In Cina e Asia – Xi Jinping in carica fino al 2024?

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

Da quando lo scorso anno Pechino ha rimosso il limite dei due mandati presidenziali, tra gli analisti si è fatta strada l’ipotesi di un governo Xi Jinping sine die. Una prima conferma parrebbe arrivare dal nuovo piano quinquennale sulla formazione e l’educazione dei membri del partito comunista cinese. Come riporta la Xinhua, l’obiettivo primario dell’iniziativa è quello di promuovere lo studio del “pensiero di Xi Jinping per una nuova era”, sfruttando al meglio le nuove tecnologie, riferimento indiretto alla famigerata app Xuexi Qiangguo (studiare la potente nazione), sorta di libretto rosso 2.0. Fin qui nulla di strano. Ma come fa notare la società di consulenza Trivium, considerato che il piano si estende fino al 2024, è piuttosto plausibile immaginare che il presidente cinese preveda di rimanere al potere ben oltre il 2022, quando scadrebbe il secondo mandato. [fonte: Xinhua]

Cina: tre quarti degli IDE sono “investimenti fantasma”

Nemmeno le tariffe di Trump riescono a tenere lontano le aziende americane dal mercato cinese. Nonostante la trade war, grandi realtà come Tesla Inc. e Walmart Inc. – stanno espandendo le proprie attività nel paese asiatico, contribuendo a compensare la partenza di chi ha invece è stato costretto a rilocalizzare la produzione altrove per ridurre i costi causati dai dazi statunitensi. Gli investimenti esteri diretti in Cina sono aumentati rispetto all’anno precedente di quasi il 3% nei primi nove mesi del 2019, confermando lo stesso tasso di crescita del 2018. Al contrario, negli Stati Uniti, l’inizio della presidenza Trump ha coinciso con un progressivo ripiegamento dei capitali stranieri. La discrepanza è comprensibile se si tiene conto che ormai, oltre la Muraglia, quasi il 75% degli investimenti in entrata è destinato a servizi, utilities e altri settori destinati al mercato interno. I numeri del ministero del Commercio cinese, tuttavia, non bastano a fornire un quadro completo della situazione. Entrando nel dettaglio si apprende infatti che nel 2018 circa tre quarti degli IDE verso l’ex Celeste Impero sono arrivati da Hong Kong, le Isole Vergini e le Isole Cayman, tanto che secondo il FMI sono da ritenersi “investimenti fantasma”. Ovvero capitali parcheggiati offshore e reinvestiti in patria dalle stesse aziende cinesi. [fonte: Bloomberg]

Una guerra finanziaria per manipolare le presidenziali americane?

Non solo la Russia. Secondo l’FBI, con l’approssimarsi delle presidenziali americane del 2020 anche Cina e Iran stanno cercando di influenzare il voto, esercitando un ingerenza “pervasiva e persistente”. Come nel caso della controffensiva russa registrata nel 2016, le tecniche utilizzate spaziano perlopiù dai cyberattacchi alla disinformazione attraverso i social network. Ma non solo. Un’altra ipotesi avanzata dagli analisti è che Pechino possa decidere di ricorrere a una guerra finanziaria, uno scenario tratteggiato nel 1999 dai colonnelli Qiao Liang e Wang Xiangsui in Unrestricted Warfare. Questo perché “la guerra finanziaria è facilmente manipolabile, consente azioni nascoste ed è anche altamente distruttiva”, spiegano gli autori. Bill Gertz su Asia Times riporta un esempio pratico: l’hackeraggio dell’account Twitter dell’Associated Press che nel 2013 costò ai mercati 130 miliardi di dollari in pochi minuti sulla scia della falsa notizia del ferimento di Obama. [fonte: Asia Times]

Mano forte di Pechino sui giochi elettronici

Là dove non possono le famiglie, interviene lo stato. Questo il senso delle recenti restrizioni annunciate dalla State Administration of Press and Publication (SAPP) all’industria dei videogiochi cinese. In aggiunta alle norme che richiedono la registrazione con regolare documento per gli utenti dagli 8 ai 16 anni, le nuove regole impongono agli sviluppatori e ai distributori di video giochi di inserire limiti al tempo di utilizzo dei devices (dalle 10 alle 18, con limite orario di 1,5 ora e che nei week end diventano 3 ore) in uso agli under 16, oltre a limiti di sospese di 200 yuan, pena la revoca della licenza. Pechino non è nuova a questo genere di restrizione nei confronti dell’industria dei videogiochi e le nuove regole seguono un periodo di congelamento delle licenze nel 2018 che è durato ben 9 mesi, imposta agli operatori cinesi. Le misure prendono il via dalla preoccupazione per la salute mentale e fisica dei giovani cinesi. Calo di attenzione con ripercussione sul rendimento scolastico, calo della vista ed esposizione a contenuti violenti e a sfondo sessuale, preoccupano Pechino . [Fonte:Sixth Tone]

I social media strizzano l’occhio alla Generazione Z

Un cambiamento dei gusti degli studenti universitari cinesi sta innescando un lento deflusso da Wechat e Weibo verso nuove realtà, meno commerciali, tagliate su misura per un pubblico giovane. Secondo uno studio di QuestMobile, lo scorso giugno gli utenti di WeChat hanno trascorso mediamente 32,4 ore sulla piattaforma, rispetto alle 35,4 ore del dicembre 2018, pari a un calo dell’8,6 percento. Gli esperti ritengono che la Generazione Z sia disposta ad abbandonare WeChat in favore di social network capaci di fornire loro un’esperienza più privata, lontano dagli occhi vigili dei familiari più anziani. Secondo il Jing Daily, la crescente frammentazione del panorama digitale cinese sta spingendo colossi come Alibaba, Jingdong, e ByteDance a realizzare delle piattaforme proprie, che permettono di verificare l’identità delle connessioni per creare “amicizie vere” e combattere la solitudine della vita da campus. Solo nel 2016, gli app stores cinesi hanno visto spuntare 159 nuove piattaforme rispetto alle 153 create tra il 2008 e il 2015 [fonte: Jing Daily]

Le domestiche radicalizzate del Sudest asiatico 

Domestiche sei giorni su sette e terroriste nei weekend. Sono sempre di più le donne del sudest asiatico, impiegate presso benestanti famiglie di Hong Kong e Singapore, a cercare sostegno nell’Isis. E’ quanto emerge dall’arresto di tre indonesiane accusate di aver preso parte alle attività di finanziamento del terrorismo islamico mentre lavoravano a Singapore. Secondo uno studio dell’Institute for Policy Analysis of Conflict condotto tra il 2015 e il 2017, almeno 50 donne indonesiane si sono radicalizzate mentre lavorano all’estero come babysitter, cameriere o badanti. Tra queste, 43 vivevano a Hong Kong, quattro a Singapore e tre a Taiwan. A renderle facile preda dei gruppi estremisti il desiderio di sfuggire a una vita da schiave che le vede esposte a maltrattamenti e umiliazioni. E hanno tutte le caratteristiche per essere arruolate: “hanno un reddito stabile, parlano inglese e vantano una vasta rete di contatti a livello internazionale”. [fonte: CNN]

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