In Cina e Asia – Pyongyang: «Possiamo colpire gli Usa»

In Uncategorized by Gabriele Battaglia

I titoli di oggi della nostra rassegna:

– Pyongyang: «Possiamo colpire gli Usa»
– Una Via della seta green. E Pechino inaugura il tunnel ferroviario più lungo dell’Asia
– India e Pakistan nell’organizzazione di sicurezza sinorussa
– Sospetti per la morte improvvisa del diplomatico Wu Jianmin 
– Aung San Suu Kyi in Thailandia cerca accordi con la giunta militare Pyongyang: «possiamo colpire gli Usa»

La Corea del Nord può colpire gli Stati Uniti: è questo il messaggio lanciato da Pyongyang ieri in seguito a quello che è apparso un test balistico andato a buon fine.
Dopo cinque tentativi falliti, infatti, uno dei due missili Musudan lanciati ieri è finito nel Mar del Giappone dopo aver volato per circa 400 chilometri. 

In linea con il leader Kim Jong-un, i media ufficiali nordcoreani hanno salutato il «grande evento» che avrebbe «ampliato enormemente» la capacità di attacco preventivo del regime nordcoreano in direzione degli Stati Uniti e del «teatro del Pacifico». Condanne invece sono arrivate da Giappone, Corea del Sud, dalla comunità internazionale e dal segretario alla difesa Usa Ashton Carter. Quest’ultimo ha annunciato che gli Stati Uniti proseguiranno sulla strada intrapresa negli ultimi anni: accelerare l’entrata in funzione del sistema anti-missile Thaad in Corea del Sud. Con il rischio di ampliare la frattura con la Cina.

Una Via della seta green. E Pechino inaugura il tunnel ferroviario più lungo dell’Asia

La nuova Via della seta sarà «verde, sana, intelligente e pacifica». Così Xi Jinping a Tashkent, Uzbekistan, di fronte al parlamento locale, ha rilanciato il progetto One Belt One Road e invitato l’Uzbekistan e gli altri paesi della regione a cooperare con Pechino per portarlo a termine entro i prossimi anni. La ricetta proposta da Pechino è quella del «reciproco beneficio e apprendimento», dell’«inclusività» e dello «sviluppo comune» per il rilancio dell’economia globale.

Allo stesso tempo, Xi Jinping ha sottolineato l’importanza della salvaguardia dell’ambiente lungo la nuova Via della seta. Il leader cinese si trova a Tashkent per l’apertura del vertice della Shanghai Cooperation Organization (Sco), l’organizzazione di sicurezza e cooperazione strategica eurasiatica lanciata nel 2001. A Tashkent, con il presidente uzkbeko Islam Karimov ha assistito al taglio del nastro del tunnel di Qamchiq, il tunnel ferroviario più lungo dell’Asia centrale (19,2 km), costruito da China Railway Tunnel Group tra Uzbekistan, Tajikistan e Kirghizistan.
Oltre 70 soggetti tra governi nazionali e organizzazioni multilaterali hanno preso parte nel grande piano di sviluppo della nuova Via della seta. Nel 2015, il volume di scambi commerciali tra Cina e paesi coinvolti nel progetto ha toccato i mille miliardi di dollari.

India e Pakistan nell’organizzazione di sicurezza sinorussa

La Shanghai Cooperation Organization (Sco), vertice di sicurezza e cooperazione eurasiatiaco che si riunisce oggi a Tashkent, Uzbekistan, accoglierà ufficialmente due nuovi membriIndia e Pakistan. Il premier indiano Narendra Modi e il presidente pakistano Mamnoon Hussain saranno in Uzbekistan per rappresentare i rispettivi paesi. Negli ultimi anni, Delhi e Islamabad hanno puntato a un maggiore coinvolgimento nella regione dell’Eurasia: a interessarli è l’ambizioso progetto cinese di revival della Via della seta su mare e su terra.

La Sco, guidata dal binomio sino-russo, è stata fondata nel 2001 per fare da contraltare alla Nato. Ha sede a Pechino e comprende oltre a Cina e Russia, le ex repubbliche sovietiche di Kazakistan, Uzbekistan, Tajikistan e Kirghizistan. 
L’attività della Sco è principalmente concentrata sulla condivisione tra i paesi membri di informazioni di intelligence, antiterrorismo e cooperazione contro il terrorismo informatico. India e Pakistan vedono l’accesso Con l’ingresso di India e Pakistan, ufficializzato oggi, l’organizzazione comprenderà paesi che rappresentano il 40 per cento della popolazione mondiale

Sospetti per la morte improvvisa del diplomatico Wu Jianmin 

L’improvvisa morte dell’ex diplomatico Wu Jianmin fa discutere la Cina. L’uomo è scomparso sabato scorso in un incidente stradale. Nell’ultima settimana l’hashtag #WuJianminDiedCar Crash# è comparso oltre 180 milioni di volte con oltre 24mila commenti. Wu infatti era conosciuto per essere un ex diplomatico «scomodo», non sempre allineato al Partito. Per lui, interprete di Mao Zedong, Zhou Enlai e poi ambasciatore in Francia, alle Nazioni Unite a Ginevra, la Cina avrebbe dovuto mantenere un profilo basso in campo internazionale. Questa linea è stata mantenuta tra gli anni ’90 e 2000, ma è stata poi rovesciata dall’arrivo sulla scena di Xi Jinping nel 2012 nel tentativo di ritagliare un ruolo di leader mondiale per la Cina.

Nel 2014 ad esempio, in un dibattito con un generale dell’Esercito di liberazione popolare, Wu aveva avvertito del rischio di essere coinvolti in situazioni rischiose se la Cina avesse voluto intraprendere la strada del conflitto. Chiaro riferimento al Mar cinese meridionale, dove la tensione tra Cina e Usa è sempre maggiore. Wu avrebbe inoltre in più occasioni fornito indizi sulle fratture interne al partito e sul ruolo del Ministero degli esteri, subordinato agli organi centrali del partito.

Aung San Suu Kyi in Thailandia cerca accordi con la giunta militare

Dopo 15 anni in arresto per ordine di una giunta militare, Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, oggi ministra degli esteri del governo birmano, cerca accordi diplomatici con un’altro governo militare, in Thailandia. Un tempo vicino stabile e democratico del chiuso e dittatoriale Myanmar, la Thailandia vive oggi un momento storico molto simile a quello vissuto in Myanmar otto anni fa, prima della transizione democratica del 2011. Stretta sull’opposizione e sulla libertà di espressione, e popolazione chiamata a votare su una nuova costituzione scritta dalla giunta guidata dal generale Prayuth. Chi critica la costituzione e fa campagna contro il governo rischia fino a 10 anni di carcere.

Non sono un’attivista — avrebbe detto Suu Kyi — ma una politica, che deve prendere decisioni difficili per il proprio paese. Ma c’è chi si augura che lei e il Myanmar possano diventare faro di giustizia e libertà per tutto il Sudest asiatico.