In Cina e Asia – Taiwan (rimane) fuori dall’OMS

In Notizie Brevi by Sabrina Moles

Taiwan (rimane) fuori dall’OMS

Fallisce, ancora una volta, il tentativo di partecipare all’assemblea annuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: l’incontro si è chiuso questo lunedì lasciando Taipei fuori dall’agenda, nonostante i tentativi degli ultimi mesi per ottenere il riconoscimento presso l’organizzazione. La richiesta, avanzata da due alleati diplomatici di Taiwan (Nauru ed eSwatini), era di accogliere l’isola all’interno dell’OMS in qualità di osservatore. Il Comitato ha però deciso di non trattare la questione, in particolare a causa delle obiezioni avanzate da Pechino: solo se Taipei si allineasse al principio di un’unica Cina, ha precisato l’inviato cinese Chen Xu. Il tentativo di accedere all’OMS di Taiwan era motivato dal sostegno degli alleati e dal successo delle misure anticovid durante i primi mesi della pandemia. Manovre che non hanno fatto piacere a Pechino, accusata lo scorso sabato da un funzionario taiwanese di sfruttare la seconda ondata sull’isola per minarne la stabilità attraverso una “guerra cognitiva” a base di fake news e propaganda. A proposito di Covid-19, sono ben altre le notizie che arrivano oltreoceano: questa domenica il Wall Street Journal ha citato un rapporto dell’intelligence statunitense che suffragherebbe la teoria della fuga del virus dal laboratorio di Wuhan. Secondo quanto riportato dal giornale americano, tre ricercatori dell’istituto di virologia di Wuhan avrebbero richiesto assistenza sanitaria a novembre 2019, un mese in anticipo rispetto alle prime segnalazioni di casi di Covid-19 sul territorio cinese. L’ultimo studio dell’OMS sul posto aveva decretato che la fuga del virus dal laboratorio era “estremamente improbabile”, ma il nodo centrale della questione rimane l’incerta compatibilità tra inizio dei contagi e prima segnalazione alla comunità internazionale. [Fonti: Reuters, The Guardian, Reuters]

 

Cina: ultramaratona si trasforma in tragedia

Un fenomeno climatico estremo ha decretato la fine (anticipata) di una gara di 100 km partita lo scorso sabato in Gansu, provincia della Cina nordoccidentale. Ventuno le vittime, colpite da un’improvvisa gelata unita a vento e grandine che si è abbattuta su un tratto del percorso in alta quota. I restanti 151 partecipanti sono stati portati al sicuro, ma molti avevano perso l’orientamento e si trovavano in stato di ipotermia o incoscienza. Le operazioni di soccorso sono state inoltre ostacolate dagli smottamenti lungo il tracciato della maratona. Le testimonianze dei sopravvissuti hanno presto infiammato il dibattito sul web: per quanto drastico, l’improvviso calo delle temperature era stato segnalato dal centro meteorologico provinciale. La risposta dei governi locali, per ora, è la sospensione di tutte le competizioni sportive all’aperto fino a nuovo avviso. L’ipotesi è che le attività potranno riprendere solo a fronte di chiare e precise garanzie di sicurezza da parte degli organizzatori, cosa che potrebbe distruggere le realtà minori che non possono permettersi nuovi investimenti. Il governo del Gansu ha avviato delle indagini per approfondire le cause della tragedia, che potrebbero avere a che fare con il boom degli eventi sportivi che in questi ultimi anni sta attirando enormi quantità di denaro a scapito della sicurezza dei partecipanti. [Fonti: Reuters, SCMP]

I vigneti minacciano il Green Great Wall cinese

L’eterno disallineamento tra politiche centrali e locali è (anche) una questione ambientale: un’area dedicata al rimboschimento nelle zone desertiche tra Gansu e Xinjiang è finita al centro di uno scandalo perché gli alberi sono stati sostituiti da chilometri di vigneti. Degli 87 milioni di acri coinvolti nell’ambizioso progetto di una muraglia verde contro l’avanzamento dei deserti, la Yangguan Forestry Farm ne aveva ottenuti 1900 nel 1963. Ma dal 2006 la fattoria di proprietà statale vicino a Dunhuang ha iniziato ad affittare a società private e agricoltori parte dei terreni, che si sono presto rivelati molto redditizi per la coltivazione della vite. Oggi, oltre metà dell’ex foresta è un enorme vigneto, che Pechino vuole abbattere per portare avanti la sua agenda contro il degrado dei suoli. Ma i proprietari non ci stanno: “gli alberi erano spariti ancora prima che io affittassi questo lotto”, afferma uno degli intervistati. “Che le famiglie coltivassero uva non era un segreto: se è colpa di qualcuno, lo è sicuramente delle autorità locali”. L’area di Dunhuang è una delle meraviglie storico-naturali dell’antica via della seta, e proprio per questo motivo Pechino ha sempre osteggiato lo sviluppo dell’industria pesante per non contaminare l’attrattività turistica della zona. Questo per gli abitanti locali significa tentare qualsiasi strategia di business alternativa, e tra queste la viticoltura di Dunhuang rappresenta un’eccellenza a livello nazionale. Nonostante le vigne creino delle macchie di vegetazione nel deserto, la domanda di acqua rimane troppo alta per questa zona, dove le precipitazioni annuali non raggiungono i livelli di Dubai. [Fonte: Bloomberg]

Myanmar: Aung San Suu-Kyi a giudizio

Secondo quanto riportato da un portavoce della giunta militare birmana, Zaw Min Tun, lunedì mattina si è tenuta la prima fase in presenza del processo alla Lady. È la prima volta dall’inizio del golpe, ed è durato solo una mezz’ora. Ora, gli avvocati dell’ex leader del Myanmar non sanno dove si trovi di preciso, se sia stata riportata a casa o detenuta in un altro luogo. Quello che emerge dall’ultimo incontro con i suoi legali è che sia informata su parte degli sviluppi recenti. Ora il Tatmadaw punta a sciogliere per vie legali il partito di Suu-Kyi, nonché partito di maggioranza, la National League of Democracy (NLD). Il bilancio di morti e arresti legati al movimento di disobbedienza civile rimane drammatico, mentre studenti e personale scolastico si stanno organizzando per boicottare l’inizio dell’anno accademico previsto il 1° giugno. Preoccupa la sorte di Danny Fenster, caporedattore di Myanmar Frontier, quarto giornalista straniero a venir incarcerato per motivi legati alla copertura mediatica delle proteste. L’assemblea generale delle Nazioni Unite dovrebbe votare a breve una risoluzione di embargo sulle armi nei confronti di Naypyidaw, già rimandata dalla scorsa settimana. [Fonte: Nikkei]