In Cina e Asia – Xi chiede “standard elevati” e indipendenza economica

In Notizie Brevi by Sharon De Cet

La Cina deve “approfondire le riforme” per garantire “standard elevati” di autosufficienza e indipendenza economica, ha dichiarato il presidente Xi Jinping ad una riunione del comitato centrale tenutasi venerdì scorso, un meeting preparatorio in vista delle Due Sessioni, la più grande riunione legislativa del paese dell’anno prevista tra due settimane. Il presidente cinese ha sottolineato che la sua strategia economica si concentrerà sull’espansione la domanda interna, l’integrazione dello sviluppo urbano-rurale, l’accelerazione di un ambiente imprenditoriale internazionalizzato e l’adattabilità delle norme per la creazione di un’economia aperta a un livello globale. Xi, che ha garantito alle Nazioni Unite che la Cina sarebbe diventata carbon neutral entro il 2060, ha anche dichiarato che la Cina promuoverà sforzi per aggiornare le politiche ambientali, compresa quella che regola il raggiungimento del picco di emissioni di carbonio prima del 2030. Saranno introdotte inoltre misure per rafforzare la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, promuovere l’aggiornamento delle catene industriali, stabilire un moderno sistema logistico e costruire un mercato nazionale unificato. L’enfasi sull’ambiente, la domanda interna e l’innovazione è stata descritta come una “bella visione” da molti analisti politici, che affermano che il successo di questi sforzi sarà una fonte di fiducia per la Cina per guidare il mondo nel mutato panorama economico e politico internazionale. Tuttavia, anche se la Cina promette di mobilitare tutte le risorse del paese, molti esperti rimangono scettici riguardo alle capacità cinesi di portare a termine queste ambizioni in modo sostenibile: molte politiche intervenzioniste sono state esempi di fallimenti – dalla campagna nazionale del Grande balzo in avanti per aumentare la produzione industriale circa 60 anni fa, alla corsa per i semiconduttori, che si è rivelata molto onerosa per il paese. Gli occhi rimangono dunque puntati alla riunione annuale del Congresso nazionale del popolo, evento che ritengono sarà utilizzato per fornire ulteriori dettagli sul “nuovo modello di sviluppo” del paese, che includerà probabilmente sia il nuovo piano quinquennale che una strategia a più lungo termine per il 2035. L’evento assumerà inoltre un significato speciale quest’anno in quanto coincide con il centenario del Partito comunista. [fonte SCMP]

La Cina chiede agli Usa di rimuovere le “misure irragionevoli”

La Cina auspica un ritorno al dialogo con Washington. E’ il messaggio veicolato stamani dal ministro degli Esteri Wang Yi in occasione di un evento organizzato dal dicastero a Pechino. “Ci auguriamo che gli Stati Uniti adeguino le loro politiche il prima possibile, rimuovendo le tariffe irragionevoli imposte sui prodotti cinesi e le sanzioni unilaterali contro le aziende cinesi e agli istituti di ricerca scientifica, e l’irragionevole soppressione della tecnologia cinese”, ha dichiarato il capo della diplomazia cinese. Wang ha aggiunto che la Cina era disposta a collaborare con gli Stati Uniti per sconfiggere la pandemia Covid-19, combattere i cambiamenti climatici e sostenere la ripresa economica globale. L’appello sembra rispondere alle recenti affermazioni del nuovo segretario al Tesoro Janet Yellen che la scorsa settimana ha escluso una rimozione dei dazi prima che venga completata una revisione ufficiale delle politiche introdotte da Trump. Nelle ultime settimane l’amministrazione Biden ha annunciato un ultimo giro di nomine al Pentagono e al Consiglio per la sicurezza nazionale che sembrano anticipare un prolungato braccio di ferro con Pechino. [fonte SCMP, BLOOMBERG]

Pechino valuta di allentare le restrizioni sulle nascite nel Nord-Est

Giovedì scorso la Commissione sanitaria nazionale ha risposto ad una proposta di alcuni delegati al Congresso nazionale del popolo che proponevano che la regione della Cina nord-orientale dovrebbe assumere l’iniziativa di rimuovere completamente le restrizioni alle nascite. Sede di circa 109 milioni di cinesi, le tre province interessate dalle misure sono Heilongjiang, Jilin e Liaoning, la “Rust Belt” cinese dato il tasso di natalità più basso del paese: 8,79 per 1.000 donne, rispetto alla media nazionale di 12,43 nel 2017.  Il numero di neonati in Cina è diminuito drasticamente lo scorso anno, segno che il tasso di natalità continua a diminuire e ad aggravare le pressioni demografiche nella nazione in rapido invecchiamento. Sono stati 10,04 milioni i bambini registrati nel 2020, il 14,8% in meno rispetto al 2019, secondo i dati diffusi dal Ministero della Pubblica Sicurezza. Per far fronte all’invecchiamento della popolazione, la Cina nel 2015 ha ufficialmente posto fine alla politica del figlio unico adottata nel 1979 dopo aver lentamente allentato le regole per consentire alle coppie che soddisfano determinati criteri di avere un secondo figlio. Ora tutte le coppie possono avere due figli. Nell’Heilongjiang, le coppie residenti nelle zone di confine possono già avere tre figli. Secondo le autorità sanitarie, la proposta permetterebbe di avere un valore di riferimento per il lavoro della Commissione sanitaria nazionale, in quanto la diminuzione della popolazione nel nord-est della Cina riflette i problemi globali e sistematici del sistema economico regionale, della struttura industriale e delle politiche sociali del paese. Tuttavia, sabato la Commissione ha spiegato che è necessario un esame e una ricerca dettagliati sulla proposta, poiché il problema del declino della popolazione è causato da molteplici fattori che non possono essere risolti solo attraverso il rilassamento delle restrizioni alle nascite. La commissione sanitaria cinese ha inoltre già smentito che le speculazioni online sul fatto che Cina nord-orientale potrebbe essere la zona pilota per il rilassamento della pianificazione familiare a scala nazionale. [fonte SCMP]

Il mito della trappola del debito cinese

Secondo uno studio americano, la famigerata “trappola del debito” – ovvero l’acquisto del debito dei paesi poco sviluppati da parte della Cina, per poi usarlo per acquisire asset strategici – non sarebbe che un mito. È quanto afferma una ricerca condotta da D. Brautigam, professoressa alla John Hopkins University, che cita ad esempio il caso del porto di Hanbantota, in Sri Lanka: spesso definita dall’amministrazione Trump come esempio di trappola del debito, l’operazione può essere considerata una privatizzazione considerando che il Paese insulare, fronteggiando problemi di liquidità, ha ceduto la gestione dello scalo a China Merchants per 99 anni. Lo studio ha esaminato migliaia di documenti di prestito cinesi, principalmente relativi a progetti in Africa, e riferisce di non aver trovato alcuna prova che la Cina si impossessi dei beni di altri paesi se questi non riescono a pagare i prestiti. Queste stesse preoccupazioni riguardanti embarghi sulle infrastrutture essenziali sono in circolo ormai da due anni, ed in modo particolarmente diffuso in alcuni paesi africani come lo Zambia e il Kenya. La narrativa americana – dice Brautigam – ha creato grande allarme tra i paesi dell’Africa, e viene utilizzata in molti casi dai partiti nazionali di opposizione per accaparrarsi voti. Nonostante tutto, i paesi africani hanno continuato a negoziare e firmare prestiti con la Cina. L’eccezione è stata la Tanzania, che dall’elezione del presidente Magufuli ha bloccato gli investimenti cinesi per paura della sua capacità di pagare il debito. Insieme ad altri accademici, Brautigam spiega che i contratti firmati tra la Cina ed i paesi africani prevedono clausole per la risoluzione dei conflitti nei tribunali internazionali in caso di mancato pagamento. Tuttavia, secondo gli esperti Pechino non ha mai adottato uno sforzo sistematico per contrastare tale narrativa e l’assertività cinese ha generato irrimediabilmente una risposta americana dai toni aggressivi. Gli analisti hanno espresso la speranza che sotto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden sia adottata un’attitudine meno conflittuale. [fonte SCMP]

Myanmar: continuano le proteste. “L’economia è quasi ferma”

In Myanmar, le proteste non accennano a diminuire. I tre decessi riportati tra le fila dei manifestanti negli ultimi giorni non hanno scoraggiato la partecipazione popolare nelle principali città del paese. E dopo giorni di scioperi cominciano a farsi evidenti le prime ripercussioni economiche. Secondo fonti della Reuters, “l’economia è quasi ferma. Quasi tutti i ministeri del governo sono chiusi. La fornitura di carburante sta per esaurirsi. (Il paese) potrebbe rimanere senza petrolio in due mesi”. In Myanmar consumo di carburante dipende per il 98% dalle importazioni e la svalutazione della moneta locale sta rendendo difficile mantenere stabili le forniture. Senza contare l’interruzione dei servizi bancari da parte di alcuni istituti di credito locali. Questa mattina hanno annunciato la chiusura anche diverse multinazionali e aziende di delivery [fonte Reuters, Bloomberg]

Tokyo prepara nuove misure contro la solitudine

Il Giappone sta rafforzando le misure contro la solitudine, compiendo un primo importante passo verso la completa risoluzione di un problema pervasivo nel paese e che è stato nuovamente messo sotto i riflettori a causa della pandemia. Tale è l’urgenza della questione che l’amministrazione del primo ministro Yoshihide Suga ha aggiunto un ministro della solitudine al suo gabinetto all’inizio di questo mese, seguendo l’esempio del Regno Unito, che nel 2018 è diventato il primo paese a creare un ruolo simile. Per il nuovo portafoglio, Suga ha contattato il ministro Tetsushi Sakamoto, che è contemporaneamente incaricato di combattere il calo del tasso di natalità della nazione e di rivitalizzare le economie regionali. Con l’isolamento legato ad una serie di problemi sociali come il suicidio, la povertà e gli hikikomori (reclusi sociali), venerdì il governo giapponese ha anche istituito una task force che cercherà di affrontare il problema della solitudine in collaborazione con diversi ministeri. Secondo i dati preliminari diffusi dall’Agenzia nazionale di polizia, 20.919 persone si sono tolte la vita nel 2020, un aumento di 750 unità rispetto all’anno precedente e segnando il primo aumento su base annua in 11 anni, in gran parte attribuito a un notevole aumento dei suicidi tra donne e giovani. Tra i soggetti spesso contrassegnati come ad alto rischio vi sono anche gli anziani e gli uomini di mezza età: il Giappone è noto per le kodokushi (morti solitarie) di coloro che vivono da soli, con alcuni sondaggi ufficiali del 2016 che hanno mostrato che la percentuale di coloro che hanno 60 anni o più e che sentono di non avere “nessuno” a cui rivolgersi per chiedere aiuto era la più alta in Giappone con il 16,1%, rispetto al 13 % negli Stati Uniti, 10,8% in Svezia e 5,8% in Germania. La pandemia è stata ritenuta come fattore decisivo per spiegare le cifre di vittime di quest’anno: il lavoro a distanza ha limitato significativamente l’interazione degli individui che vivono da soli con i colleghi – spesso l’unica rete di relazioni a livello quotidiano – costringendoli a sua volta a trascorrere la maggior parte della giornata bloccati in quartieri a cui hanno poco attaccamento emotivo. [fonte JapanTimes]

Ha collaborato Alessandra Colarizi