Sinosfere – Patriottismo marittimo e mitologia nella Cina contemporanea

In Cina, Economia, Politica e Società, Sinosfere by Redazione

L’abilità del Partito Comunista Cinese (PCC) nel miscelare sapientemente mito e resoconto storico, ha permesso a Zheng He di diventare una figura preminente, e particolarmente riverita, non solo in Cina, ma anche in diversi stati della regione, a loro volta coinvolti nel contenzioso marittimo con Pechino. Proprio in questo senso, le gesta di Zheng He sono diventate col tempo un ideale strumento di soft power regionale che ha permesso alla Repubblica Popolare Cinese di creare una narrazione benevola della propria espansione senza rinunciare in alcun modo alle proprie rivendicazioni territoriali.

Di chi è il Mar Cinese Meridionale?

Il Mar Cinese Meridionale può essere inquadrato come quella porzione dell’Oceano Pacifico che si estende dallo Stretto di Malacca sino allo Stretto di Taiwan. Si presenta come un ecosistema altamente integrato, uno dei mari più ricchi al mondo in termini di varietà floristica e faunistica, comprendente al suo interno più di duecento tra arcipelaghi, isole e rocce.

Il contenzioso nel Mar Cinese Meridionale rappresenta una questione inevitabile per qualsiasi prospettiva di integrazione regionale nell’Asia-Pacifico. Non è possibile non tenerne conto, per una serie di fattori. In primo luogo, il numero e lo spessore degli attori coinvolti: “le due Cine”, Brunei, Filippine, Malaysia, Vietnam coprono la quasi totalità dello spettro politico regionale, dalla superpotenza alle medie e piccole potenze. La dimensione strategico-economica è altrettanto importante, poiché in queste acque sono tracciate alcune delle più importanti rotte commerciali della regione, attraverso le quali il petrolio mediorientale raggiunge i porti cinesi, coreani e giapponesi. Più dell’80% delle importazioni di Corea del Sud, Giappone e Repubblica Popolare Cinese (RPC) passano per il Mar Cinese Meridionale, così come circa i due terzi delle importazioni di gas della Corea del Sud e il 60% di quelle del Giappone e di Taiwan. Inoltre, più della metà dell’intera flotta mercantile mondiale transita annualmente tra gli stretti di Malacca, Lombok e Sonda.

Quando si sente parlare di Mar Cinese Meridionale, l’aspetto strategico è certamente quello preminente: diversi analisti e addetti ai lavori si concentrano spesso sulle prospettive di un confronto militare, sul coinvolgimento regionale degli Stati Uniti e la loro diplomazia delle esercitazioni congiunte e delle Freedom of Navigation Operations (FONOPS), sulla creazione di nuovi avamposti marittimi da parte della Marina Militare cinese. Ma per quanto riguarda la Cina, la pressoché infinita partita di go che si gioca in queste acque deve necessariamente essere accompagnata da una narrazione che giustifichi questi enormi sforzi militari, e che sia nel contempo in grado di legittimare le specifiche posizioni cinesi di fronte allo scrutinio della comunità internazionale. La storia e la rappresentazione storica hanno un ruolo centrale nel delineare l’evoluzione del contenzioso secondo la prospettiva cinese, ma spesso mancano di sostanza e sono più frutto di una retorica nazionalista, vista come utile strumento per giustificare le mire espansionistiche sugli arcipelaghi contesi.

La Cina, infatti, rivendica gran parte del Mar Cinese Meridionale facendo leva su una prospettiva storica, asserendo di essere stata la prima a scoprire, mappare, nominare ed esercitare una giurisdizione sulle Isole Spratly. Proprio per queste ragioni, essa non sarebbe disposta a ridimensionare o ridiscutere le proprie posizioni. Una delle principali motivazioni dietro tale inamovibilità consiste nella particolare concezione cinese del territorio nazionale, ritenuto sacro e indivisibile. Di conseguenza, la leadership dovrà farsi carico di mantenere questa pretesa di inviolabilità, su cui è inconcepibile anche solo pensare un passo indietro. Su questa base il Mar Cinese Meridionale viene incluso all’interno dei confini nazionali cinesi, sotto molteplici prospettive. Da un punto di vista burocratico, basti pensare alla recentissima creazione del distretto di Xisha, che include le isole Spratly e Macclesfield Bank, e del distretto di Nansha, che invece include le Paracels. Oppure alla mappa inserita nei passaporti, che include nel territorio nazionale anche le isole sopracitate. Questo atteggiamento viene ritenuto legittimo dalla leadership cinese poiché il Mar Cinese Meridionale viene rappresentato come un proprio storico dominio, un legame spezzato solamente dall’arrivo dell’imperialismo europeo, in primis, e dal successivo espansionismo nipponico.

Rivendicare il controllo delle acque e degli arcipelaghi contesi diventa pertanto una questione di giustizia nazionale, la giusta riparazione per un torto storico subito più di un secolo fa. Diviene così necessario inquadrare, se non addirittura produrre, una visione storica, specificatamente marittima, nella quale il popolo cinese possa identificarsi. Di conseguenza, la strategia portata avanti dal partito prevede una strumentale ricostruzione del passato, tesa a presentare l’antico Impero Celeste come una riconosciuta e pacifica potenza marittima. Per raggiungere tale scopo è stato necessario presentare un personaggio paradigmatico, in grado di rappresentare forza e virtù funzionali a tale narrazione, dotato delle caratteristiche essenziali del patrimonio culturale cinese. Il prescelto è stato Zheng He (1371 – 1433), famoso ammiraglio che solcò i mari agli inizi del XV secolo. I suoi viaggi, tra il 1405 e il 1433, sono divenuti negli ultimi decenni il mito fondante della tradizione marittima cinese, al punto che a Zheng He, da ormai quindici anni, è dedicata addirittura una giornata di festa nazionale. Nel 2005, infatti, il PCC ha istituito la Giornata del Mare (hang hai ri 航海日), per celebrare il seicentesimo anniversario del primo viaggio della flotta di Zheng He, fissandola all’11 luglio.

Inquadrare le rivendicazioni territoriali cinesi

Le rivendicazioni territoriali della Repubblica Popolare Cinese sono talmente estese da includere la quasi totalità del Mar Cinese Meridionale, e sono espresse in termini cartografici attraverso l’assai controversa linea a nove tratti (jiu duna xian 九段线). La loro peculiarità è ascrivibile alla loro stessa natura, in quanto fondate su un presunto retaggio storico millenario piuttosto che su una solida base giuridica. Secondo la definizione data dallo stesso Partito,  i territori marittimi contesi vengono indicati come sacre acque territoriali, mentre le sopracitate isole sono considerate come parte integrante del territorio nazionale da tempo immemore. Di conseguenza, il PCC non ha mai voluto prendere in considerazione la possibilità di discuterne la sovranità con gli altri paesi coinvolti, proprio a voler sottolineare l’incontrovertibile validità della propria posizione.

Il primo contatto tra centro e periferia marittima, tra l’Impero e il Mar Cinese Meridionale, secondo le fonti cinesi, risale al periodo della dinastia Han (202 a.C – 220 d.C.). Yan Fu, uomo di lettere vissuto durante gli anni della dinastia Han Orientale (25 – 220 d.C.), descrisse alcune delle isole in questione, attualmente comprese nell’arcipelago delle Paracels, nella sua più famosa opera, intitolata “Registro delle Rarità” (Yiwu Zhi). Effettivamente esistono degli sporadici riferimenti circa la presenza cinese nell’odierno Mar Cinese Meridionale, soprattutto nel periodo che va dal XII secolo sino al XVII secolo, ma sono principalmente indicazioni su attività di navigazione e pesca. La presunta rilevanza marittima cinese viene infatti quantomeno ridimensionata dall’ascesa di altre realtà regionali, come ad esempio il Regno delle Ryukyu (1429 – 1879), che includeva le isole di Amami, Okinawa e Sakishima, la parte più meridionale del Giappone contemporaneo. Inoltre, dopo la morte di Zheng He nel 1433, l’élite Ming (1368 – 1644) decise di abbandonare qualsiasi aspirazione marittima, imponendo delle stringenti misure volte a impedire nuove spedizioni in mare aperto. Non solo il commercio marittimo venne così sostanzialmente bandito sino al 1567, ma la flotta imperiale fu a sua volta ridotta quanto a dimensioni e raggio d’azione, limitando le proprie funzioni alla difesa delle coste. In questo senso, la prospettiva cambiò a tal punto che l’oceano venne considerato alla stregua della Grande Muraglia, una barriera che avrebbe mantenuto i barbari lontani dal Regno di Mezzo. In questo contesto si inserì anche l’arrivo delle potenze europee, con i portoghesi che si insediarono a Malacca nel 1511. Ciò nonostante, secondo il contestato e poco affidabile documento rilasciato dal Ministero degli Affari Esteri di Pechino nel 2000, che dovrebbe fornire le evidenze storiche circa la presenza cinese, durante l’epoca Qing (1636 – 1912) l’arcipelago delle Spratly sarebbe stato indicato come parte del territorio cinese in diverse mappe, dalla carta delle divisioni amministrative del 1724 a una mappa della Cina riunificata rilasciata dalla corte dell’imperatore Qianlong nel 1767.

Muovendoci verso un’epoca a noi più vicina, la forte precarietà politica, inaugurata dallo scoppio della prima Guerra dell’Oppio nel 1839 e ulteriormente amplificata dal crollo dell’impero nel 1911, rese le mire marittime di Pechino ancora più difficili da giustificare. Tra il XIX e il XX secolo, la quasi totalità degli stati rivieraschi che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale diventarono colonie o protettorati britannici, francesi, spagnoli e olandesi. Per quanto riguarda il Mar Cinese Meridionale, nel 1877, Spratly Island e Amboyna Cay vennero ufficialmente inserite tra i possedimenti della Corona Britannica, nel cui elenco figurarono sino al 1933. Sempre nel 1933, la Francia estese il proprio controllo su sei isole facenti parte dell’arcipelago delle Spratly. Il controllo europeo sulla regione venne poi interrotto dall’espansionismo giapponese, la cui spinta imperialista portò Tokyo a controllare gran parte dell’Asia-Pacifico, investendo anche il Mar Cinese Meridionale, che cadde sotto il controllo giapponese e divenne un importante avamposto strategico durante la Seconda Guerra Mondiale.

Questa successione di eventi, dalla prima Guerra dell’Oppio nel 1839 sino alla proclamazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, è entrata nella narrazione storica ufficiale come “il secolo delle umiliazioni”, ed è indicata da Pechino come il momento in cui la Cina avrebbe perduto il suo plurisecolare controllo sul Mar Cinese Meridionale. La neonata leadership maoista rivendicò il controllo sulle isole Paracels e Spratly, richiedendo alle potenze coloniali che le venissero restituite e che venisse riconosciuta la propria sovranità sulle stesse. Il trattato di San Francisco del 1952, in questo senso, deluse le aspettative cinesi poiché al suo interno non venne fatta nessuna menzione del Mar Cinese Meridionale e delle isole controllate dal Giappone imperialista. Come accennato in precedenza, una volta raggiunta l’indipendenza diversi paesi dell’Asia Sud-Orientale presentarono le proprie rivendicazioni territoriali, sfidando apertamente la posizione cinese.

In questo contesto di estrema incertezza storiografica, la figura di Zheng He diventa di capitale importanza per affermare il controllo cinese sul Mar Cinese Meridionale, andando a incastonarsi perfettamente in una narrazione nazionalista che intende rappresentarlo come vero e proprio baluardo della tradizione marittima cinese. Nel costruire un suo profilo adatto alle esigenze della modernità, Pechino si è concentrata su due caratteristiche principali: la natura pacifica delle sue spedizioni e la sua grande fama in tutto il Sud-Est Asiatico.

Zheng He e la fugace proiezione marittima dell’Impero di Mezzo

 L’imperatore Yongle (1402–1424), e successivamente suo nipote Xuande (1425–1435), furono probabilmente i sovrani più interessati all’esplorazione marittima, commissionando numerose spedizioni verso i cosiddetti Mari Occidentali. Tra queste, le più famose sono le sette spedizioni di Zheng He, condotte nel periodo che va dal 1405 al 1433, in quanto ampiamente citate e documentate in resoconti, diari di viaggio e iscrizioni, senza contare i vari siti commemorativi presenti sia in Cina che in altre regioni del Sud-Est Asiatico.

Secondo i recenti resoconti cinesi, i viaggi di Zheng non avevano come finalità la conquista di nuovi territori e la sottomissione dei popoli, ma erano viaggi di diplomazia e commercio, il cui compito era di diffondere le virtù dell’Imperatore Yongle. Di conseguenza, l’uso della forza sarebbe stato ammesso solo in particolari situazioni, come l’intervento a sostegno di regni tributari e l’autodifesa dall’assalto delle numerose navi pirata che navigavano nella zona degli stretti di Malacca e Lombok. Sebbene queste spedizioni fossero chiaramente finalizzate alla salvaguardia degli interessi imperiali, la loro dimensione diplomatica e pacifica facilita indubbiamente il loro uso strumentale da parte del Partito Comunista. Pertanto, nei primi anni Duemila il governo ha iniziato a progettare una narrazione marittima che fosse incentrata sull’esaltazione degli aspetti pacifici dei viaggi di Zheng, in modo da raggiungere un duplice obiettivo: trasformare le spedizioni marittime in uno strumento patriottico in grado di legittimare ulteriormente la presenza cinese nel Mar Cinese Meridionale, e incanalare questa narrazione pacifica nel rapporto diplomatico con i vicini rivieraschi, rassicurandoli così circa la propria affidabilità e buona fede, data la grande popolarità di Zheng He in tutta la regione. L’idea di Pechino era proprio quella di stabilire un legame comune a livello regionale, che contribuisse a ribadire la natura pacifica dell’ascesa cinese, proprio perché strettamente legata, e per certi versi discendente, al virtuoso retaggio delle spedizioni di Zheng He.

Come accennato in precedenza, le motivazioni ufficiali dietro queste spedizioni erano di carattere diplomatico. Spedizioni di pace e non di conquista, atte a rafforzare il sistema diplomatico imbastito dalla dinastia Ming e rafforzare la Pax Sinica nella regione, onde mettere in mostra la potenza dei Ming, consolidare la legittimità di Yongle e convincere nuovi regni a prostrarsi alla sua grandezza, riscuotendo tributi e tesori per la corte imperiale. Proprio per questo motivo, le navi della flotta di Zheng He erano conosciute come navi del tesoro (baochuan 宝船).Per permettere a queste imponenti flotte di raggiungere l’Oceano Indiano era necessario però creare degli avamposti. Questi vennero individuati a Malacca e nell’isola di Weh, a nord-ovest di Sumatra, e la loro presenza è sostanzialmente confermata dalle mappe utilizzate da Zheng He durante le sue traversate, nelle quali sono anche indicate le rotte marittime per raggiungere le coste dell’Africa Orientale. L’attività marittima subì un’interruzione nel 1424, anno dello morte di Yongle. Il suo successore, Hongxi, non era infatti interessato a portare avanti una strategia considerata eccessivamente dispendiosa, e la flotta di Zheng He venne fatta attraccare al porto di Nanchino. La pausa fu però di brevissima durata, dato che Hongxi morì solamente un anno dopo essere asceso al trono, e il suo successore Xuande fece prontamente riprendere le operazioni marittime, investendo Zheng He di quella che sarebbe stata la sua ultima missione: una lunghissima traversata tra Asia Sudorientale, Asia Meridionale, Penisola Arabica, fino a toccare le coste dell’Africa Orientale. L’enorme costo di questa missione è anche la ragione per cui, una volta tornata in patria, la flotta di Zheng He venne definitivamente dismessa e, letteralmente, lasciata a marcire nel porto di Nanchino.

Rappresentazioni di Zheng He nella Cina contemporanea

 Da un punto di vista storiografico, Zheng He e le sue spedizioni vennero menzionate per la prima volta negli Annali della dinastia Ming, conosciuti in cinese come Ming shilu (明实录).

Negli ultimi vent’anni sono state organizzate così tante conferenze, simposi, manifestazioni, mostre sulla figura di Zheng He, che si potrebbe immaginare che quest’ultimo sia sempre stato una figura fondamentale nella storiografia cinese. In realtà, è più accurato affermare che la sua figura sia stata riscoperta abbastanza recentemente: nonostante la grande rilevanza politica ed economica delle sue spedizioni marittime nella prima metà del XV secolo, verso la fine dello stesso secolo il suo ricordo si era sostanzialmente dissolto, non arrivando mai a raggiungere la fama dei grandi eroi della tradizione confuciana.

La figura di Zheng He, inizialmente, tornò in auge agli inizi del 1900, quando iniziò a essere presentato come un grande eroe cinese in tutta l’area sinica. Uno dei primi resoconti a lui dedicati venne scritto da Liang Qichao (1873 – 1929), uno dei principali riformisti in epoca tardo-imperiale e costretto all’esilio in Giappone per la sua partecipazione alla cosiddetta Riforma dei cento giorni. Intitolato “Un racconto su Zheng He, il più grande navigatore della Madrepatria”, l’articolo descrive l’ammiraglio eunuco come una figura preminente nella storia cinese, ponendolo inoltre come principale esponente di una tradizione marittima millenaria, con addirittura 2.000 anni di storia alle spalle.15) L’articolo venne pubblicato, non casualmente, nel 1905, anno in cui il Giappone ottenne una storica vittoria contro la Russia zarista principalmente grazie alla superiorità della sua flotta. In questo senso, Zheng He viene presentato come portatore dello spirito della modernità, in termini di intraprendenza e spirito di conquista, e quella tracciata dal Giappone rappresenterebbe una strada verso la modernizzazione auspicabile anche per la Cina.

Il passaggio successivo arrivò negli anni ’30, quando le spedizioni di Zheng He entrarono nei libri di testo della giovane Repubblica di Cina, contribuendo all’ulteriore popolarizzazione e venerazione della sua figura. Nel medesimo periodo, iniziarono a essere ricostruite anche le ragioni che spinsero la sua flotta verso i remoti Mari Occidentali, mentre intanto furono rinvenuti, a Nanchino, la sua abitazione, i resti della sua flotta e la sua tomba.

Questa tendenza continuò anche dopo la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC) nel 1949, che vide un ulteriore aumento nel numero di ricerche e di pubblicazioni intorno alla figura dell’ammiraglio. Questi scritti avevano diverse finalità, alcune delle quali verranno recuperate anche dalle successive generazioni di leader cinesi: in primis, erano strumentali alla narrazione nazionalista messa in atto dal Partito Comunista, che iniziò a ometterne la dimensione violenta per sottolineare, spesso in maniera eccessiva, la natura pacifica, come se questa fosse una caratteristica intrinseca alla popolazione cinese. Rifletteva, inoltre, i cinque principi della coesistenza pacifica, su cui Mao e Zhou Enlai avevano basato la politica estera del paese, in primis coesistenza pacifica e il principio di reciproca non aggressione.

Quindi non solo una tradizione marittima millenaria, ma anche una tradizione pacifista e terzomondista. Tale produzione letteraria subì una brusca interruzione durante gli anni della Rivoluzione Culturale (1966-1976), salvo poi riprendere una volta conclusa l’epoca maoista.

L’ascesa al potere di Deng Xiaoping portò dei grandissimi cambiamenti, fra i quali quella della significativa apertura della Cina al mondo esterno. Di conseguenza, la politica estera assunse ulteriore rilevanza, assecondando la postura e la rappresentazione che la Cina voleva dare di sé. Secondo Deng, la Cina non avrebbe dovuto mirare all’egemonia, cercando di imporre i suoi valori nella regione, ma piuttosto mantenere un profilo discreto che rendesse neutra la percezione della propria crescita economica. Se questa fosse stata affiancata da una maggiore assertività, gli stati vicini  avrebbero potuto intimorirsi e rifiutare l’apertura di Pechino nei loro confronti. Incarnando uno dei più illustri casi di apertura pacifica verso il mondo esterno, le spedizioni di Zheng He ritornarono ad essere oggetto di ricerca e analisi, e negli anni successivi vennero organizzate diverse manifestazioni in suo onore.

In quello che potremmo considerare come un simbolico primo tassello verso la creazione della Giornata del Mare, nel 1985 venne festeggiato il 580° anniversario del suo primo viaggio, una ricorrenza che verrà ripresa e istituzionalizzata qualche decennio dopo. A partire dagli anni ’90, la figura di Zheng He recuperò la veste internazionalista che gli era stata cucita negli anni ’50, a cui però si aggiunse anche una dimensione incentrata sulla cooperazione. Il principale obiettivo di questo sforzo diplomatico erano i vicini paesi dell’Asia Sudorientale, con cui la Cina cercava di costruire una relazione politica ed economica, e i paesi africani, che la Cina corteggiava anche in termini di riconoscimento diplomatico. Infatti, sin dall’avvicendamento in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 1971, Repubblica Popolare e Repubblica di Cina erano state protagoniste di una lunga sfida diplomatica. Il continente africano fu il terreno di sfida prediletto, e la proposta di Pechino, ossia la concessione di aiuti economici e supporto tecnico senza nessun condizionamento politico (bu fujia zhengzhi tiaojian) ebbe progressivamente la meglio, trasformandosi poi nel cosiddetto Modello Cina (Zhongguo moshi). Numerosi stati oscillarono tra “le due Cine” per poi scegliere la RPC. Restringendo la finestra temporale agli anni 2000 possiamo contare la Liberia nel 2003, il Senegal nel 2005, il Ciad nel 2006 il Malawi nel 2008, il Gambia nel 2013, Sao Tome e Principe nel 2016, il Burkina Faso nel 2018.

Il rapporto tra Cina e Africa Orientale trovò dunque in Zheng He un ideale ambasciatore, e questo legame venne prontamente sfruttato da Pechino. Nel 2001 Du Qiwen, ambasciatore cinese in Kenya, ricordò in un discorso come “l’amicizia tra Cina e Kenya risale al XV° secolo, quando la flotta dell’ammiraglio cinese Zheng He raggiunse Malindi e Lamu lungo la costa kenyana”. Un altro rilevante esempio è il discorso tenuto da Hu Jintao all’Università di Pretoria, in Sudafrica, nel febbraio del 2007. In tale circostanza Hu ricordò come la postura marittima della Cina fosse storicamente rivolta alla salvaguardia della pace, citando Zheng He come un uomo che “ha portato ai popoli africani un messaggio di pace e benevolenza, e non lame, pistole, razzie e schiavitù”.

Il Partito Comunista ha creato in questi ultimi decenni, e continuato a propagandare, questa narrazione di Zheng He come messaggero di pace, amicizia e diplomazia (鄭和是和平友好的使者), totalmente estraneo alla conquista di territori e alla colonizzazione dei popoli. Di conseguenza, questi è venuto a rappresentare il perfetto contraltare rispetto alla tradizione marittima occidentale, rappresentata dalla figura di Cristoforo Colombo, portatrice invece di distruzione coloniale. A ribadire questo concetto troviamo per esempio una delle ultime dichiarazioni propedeutiche al lancio della Giornata del Mare, rilasciata nel 2004 da Xu Zuyan, vice ministro delle comunicazioni, il quale afferma che quelle di Zheng He erano “[…] pacifiche attività diplomatiche. Durante le sette spedizioni verso i Mari Occidentali, Zheng He non occupò una singola porzione di territorio, non costruì fortezze, non si impadronì delle ricchezze di questi paesi. Nelle attività commerciali, adottò la pratica di dare più di quanto ricevuto, cosa che venne accolta con grandi onori dalle popolazioni incontrate durante la navigazione”. La nuova campagna marittima era quindi pronta per essere lanciata. Nel mese di maggio del 2005, il Consiglio di stato cinese dichiarò che l’11 luglio si sarebbe celebrata la prima Giornata del Mare, finalizzata ad accrescere la consapevolezza dell’importanza della navigazione e creare nella popolazione cinese un senso di appartenenza con il mare. Il tema della prima celebrazione racchiudeva al suo interno i principali obiettivi di Pechino: “Amare la madrepatria, essere amichevole con i paesi vicini, e navigare con rigore”. Il discorso inaugurale venne tenuto dal Vice Premier Huang Ju, che sottolineò come le spedizioni della flotta dorata di Zheng erano state fondamentali per la storia della navigazione, nonché per promuovere la coesistenza pacifica nella regione. In questo modo la Cina intendeva palesare la sua innata postura pacifica nelle relazioni internazionali, sottolineando l’importanza dell’armonia, della coesistenza pacifica e dello sviluppo dei vicini stati rivieraschi.Questo tipo di rappresentazione e messaggio è stato negli ultimi anni costantemente alimentato dal Partito, trovando uno spazio significativo non solo nell’arena domestica ma anche in quella regionale.

Zheng He e la creazione di un eroe condiviso

Esistono diversi santuari dedicati a Zheng He in tutto il Sud-Est Asiatico, dove viene indicato col nome di San-bao, ed esistono resoconti sul suo passaggio risalenti almeno al XVII secolo. Quello più famoso è sicuramente a Semarang, in Indonesia, che le autorità locali indicano anche come luogo dove giacciono le spoglie del marinaio, ma ne sono stati rinvenuti anche in Malaysia e Thailandia. Anche grazie a questi luoghi commemorativi, principalmente costruiti dell’estesa diaspora cinese nella regione, la mitica figura di Zheng He è ben presto diventata parte integrante della tradizione di diversi paesi. Un altro elemento di grande importanza è la fede musulmana dell’ammiraglio, che rende ancora più esplicito il legame con Jakarta e Kuala Lumpur. In questi ultimi anni, soprattutto dopo il grande lancio della Giornata del Mare nel 2005, è riemerso un forte interesse verso le gesta di Zheng He all’interno della comunità cinese in Indonesia. Lo sforzo della comunità cinese dell’isola di Giava si è intrecciato a quelli del Partito, che attraverso la voce di alcuni studiosi ha cominciato a sottolineare l’importanza della origini musulmane di Zheng, precisando che queste non sono antitetiche a un sentimento patriottico cinese. Queste due categorie, l’attaccamento patriottico alla Cina e la fede musulmana, non risultano pertanto divergenti, e Zheng He ne è l’esempio supremo.

Malacca e Semarang sono stati due dei principali snodi marittimi durante le spedizioni di Zheng He verso occidente, approdi fondamentali per la prosecuzione dei viaggi e nuova casa per molti dei marinai salpati dalla Cina, che preferirono stabilirsi in queste terre e non tornare nella madrepatria. Di conseguenza, non deve stupire come queste due città siano diventate l’epicentro del culto di Zheng He fuori dalla Cina. A partire dai primi anni duemila, entrambe le città hanno intrapreso una vera e proprio opera di branding, per associare il proprio nome a quello dell’ammiraglio eunuco. A Semarang, importante città portuale nell’isola di Java, il mito è stato fondato attorno al tempio di Sam Poo Kong (三保洞), che deve il nome proprio al suo presunto fondatore, del quale si narra fosse solito pregare nell’area nella quale avrebbe fatto appositamente costruire un tempio. L’attuale struttura risale al 1724 ed è composta da cinque padiglioni, in tradizionale stile Ming, al cui centro si erge una statua di bronzo di Zheng He alta 11 metri. Qui sono ospitate anche un’ancora e un’arma appartenente a un membro dell’equipaggio, apparentemente sopravvissute alle varie  distruzioni e ricostruzioni della struttura. Seguendo la calendarizzazione cinese, il 30 giugno viene commemorato l’arrivo di Zheng He a Semarang, e questa ricorrenza porta al tempio un gran numero di seguaci.

Anche la cittadina di Malacca, un tempo snodo commerciale fondamentale nella parte occidentale della Penisola Malese, ha cercato di valorizzare il suo retaggio marittimo e associarsi così al culto di Zheng He. Il fulcro di questa rinnovato identitarismo è il Cheng Ho Cultural Museum, lo spazio museale più grande della città, aperto nel 2005 sui resti di un vecchio magazzino utilizzato da Cheng Ho (nome con cui Zheng era conosciuto nell’area) durante i suoi viaggi. Durante gli scavi per la costruzione del museo vennero rinvenuti alcuni pozzi, in due dei quali vennero rinvenuti dei frammenti di porcellana risalenti all’epoca Ming. Inoltre, le pareti interne degli stessi erano contornate da blocchi di granito, una pratica apparentemente indicativa del passaggio delle spedizioni cinesi.

Oltre all’ovvia dimensione turistica, questo spazio venne inteso come un ponte ideale tra Cina e Malaysia, attraverso una narrazione congiunta incentrata sulla vita e i soggiorni malesi dell’ammiraglio. L’anno di apertura non è certamente casuale, coincidendo con l’istituzione della Giornata del mare per il 600° anniversario della prima spedizione di Zheng He. Anche questo spazio non ha mancato di attirare l’interesse di Pechino, ricevendo, nel 2013, la visita ufficiale di Jia Qinglin, ai tempi uno dei principali quadri all’interno del PCC.

Grazie a questa estesa opera patriottica e diplomatica, la RPC è non solo riuscita a scrivere un nuovo passato marittimo, che fosse allo stesso tempo specchio delle proprie ambizioni espansioniste eppure pacifista, ma anche a renderlo condiviso, e condivisibile, con altre realtà regionali. In questo senso, il fine ultimo di Pechino è rendere più che legittimo, ma quasi sacro e naturale, il suo controllo sul Mar Cinese Meridionale, proprio perché il Partito Comunista raccoglierebbe la virtuosa eredità di Zheng He.

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Di Alessandro Uras per Sinosfere*

**Sinosfere è una rivista che si occupa di cultura cinese, intesa come l’universo molteplice e mutevole delle rappresentazioni che, viaggiando storicamente nel tempo e nello spazio, hanno variamente influenzato i particolari modi di vedere, di parlare e di sentire che informano la vita delle società cinese odierne. Creata da un gruppo di studi di storia e cultura cinese, Sinosfere vuole essere – come meglio si chiarisce in altro luogo – una piattaforma volta a esplorare e una discussione sulle dinamiche socio-culturali cinesi indagando su una logica peculiare che il governano.