visioni politiche”.

Senza contare che il BJP, al governo nove anni fa, aveva già proposto l’entrata nel mercato della vendita al dettaglio indiano di aziende completamente a capitale straniero, senza nemmeno la soglia del 51% prevista dall’attuale amministrazione.

La riforma del sistema della vendita al minuto indiana, con l’ingresso di competitori internazionali, secondo il governo porterà 10 milioni di posti di lavoro, aiuterà a frenare l’inflazione – che attualmente nel mercato ortofrutticolo viaggia intorno al 10% – e permetterà l’eliminazione degli intermediari tra rivenditore e produttore, portando contemporaneamente ad una maggiore rendita per i contadini e ad un abbassamento dei prezzi al consumatore.

Inoltre, parte integrante dell’accordo prevede 100 milioni di dollari di investimento in 5 anni per ogni azienda straniera, l’impegno di rifornirsi per il 30% da produttori indiani e il permesso di costruire punti vendita esclusivamente in 53 città indiane, ciascuna di almeno un milione di abitanti.

Kishore Biyani, presidente di India Future Group, sostiene che una riforma simile porterebbe alle casse indiane otto miliardi di dollari in cinque anni, una cifra che Delhi vorrebbe investire nell‘ammodernamento delle infrastrutture nazionali per il trasporto delle merci.

Il mercato indiano della vendita al minuto ha un valore stimato intorno ai 450 miliardi di dollari, ma si poggia su dinamiche superate ed infrastrutture decisamente scadenti.

Anand Sharma, ministro del Commercio indiano, ha spiegato che a causa dello stato precario in cui versano le arterie stradali nazionali, in aggiunta ai continui cali di tensione nella rete elettrica e all’assenza di celle frigorifere per il trasporto di merci deperibili, il 30% dei prodotti agricoli non arriva nemmeno sui banchi del mercato.

Di quel 70% non marcito nel trasporto, il venditore stesso ne butta un ulteriore 30%, poiché non riesce a mantenerlo in fresco fino alla fine della giornata. “Teoricamente, quindi, la catena è inefficiente al 50% […]scrive Sushil Bhan sul magazine indipendente Tehelka.
Secondo Bhan l’entrata di giganti come Wal-Mart e Tesco potrebbe spronare il mercato indiano verso quelle riforme strutturali necessarie per diventare competitivi a livello internazionale.

Un cambio di passo che la politica indiana, imbrigliata in un immobilismo straziante da tre anni a questa parte, ha rimandato per troppo tempo: “Gli investimenti diretti stranieri nel mercato indiano al minuto – conclude Bhan – simboleggiano la presa di coscienza del Paese che il suo sistema di distribuzione frammentato è dispendioso e pieno di sprechi ed ha raggiunto la fine dei suoi giorni in termini di sostenibilità. Gli investimenti diretti stranieri nella distribuzione al dettaglio possono innescare un cambiamento tardivo. Questo è il momento”.

La sommossa popolare e la paralisi delle assemblee parlamentari sembrano però aver sortito gli effetti sperati: sabato 3 dicembre una fonte all’interno del governo indiano ha dichiarato alla Reuters che il piano di ammettere supermercati stranieri in India è stato “messo in pausa”.

E’ una pausa – ha chiarito la fonte – non prendetela come una marcia indietro, come se il governo si fosse arreso. E’ solo una piccola pausa”.
Una riforma impellente ma che, secondo il Congress, può ancora attendere.

[Foto credit: washingtonpost.com]