India – Dove il calcio è uno sport minore

In Uncategorized by Simone

Lo strapotere del cricket lascia al calcio solo le briciole. Il gioco più bello del mondo fa la parte dello sport minore, ma le cose stanno lentamente cambiando: aumentano i fan – per la gioia dei pubblicitari – e i club europei fanno a gara per conquistare le nuove leve del calcio made in India.
In India, patria del cricket per antonomasia, il calcio è relegato al ruolo di sport minore. Ma negli ultimi mesi diversi segnali indicano che la febbre del calcio nel subcontinente sta iniziando a salire come mai prima, per la gioia di appassionati, della Fifa e degli inserzionisti pubblicitari. Si tratta di un mercato da quasi 1,2 miliardi di persone. E il calcio mondiale è pronto a conquistarlo, costi quel che costi.

Ad europei 2012 appena conclusi, la stampa indiana ha messo in fila una serie di dati interessanti. Secondo l’Hindustan Times i telespettatori indiani che hanno seguito il torneo calcistico sono cresciuti del 28 per cento rispetto alla scorsa edizione del 2008: allora le reti televisive registrarono 15 milioni di appassionati, contro i 19 di quest’anno.

Noccioline, se si pensa ad una popolazione totale da 1,17 miliardi di persone, ma comunque una fetta di tutto rispetto specie per la “qualità” numerica: molti di quei 19 milioni sono composti da uomini residenti in nuclei urbani tra i 15 e i 34 anni. Un target ideale per i prodotti – spesso occidentali – che fanno gola alla classe media indiana: motociclette, telefonini, computer, bibite, birra e superalcolici.

Neo Sports Broadcast, una delle reti televisive che ha trasmesso in chiaro Euro 2012, è l’esempio emblematico degli effetti potenziali di una (ri)nascita calcistica nel subcontinente. Prasana Krishnan, dirigente della rete, ha dichiarato all’Hindustan Times: “Abbiamo iniziato con dieci inserzionisti, compresi cinque sponsor della competizione. Al termine del torneo ci siamo ritrovati con 18 inserzionisti”.

Lontano dall’euforia nazionale che si risveglia solo al richiamo di wicket, run, ball, test ed il resto del vocabolario del cricket, la gioiosa macchina da soldi dello “sport più bello del mondo” scalpita nell’attesa di poter finalmente fagocitare anche il secondo gigante asiatico.

La resistenza passiva degli amanti dello sport del subcontinente appariva fino a poco tempo fa un ostacolo insormontabile. Ma le cose stanno cambiando.

Cricket uber alles

Lascito del colonialismo britannico, il cricket in India non è solo sport nazionale. Grazie a numerosi test internazionali (così si chiamano i tornei di cricket tra nazioni, tutte ex colonie dell’Impero britannico), la nazionale indiana, campione del mondo in carica, quando scende in campo è chiamata a rappresentare la supremazia indiana contro gli inglesi invasori, contro il turbolento vicino pakistano, contro i cugini cingalesi o bangladesi.

I ragazzini per strada si arrangiano con assi di legno e mattoni per costruire un pitch (il campo di cricket) di fortuna, impersonando a turno gli eroi dei “Men in Blue” – il colore delle maglie ufficiali – come Sachin Tendulkar o M.S. Dhoni.

Il torneo nazionale delle squadre statali, organizzato per selezionare i migliori elementi destinati alla nazionale, dal 2008 è stato rimpiazzato dalle competizioni tra club della Indian Premier League, vinta quest’anno dai Kolkata Knight Riders: prima il cricket era solo, letteralmente, lo sport della nazione.

Lo strapotere del cricket ha raccolto non solo l’entusiasmo dei fan, ma anche tutti i fondi destinati allo sviluppo delle strutture sportive e, di conseguenza, tutti i progetti futuri dei giovani sportivi indiani.
Tutti sognano di sfondare nel mondo del cricket ed avere una vita fatta di contratti miliardari, case di lusso, relazioni con attrici di Bollywood, party esclusivi, comparsate nei film, facce sui cartelloni pubblicitari. Una vita da star. Da calciatori, diremmo noi.

Che fatica trovarne undici!

Scorrendo il ranking Fifa, chi volesse trovare l’India farà bene ad armarsi di pazienza e, superata la centesima posizione, anche di un pizzico di speranza. Appena sopra ad Aruba e dietro all’Afghanistan, la nazionale indiana occupa il 163esimo posto al mondo. Un risultato che la dice lunga sullo stato comatoso in cui versa la rappresentativa calcistica del secondo Paese più popolato al mondo (la Cina, per fare un paragone verosimile, è in 68esima posizione).

Il record delle Blue Tigers è impietoso: una sola qualificazione ai mondiali (1950), tre alla Coppa d’Asia (1964, 1984, 2011). Escludendo le competizioni regionali della South Asian Football Federation Cup, Afc Challenge Cup e Nehru Cup – dove partecipano squadre del calibro di Nepal, Bhutan, Pakistan, Maldive, Sri Lanka, Afghanistan e Bangladesh – si può tranquillamente rilevare che la nazionale indiana sia una delle peggiori al mondo, specchio della scarsissima considerazione del calcio indiano.

Il campionato nazionale, la I-League, mette uno contro l’altro una manciata di club sparpagliati nelle zone dove il calcio timidamente cerca di ritagliarsi una fetta di sostenitori: il nord-est, il Bengala Occidentale, il Kerala, Goa e Mumbai. Per avere la misura della marginalità del campionato nei cuori degli indiani, basti pensare che la capitale Nuova Delhi è sprovvista di una squadra di calcio.

Di fronte al desolante panorama del pallone in India è chiaro che trovare anche solo undici giocatori sia un’impresa titanica. D’altra parte il circolo vizioso è lampante: il calcio non appassiona, la nazionale perde, non arrivano i soldi, non ci sono strutture, non ci sono giocatori, il calcio non appassiona, la nazionale perde e si ricomincia da capo. Bisogna provare a rompere il ciclo.

Iniziative maldestre made in India

All’inizio del 2012 i giornali indiani annunciavano in pompa magna una novità che avrebbe rivoluzionato il panorama calcistico nazionale. Si trattava della Indian Premier League Football, un supercampionato infarcito di star internazionali, il Big Bang del pallone nel subcontinente.

Sei squadre – tutte nel Bengala Occidentale – nuovi stadi, sponsor nazionali e un tetto salariale di 600 milioni di dollari per ingaggiare sei “icon players”, vecchie glorie del calcio internazionale, uno per squadra: Fabio Cannavaro, Hernan Crespo, Robbie Fowler, Jay-Jay Okocha, Fernando Morientes e Maniche.

Il mix di grandi nomi e l’effetto novità avrebbe attirato fiumi di appassionati, contratti televisivi e merchandising, mettendo le basi per allargare il campionato al resto dell’India.

Dopo solo un mese gli organizzatori sono stati costretti a rimandare a data da destinarsi l’inizio del torneo, precedentemente fissato per il 25 febbraio: il governo del Bengala Occidentale aveva bloccato tutto rilevando diverse incongruenze nell’assetto finanziario delle due società organizzatrici, il Celebrity Management Group (Cmg) e la Indian Football Association (Ifa).

Senza contare che la All India Football Federation (Aiff), la federazione calcistica nazionale, non solo si era rifiutata di mettere a disposizione i propri campi per l’evento, ma aveva proibito a tutti i tesserati di partecipare al nuovo campionato che avrebbe fatto concorrenza alla I-League.

Accantonata l’opzione supercampionato delle meraviglie, l’entusiasmo è tornato pochi mesi dopo con l’annuncio di contatti tra la Dempo SC, la squadra di calcio di Goa reduce dalla vittoria della I-League, e la stella di Bollywood Shahrukh Khan, già proprietario dei Kolkata Knight Riders campioni indiani di cricket.

Khan era interessato a comprare una quota di maggioranza della società, operazione che avrebbe portato i riflettori di Bollywood sulla I-League, un magnete spesso irresistibile per le orde di cinema-dipendenti indiani e per gli sponsor. Le trattative sono ancora aperte, lasciando uno spiraglio per i sogni degli inserzionisti indiani.

E nonostante poche settimane fa il capitano della nazionale Sunil Chhetri (28 anni) abbia firmato un contratto annuale con la seconda squadra dello Sporting Lisbona – operazione sfacciatamente di marketing – l’impressione è che il destino del calcio riposto in mani indiane non vedrà presto un futuro roseo.

Per questo sono scesi in campo i professionisti.

Esportazione della mentalità calcistica

Il Barcellona, dopo due football camp organizzati in India che hanno registrato migliaia di adesioni di piccoli calciatori in erba, sta ultimando i preparativi finali per l’inaugurazione della FCBEscola, l’accademia del calcio dei blaugrana che ospiterà 300 ragazzini tra i 6 e i 14 anni.

La scuola seguirà la tradizione delle giovanili del Barcellona, “con l’obiettivo di inculcare i valori del Club nel mondo e offrire un’opportunità ai migliori giovani calciatori indiani per sviluppare il proprio talento”. Il compito è stato affidato al direttore tecnico Antoni Claviera, responsabile della prima FCBEscola di Nuova Delhi.

Entro i prossimi tre anni, grazie a nuove scuole calcio a Mumbai, Bangalore, Calcutta e Goa, il Barcellona ha intenzione di allenare diecimila piccoli indiani, le nuove leve del calcio del futuro.

Anche il Manchester United non sta con le mani in mano. Da pochi giorni è partito il programma Are You Ready, in collaborazione con Airtel, una delle principali compagnie telefoniche del subcontinente.

Gli scout dei Red Devils visioneranno in tre mesi più di 10mila giocatori al di sotto dei sedici anni tra India, Bangladesh e Sri Lanka. I migliori dodici vinceranno uno stage di una settimana a Manchester, allenandosi con le giovanili del club inglese. Nessuna promessa di contratto, ma tanto basta per far sognare milioni di aspiranti calciatori, grazie anche ad uno spot televisivo onnipresente nei break pubblicitari di Euro 2012.

I due club europei puntano tutto sui giovani indiani. In attesa che anche l’India incominci a farlo.

[Foto credit: maisoccer.com] [Scritto per Linkiesta]