In Cina e Asia – Xinjiang: prima condanna internazionale, ma l’Italia non c’è

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

Per la prima volta, la comunità internazionale ha condannato le detenzioni extragiudiziali nello Xinjiang davanti al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, primo sforzo congiunto contro le politiche etniche di Pechino. Secondo la Reuters, gli ambasciatori di 22 paesi hanno firmato una lettera diretta al presidente dell’organismo, in cui viene espressa preoccupazione per le “detenzione su larga scala, oltre alla sorveglianza e le restrizioni diffuse, in particolare contro gli uiguri”, e si invita la Cina a “tenere fede alle proprie leggi nazionali e agli obblighi internazionali”, nonché a “rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali”. Mentre il documento non ha il peso di una risoluzione o di un comunicato, ad oggi rappresenta un inedito importante passo avanti dopo oltre un anno di silenzio. Tra i paesi firmatari, il Giappone, l’Australia e il Canada ma non gli Stati Uniti, usciti dal Consiglio lo scorso anno – i negoziati commerciali pare abbiano anche ritardato l’atteso annuncio di sanzioni contro i responsabili dei “centri di rieducazione” – e nemmeno l’Italia [fonte: Reuters]

Crollano i supericchi

Le tensioni commerciali con gli Stati Uniti pesano sull’economia e sulle tasche dei cinesi, compresi gli straricchi. Secondo il 2019 World Wealth report stilato dalla società di consulenza Capgemini,  in Cina i ricchi hanno perso quasi 530 miliardi di dollari, probabilmente a causa di una flessione del mercato azionario. Dopo sette anni di aumento, il numero degli individui ad alto patrimonio netto (HNWI) è calato di circa 100.000 unità. E la regione Asia-Pacifico risulta quella più colpita, con la Cina a contare per il 53% delle perdite. Infatti, se tra il 2010 e il 2014, le persone con un patrimonio investibile superiore a 10 milioni di yuan (1,5 milioni di dollari) sono quasi raddoppiate superando il milione, tra il 2017 e il 2018, quasi 67.000 di loro hanno perso il titolo di “paperone”. Colpa del calo della borsa a seguito della svalutazione dello yuan. Insomma, colpa della trade war [fonte: Quartz]

Pechino rafforza il controllo sull’informazione finanziaria

La politica non è più il principale target della censura cinese, almeno non l’unico. In tempi di rallentamento economico, l’informazione finanziaria è finita nella lista degli argomenti sensibili, tanto che la guerra commerciale si è attestata uno degli argomenti più oscurati del 2018. Le modalità con cui Pechino controlla il dibattito in rete, tuttavia, stanno progressivamente cambiando. Secondo fonti del Scmp, il governo cinese starebbe tentando di acquisire speciali quote di minoranza all’interno di media privati in grado di assicurare agli azionisti statali poteri decisionali e di controllo. L’ultimo caso vede la potentissima Cyberspace Administration of China corteggiare la Shanghai Aniu Information Technology, l’azienda che gestisce la piattaforma d’informazione economica wallstreetcn.com, costretta a sospendere le attività lo scorso 10 giugno dopo essere stata accusata di aver violato le leggi sulla cybersicurezza. Ma potrebbe essere solo l’inizio. Nel 2016 il WSJ riportava l’intenzione di utilizzare lo stesso espediente per ottenere l’accesso ai colossi privati Alibaba e Tencent [fonte: Scmp]

Arrestato tycoon per molestie su una bambina

Le autorità di Shanghai hanno ufficializzato l’arresto di Wang Zhenghua, presidente di Seazen Holdings, l’ottava società immobiliare più grande di Cina. Il 57ennne è sospettato di aver molestato una bambina di 9 anni, con la complicità di tal “Ms. Zhou”, a sua volta in stato di fermo. La notizia era cominciata a circolare diversi giorni fa, quando l’azienda aveva annunciato l’arresto “per motivi personali”. Ma ben presto le informazioni erano state sottoposte a censura, scatenando l’ira dell’opinione pubblica e un ripensamento della stampa statale. Da allora alla richiesta di indagini approfondite da parte dei media ufficiali ha fatto seguito la constatazione che quello del tycoon non è un caso isolato sebbene il più eclatante. Secondo la Xinhua dal 2015 al novembre 2018, i tribunali cinesi si sono trovati a giudicare 11.519 episodi di molesti e su bambini. Numeri sottostimati se si considerano tutti i casi mai denunciati [fonte: NYT]

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