India – Il sesso debole che rimane tale

In by Simone

Tante donne forti in politica, ma nella vita di tutti i giorni la condizione della donna in India è ancora allarmante. Sistematicamente agli ultimi posti nelle classifiche internazionali di educazione, rappresentanza nelle istituzioni e reddito medio femminile, nella contraccezione supera l’Italia.
Nonostante nel mondo sempre più donne ricoprano alti incarichi politici, in India il sesso debole rimane tale. 
Il Times of India alcuni mesi fa ha reso noti i dati circa la rappresentanza femminile in politica, uno degli indicatori chiave della condizione della donna e del suo potere socioeconomico, inserito dalle Nazioni Unite negli “Obiettivi di Sviluppo del Millennio”.

Secondo il rapporto dell’Onu dal 1995 ad oggi si è registrato un incremento del 75 per cento di parlamentari donne, anche grazie all’introduzione delle quote rosa. Ma la situazione indiana rimane tra le più gravi: negli ultimi vent’anni la percentuale di donne nelle due camere del parlamento, nonostante 15 elezioni generali nel Paese, dal 9,7% è salita solo al 10,96%.

Riflettendo ai piani alti la generale subordinazione e marginalità sociale della donna, oggi la più grande democrazia del mondo non conta che 60 deputate – su 544 membri che siedono alla Lok Sabha, la camera bassa del parlamento indiano dei – e 26 senatrici su un totale di 241 rappresentanti alla Rajya Sabha, equivalente del Senato.

Secondo le statistiche dell’Unione Intra-parlamentare (IPU), l’India è al 98esimo posto per la proporzione di seggi detenuti dalla minoranza femminile. Eppure nella scena politica più lampante, quella che invade i telegiornali, le testate e i libri di storia, l’immaginario collettivo è bombardato da figure di donne potenti e risolute in ruoli cruciali nella politica interna e internazionale.

Mamata Banerjee
, la ferrea scapola vestita di bianco, chief minister del Bengala Occidentale; Mayawati, la dittatoriale paladina degli intoccabili affetta da sindromi di megalomania; Sonia Gandhi, l’italofona più potente dell’India, burattinaia del suo partito di maggioranza. Sono tutti emblematici esempi di donne forti, decisamente poco rappresentative della donna media indiana.

Dall’Indipendenza del 1947, la politica indiana è stata guardata come un mirabile esempio di potere al femminile: dal 1952 l’India ha raccomandato le proprie sorti politiche nelle mani di 13 ministri donne, numerose ambasciatrici, delegate per le Nazioni Unite, per non parlare dell’icona della politica in sari, Indira Gandhi, erede del “padre della nazione” Jahawarlal Nehru, la seconda donna al mondo a tenere le redini di un Paese nel ventesimo secolo.

La politologa Mary Katzenstein ha battezzato il fenomeno “l’anomalia di Mrs Gandhi”, risultato dell’importanza della lotta al femminile durante il movimento per l’Indipendenza dal regime britannico e dell’incoraggiamento gandhiano all’uguaglianza dei sessi nelle posizioni di potere.

Tuttavia, nella vita quotidiana, le cose non sembrano migliorare: il rapporto di Save the Children posiziona l’India fra gli ultimissimi posti nella classifica dei Paesi in via di sviluppo per quanto riguarda l’educazione femminile (mediamente 10 anni di scolarizzazione), l’uso di contraccettivi moderni (49 per cento delle donne indiane), la rappresentanza femminile nelle istituzioni, la proporzione del reddito medio fra lavoratrici donne e uomini (32:100), l’aspettativa di vita (68 anni).

Nell’ordinaria realtà rurale e tradizionalista riecheggiano ancora veritiere le prescrizioni della “legge di Manu”, il trattato sugli usi e i costumi hindu del secondo secolo: “Le ragazze sono dipendenti dalla custodia del padre, quando sono bambine; del marito, quando sono sposate; del figlio maggiore, quando sono vedove. In nessuna circostanza sono autorizzate ad asserire la loro indipendenza” (dal Manavadharmashastra, 5/151).

Nonostante le statistiche poco incoraggianti, i problemi dilaganti come la pratica della dote, il feticidio e l’infanticidio femminile e i delitti d’onore, se paragonata al Bel Paese l’India ha di che vantarsi: rispetto all’arretrato gigante asiatico, solo il 41% delle donne italiane utilizza contraccettivi moderni e sicuri, mentre il reddito medio della popolazione femminile non rasenta nemmeno un quarto di quello maschile (21:100).

Alla luce di tali contraddizioni, risultano acuti e interessanti i commenti dei lettori del Times di Delhi: prima di preoccuparci dei numeri in valore assoluto, e delle percentuali da sciorinare in qualche astratta classifica, preoccupiamoci del miglioramento della condizione della donna nella quotidianità, alle sue radici, nel diritto al lavoro, all’alimentazione corretta, alla libertà sessuale.

[Foto credit: Carola Lorea]