In Cina e Asia — Tpp al centro del vertice Apec

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Le nostre principali notizie asiatiche di oggi.


Tpp al centro del vertice Apec

La moribonda Trans-Pacific Partnership sarà il vero protagonista del vertice Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation), che tra il 18 e il 19 maggio riunisce ad Hanoi i ministri del Commercio dei paesi del blocco. Da quando gli Stati Uniti hanno annunciato il proprio ritiro, le rimanenti 11 nazioni coinvolte nell’accordo hanno espresso il desiderio di portare avanti il progetto, nonostante la defezione americana. Magari invitando la Cina a riempire il buco. Eventuali progressi in questo verso, d’altra parte, potrebbero comportare un un temporaneo rallentamento delle negoziazioni sulla concorrente Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), surrogato a trazioni cinese da cui gli Usa sono esclusi. Tutti gli occhi saranno puntati sul nuovo U.S. Trade Representative, Robert Lighthizer, entrato ufficialmente in carica pochi giorni fa e probabile fonte di nuovi dettagli sulla posizione che l’amministrazione Trump si appresta ad assumere nelle questioni commerciali nell’Asia-Pacifico.

Stampa cinese: dietro WannaCry c’è lo zio Sam

Mentre a livello internazionale crescono i sospetti che dietro WannaCry ci sia lo zampino di Pyongyang, in Cina le critiche sono tutte dirette contro gli Stati Uniti, da cui proviene il materiale informatico — rubato alla National Security Agency (Nsa) — utilizzato per effettuare gli attacchi degli ultimi giorni, che oltre la Muraglia hanno fatto circa 30mila vittime. Secondo il China Daily, “gli sforzi concertati per combattere i crimini informatici sono ostacolati dalle azioni degli Stati Uniti”. La prima economia mondiale, infatti, non ha più “prove credibili” per limitare l’utilizzo di tecnologia cinese adducendo preoccupazioni relative alla sicurezza, continua il quotidiano che taccia gli Usa di ipocrisia e invita Pechino a prendere provvedimenti per limitare ulteriormente la circolazione di tecnologia straniera nel paese asiatico. Proprio in questi giorni la comunità internazionale ha espresso le proprie preoccupazioni per l’imminente implementazione della dibattuta cyber security law. Mentre la Cina punta il dito contro l’altra sponda del Pacifico, sulla stampa governativa passano in sordina le presunte responsabilità della Corea del Nord, che dagli anni ’90 addestra giovani smanettoni all’hackeraggio. Molti di loro operano nelle città cinesi di Shenyang e Dandong.

La stretta sullo Xinjiang passa per il DNA

Le autorità della regione musulmana dello Xinjiang si apprestano a raccogliere campioni di DNA su vasta scala, confermando un trend evidenziato lo scorso anno quando la regione autonoma ha cominciato a chiedere campioni del sangue, impronte digitali e registrazioni vocali a chiunque intendesse fare domanda per un passaporto. Una misura volta a limitare e controllare più serratamente gli spostamenti della popolazione islamica locale, sospettata di intrattenere rapporti con i paesi esportatori di terrorismo nel vicino Occidente. La polizia locale ha dichiarato di aver stanziato 8,7 milioni di dollari per acquisire la strumentazione necessaria alla massiccia operazione. Secondo il ministero della Sicurezza pubblica, dal 1989 a oggi Pechino ha collezionato ben 40 milioni di informazioni genetiche, mettendo in piedi il database più esteso al mondo.

Proibita la vendita di carne di cane a Yulin

Secondo Humane Society International (HSI) e il gruppo Duo Duo Animal Welfare Project, quest’anno durante il controverso festival di Yulin “ristoranti, venditori di strada e operatori del mercato non potranno vendere carne di cane”. Il divieto temporaneo, che diventerà effettivo a partire dal 15 giugno, una settimana prima dell’evento, è opera del nuovo segretario del partito locale, Mo Gongming, e prevede per i trasgressori multe fino a 14.500 dollari e in alcuni casi persino l’arresto. Si stima che in Cina ogni anno vengano macellati tra i 10 e i 20 milioni di cani, ma una crescete sensibilità animalista ha reso il festival di Yulin inviso a molti, spingendo il governo a prendere le distanze.

Manila dice no agli aiuti europei

Le Filippine non accetteranno più aiuti allo sviluppo dall’Unione europea. Rodrigo Duterte avrebbe infatti rifiutato 250 milioni di euro — destinati in buona parte a sedare le sanguinose rivolte musulmane nel sud del paese — in risposta alle critiche mosse dal blocco dei 28 contro le violazioni dei diritti umani durante la campagna antidroga lanciata dal “Giustiziere”. A marzo l’ingerenza dell’Ue negli affari filippini aveva spinto Duterte a rispolverare il suo usuale linguaggio colorito. “Sarò felice di impiccarvi, se potessi scegliere vi impiccherai tutti”, aveva minacciato il presidente, rivolgendosi ai funzionari europei critici nei confronti della proposta di Duterte di ripristinare la pena di morte nelle Filippine.