In Cina e Asia – Tsai conferma presenza militare Usa a Taiwan

In Notizie Brevi, Uncategorized by Redazione

I titoli di oggi:

  • Tsai conferma presenza militare Usa a Taiwan
  • Nuovi focolai in Cina intensificano i controlli in vista dei Giochi invernali
  • La cinese Cosco ottiene la maggioranza nel porto del Pireo
  • Hong Kong: la legge sulla sicurezza nazionale colpisce le produzioni cinematografiche
  •  I magnati dell’immobiliare cinese fuori dalla lista dei super ricchi

 

Tsai Ing-wen è diventata il primo presidente taiwanese a confermare la presenza militare americana sull’isola, mettendo un punto alle indiscrezioni circolate nell’ultimo anno e mezzo. L’ultima guarnigione ufficiale ha lasciato Taiwan nel 1979, l’anno in cui Washington ha stretto rapporti diplomatici ufficiali con Pechino. Un video pubblicato e poi cancellato dall’esercito statunitense all’inizio del 2020 mostrava le forze speciali addestrare soldati taiwanesi. Nel novembre dello stesso anno, il ministero della Difesa ha annunciato e poi negato ai media locali che le truppe statunitensi stavano effettivamente formando il personale locale sull’isola. Tsai non ha voluto dire esattamente quanti sono i militari americani coinvolti nel programma, ma ha dichiarato che “non sono così tanti come pensa la gente”, aggiungendo che  “abbiamo una vasta gamma di cooperazioni con gli Stati Uniti che mira ad aumentare la nostra capacità di difesa”. La presidente ha inoltre auspicato uno scambio diretto con Xi Jinping, sottolineando come la comunicazione ai vertici può aiutare a evitare “malintesi”. Ma Pechino ha già manifestato tutto il suo disappunto per la liaison tra Taipei e Washington. Soprattutto dopo l’appello del segretario di Stato Antony Blinken per un’inclusione (informale) dell’isola nelle agenzie Onu nel rispetto del principio “una sola Cina”. Secondo il Global Times, l’iniziativa americana rischia di vanificare i recenti sforzi distensivi, sugellati dalla recente telefonata tra il Segretario al Tesoro Janet Yellen e il vicepremier cinese Liu He. Il tema Taiwan pare sia ricomparso nel corso dell’East Asia Summit di mercoledì. Secondo una registrazione ottenuta da AP, parlando davanti a leader asiatici, Joe Biden ha affermato a porte chiuse che l’impegno degli Stati Uniti a Taiwan è “solido e coerente tra le amministrazioni. Continua ad essere il mantenimento della pace e della stabilità attraverso lo Stretto e all’interno della regione”. [fonte CNN, SCMP]

Nuovi focolai in Cina intensificano i controlli in vista dei Giochi invernali

Atleti, allenatori e personale di supporto chiusi in una bolla. Sono in sintesi le nuove disposizioni comunicate ieri da Zhang Jiandong, vice sindaco della capitale cinese e vice presidente del comitato organizzatore dei Giochi olimpiaci invernali di Pechino 2022. Secondo la politica nazionale della “tolleranza zero” nei confronti del Covid, i partecipanti dovranno restare per tutto il tempo in un “circuito chiuso” ed evitare qualsiasi contatto con il pubblico. Una serie di misure ferree che dipendono dal fatto che quella pandemica “è la più grande sfida” affrontata dagli organizzatori, ha detto Zhang, e soprattutto motivata dai nuovi focolai registrati nelle ultime settimane in 11 province e regioni del paese. Il ministero della Salute ha segnalato martedì 50 casi sintomatici di variante Delta, più contagiosa, di cui 32 solo nella regione autonoma della Mongolia Interna. I primi casi sono stati segnalati meno di due settimane fa e sono ricollegabili a vari gruppi di turisti cinesi che hanno viaggiato anche nello Shaanxi e nel Gansu.

L’allerta è alta. Gli atleti d’oltremare che gareggeranno ai Giochi invernali sono tenuti a monitorare la loro salute nelle due settimane prima dell’arrivo in Cina, e a sottoporsi a test giornalieri e a frequenti controlli di temperatura una volta nel paese. Le conseguenze per chi non rispetterà le misure di prevenzione potranno limitarsi ad avvertimenti, o determinare la rapida squalifica dai Giochi. [fonte SCMP, SCMP]

La cinese Cosco ottiene la maggioranza nel porto del Pireo

Il gigante dei trasporti marittimi Cosco ha ottenuto ufficialmente una partecipazione del 67% del porto del Pireo, il principale hub commerciale della Grecia. Lunedì 25 ottobre la società ha festeggiato l’acquisizione di un ulteriore 16% delle partecipazioni. Durante l’evento Cosco ha fatto alcune dichiarazioni che mettono in luce il suo operato nel Mediterraneo, tra cui l’aumento dei traffici che avrebbero favorito lo sviluppo del porto. Secondo quanto annunciato dal presidente Xu Lirong, l’ampliamento della presenza della compagnia cinese nel Pireo punta ad allargare le rotte commerciali nel Mediterraneo e “rafforzare la sua posizione e diventare un importante ponte di civiltà, economia e amicizia tra Cina e Grecia nell’ambito della Belt and Road Initiative”.

La prima acquisizione dell’asset portuale da parte di Cosco risale al 2016, quando la società ha ottenuto il 51% delle azioni da parte della Pireo Port Authority, per un valore di 280 milioni di euro. Ma la posizione della società cinese non è mai stata priva di critiche per la sicurezza regionale e nazionale, sia da parte degli attori locali che dagli Stati Uniti. Infine, si aggiungono alcune macchie sull’operato della compagnia: l’ultima notizia riguarda lo sciopero di 24 ore annunciato dai dipendenti di Cosco in segno di protesta contro la morte di un collega. [fonte Nikkei, Euractiv]

Hong Kong: la legge sulla sicurezza nazionale colpisce le produzioni cinematografiche

Approvata ieri dal Consiglio Legislativo di Hong Kong, la nuova legge autorizza il segretario capo, la seconda figura più importante dell’amministrazione locale, a consolidare il controllo sulle nuove produzioni e a revocare la licenza di film capaci di “incoraggiare attività che potrebbero mettere in pericolo la sicurezza nazionale”. Per chi viola la legge è previsto un inasprimento delle pene: multe fino a un milione di HKD e tre anni di reclusione.

Si tratta di “una chiara censura politica”, ha detto a Reuters Kenny Ng, docente alla Academy of Film della Hong Kong Baptist University, secondo cui “l’industria cinematografica avrà bisogno di tempo per adattarsi”. Per decenni quella di Hong Kong è stata una delle più grandi al mondo – al terzo posto dopo Bollywood e Hollywood – e gli esperti temono che le misure soffocheranno la creatività delle nuove produzioni e colpiranno in maniera importante il vecchio cinema così produttivo negli anni Ottanta e Novanta.

In seguito alle proteste pro-democrazia iniziate nel 2019, e a un anno di distanza dall’introduzione da parte di Pechino della legge sulla sicurezza, il governo locale ha intensificato i controlli su istruzione, arti e cultura: nei mesi scorsi sono finiti sotto il giogo della censura alcuni documentari che hanno raccontato le manifestazioni a cavallo tra il 2019 e il 2020 da punti di vista differenti: tra questi, “Cockroaches” del celebre e controverso artista cinese Ai Weiwei e “Do not split”, diretto da Anders Hammer e candidato agli Oscar – di cui quest’anno è stata vietata la trasmissione per la prima volta dal 1969. [fonte Reuters]

 I magnati dell’immobiliare cinese fuori dalla lista dei super ricchi

Il presidente e fondatore del Evergrande Xu Jiayin è sceso in un anno dal quinto al settantesimo posto nella lista annuale dei ricchissimi, pubblicata ieri. Appena quattro anni fa il magnate occupava il gradino più alto del podio della Hurun China Rich, redatta dalla società di investimenti di Rupert Hoogewerf. Ma nell’ultimo anno il suo patrimonio si è ridotto del 70%, con una perdita che secondo le stime ha raggiunto i 25 miliardi di dollari. Sono 300, invece, quelli a cui ammonta il debito della società, travolta dalle conseguenze degli avvertimenti di Pechino degli ultimi anni sulla necessità di ridurre i debiti e limitare l’esposizione ai rischi finanziari per il mercato immobiliare.

Dopo il mancato pagamento di una cedola a fine settembre, le autorità hanno chiesto a Xu di attingere al suo patrimonio personale per coprire l’enorme debito della società, segno ancora più tangibile della riluttanza a un salvataggio di governo. Xu non è il solo ad aver accusato l’offensiva normativa di Xi Jinping: dopo la cancellazione dell’offerta pubblica iniziale di 37 miliardi di dollari da parte di Ant Group e la multa di quasi 3 miliardi a Alibaba, entrambe di proprietà di Jack Ma, il miliardario rinnovatosi filantropo è sceso quest’anno al quinto posto dalla medaglia d’oro del 2020.

L’utilità della lista, secondo quanto dichiarato da Hoogewerf, è di offrire uno spaccato sull’andamento attuale dei modelli di business. Metà dei volti cinesi nella lista sono nuovi rispetto a cinque anni fa, ha aggiunto, a dimostrazione di un “settore privato cinese molto dinamico”. Ad aggiudicarsi il primo posto è Zhong Shanshan, magnate dell’acqua in bottiglia Nongfu Spring, con un patrimonio personale di 60,6 miliardi di dollari. [fonte FT, Bloomberg, SCMP]

A cura di Vittoria Mazzieri, Sabrina Moles e Alessandra Colarizi