In Cina e Asia – Washington venderà a Taiwan 2 miliardi di nuove armi

In Notizie Brevi by Redazione

Dopo mesi di speculazioni, l’amministrazione Trump ha approvato la vendita di nuove armi a Taiwan per un importo record. Il Congresso ha 30 giorni per bloccare la proposta. La commessa – che vale oltre 2 miliardi di dollari e comprende 108 carri armati Abrams, 250 missili Stinger e attrezzature correlate – arriva in seguito all’introduzione di un meccanismo che rende più rapida e regolare la cessione di equipaggiamento militare all’isola democratica. Sebbene non abbiano più rapporti diplomatici formali dal 1971, Washington è tenuto a supportare le capacità di autodifesa dell’ex Formosa nell’ambito del Taiwan Relations Act. Da quando Trump ha assunto la presidenza, tuttavia, le relazioni con Taiwan hanno vissuto una nuova fase espansiva, soprattutto in chiave anti-cinese. Al contempo le relazioni tra Pechino e Taipei sono precipitate a un nuovo minimo storico da quando Tsai Ing-wen ha rifiutato di riconoscere ufficialmente il principio “una sola Cina” [fonte: Scmp]

A Hong Kong si torna a parlare di suffragio universale

La legge sull’estradizione “è morta”. Lo ha ribadito questa mattina la chief executive Carrie Lam in un incontro con la stampa, dopo un’altra giornata di proteste, questa volta mirate a istruire i turisti cinesi di passaggio a Hong Kong nel weekend sulle motivazioni del movimento anti-estradizione. Ammettendo i propri errori, la leader si è detta favorevole al dialogo con i giovani e l’opposizione politica e ha ribadito che la proposta di emendamento non verrà reintrodotta in parlamento e decadrà alla fine dell’attuale legislatura (nel luglio 2020), disattendendo tuttavia le richieste dei manifestanti che chiedono: la rimozione totale della legge; il rilascio di tutti gli arrestati; un’inchiesta indipendente per verificare la condotta della polizia negli scontri del 12 giugno e le dimissioni di Lam. Negli ultimi giorni, tuttavia, la posizione dei dimostranti è mutata, tornando a insistere su una maggiore apertura democratica. Tanto tra i manifestanti quanto tra l’establishment pro-Pechino, si è ricominciato a discutere di riforme politiche e dell’introduzione del suffragio universale, per cui si sono battuti invano gli Ombrelli nel 2014. Una svolta che potrebbe complicare la situazione. Infatti, se l’estradizione è trattabile, una maggiore autonomia politica sottrarrebbe l’ex colonia britannica al controllo di Pechino ed è pertanto fuori discussione [fonte: Strait Times]

La Turchia fa un passo indietro sul Xinjiang

Lo scorso febbraio il ministro degli esteri turco aveva definito il trattamento cinese della minoranza Uigura come “un grande imbarazzo per l’intera umanità”. La Turchia è l’unico paese musulmano ad essersi espresso fino ad ora, contro la politica cinese di detenzione e persecuzione della minoranza Uigura dello Xinjiang. I toni si sono però drasticamente  attenuati in seguito alla visita di stato del presidente turco Erdogan in Cina la scorsa settimana. Troppi sono infatti i legami tra l’economia cinese e quella turca per inasprire le relazioni. “Penso che si possa trovare una soluzione che soddisfi la sensibilità di ambo le parti” ha dichiarato Erdogan, dicendosi disponibili a inviare una delegazione nella regione per supportare il processo di mediazione [fonte: Al-Jazeera]

Figlio dell’ex ministro degli Esteri sudcoreano “fugge” al Nord

Choe In-guk , figlio dell’ex ministro degli Esteri sudcoreano Choe Dok-shin sarebbe “fuggito” al Nord seguendo le orme paterne. Secondo il sito nordcoreano Uriminzokkiri, Choe è arrivato a Pyongyang nel weekend per dedicare il resto della propria vita alla riunificazione delle due Coree. Una tesi parzialmente sostenuta dal ministero dell’Unificazione sudcoreano, secondo il quale il 73enne si sarebbe effettivamente recato nel Regno Eremita senza permesso speciale, come richiesto dal protocollo ed effettivamente avvenuto durante le precedenti visite. Se confermata, si tratterebbe di una rara diserzione da parte di un cittadino sudcoreano al Nord.  Fuggito nel 1986 per motivi politici, il padre Choe Dok-shin è ad oggi il funzionario sudcoreano di livello più elevato ad aver scelto di servire la famiglia Kim [fonte: Bbc]

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