In Cina e Asia – Pechino studia il nuovo Segretario di Stato americano

In Uncategorized by Gabriele Battaglia

I titoli della rassegna di oggi:

– Pechino studia il nuovo Segretario di Stato americano
– La variabile Trump incentiva gli investimenti cinesi nel Sudest asiatico
– La Cina si riconcilia con il cinema giapponese, snobba quello sudcoreano
– La nazionale cinese di pole dance boicotta i campionati di Firenze: manca la bandiera
– Il Giappone dice sì ai casinò 
– Duterte ammette: «Anche io ho ucciso»
– HRW: dietro le devastazioni nello Stato Rakhine c’è la mano dei militari
Pechino studia il nuovo Segretario di Stato americano

La nomina a Segretario di Stato di Rex Tillerson, presidente del colosso energetico ExxonMobil, aggiunge incertezze alla tenuta delle relazioni sino-americana sotto il governo Trump. «Speriamo che le organizzazioni responsabili per la diplomazia tra i due paesi possano migliorare la comunicazione, approfondire la cooperazione e giocare un ruolo costruttivo per uno sviluppo sano delle relazioni sino-americane», Rex Tillersonha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinese alla notizia dell’incarico. Tuttavia, sebbene le tendenze filorusse di Tillerson siano cosa ben nota, lo stesso non si può dire della sua posizione nell’Asia -Pacifico. The Donald si è limitato a dire che è «un forte sostenitore degli interessi nazionali vitali dell’America, e può aiutare a correggere anni di politiche estere sbagliate e di azioni che hanno indebolito la sicurezza e la posizione degli Stati Uniti nel mondo». L’imprevedibilità del nuovo governo rischia di aggiungere ulteriori variabili alle vecchie frizioni. Mercoledì l’ammiraglio Harry Harris, capo del U.S. Pacific Command, da Sydney ha fatto sapere che gli Stati Uniti sono sempre pronti ad affrontare l’aggressività cinese nel Mar Cinese Meridionale, non importa quante basi militari vengano costruite.

La variabile Trump incentiva gli investimenti cinesi nel Sudest asiatico

Mentre la nomina di Trump a presidente agita il fantasma del protezionismo commerciale, Pechino guarda sempre più al Sudest asiatico. Non solo per l’implementazione di un accordo commerciale concorrente alla TPP (la Regional Comprehensive Economic Partnership), ma anche come meta di investimenti diretti, più che raddoppiati nel 2016. Secondo Credit Suisse, i FDI nei paesi Asean dovrebbero raggiungere i 16 miliardi di dollari quest’anno. Thailandia, Malaysia, Filippine sono tra le mete più gettonate. Giocano a favore di Pechino questioni di politica interna, ma anche il rapido sviluppo della regione. Quest’anno le sei principali economie dell’Asean dovrebbero riportare una crescita di oltre il 3 per cento.

La Cina si riconcilia con il cinema giapponese, snobba quello sudcoreano

Il raffreddamento diplomatico tra Cina e Corea del Sud fa bene all’industria cinematografica giapponese. Sono ben 10 i film nipponici proiettati nelle sale cinesi dall’inizio del 2016, dopo anni di pressoché assoluta assenza dovuta al sistema delle quote (con cui Pechino limita le pellicole straniere) e alle schermaglie sulla sovranità delle isole Diaoyu/Senkaku. L’entusiasmo per il cinema del Sol Levante arriva in concomitanza con un giro di vite che ha colpito le produzioni sudcoreane in risposta alla decisione di Seul di ospitare il sistema antimissile americano THAAD, di cui Pechino si considera il vero target. A partire dalla scorsa estate le star di K-pop sono state bandite dalle tv cinesi o sfumate in modo da renderne irriconoscibile l’identità.

La nazionale cinese di pole dance boicotta i campionati di Firenze: manca la bandiera

La nazionale cinese di pole dance ha boicottato i campionati mondiali in corso a Firenze a causa della mancata esposizione della bandiera cinese che, come hanno spiegato gli organizzatori, si era rotta ed era in attesa di essere sostituita. Ma la bandiera non è riapparsa nemmeno una volta passate le semifinali la bandiera, così da indurre gli atleti ad abbandonare la competizione. La vicenda ha avuto una notevole risonanza su social network cinese, dove i netizen hanno dato sfogo al loro patriottismo. La bandiera, in Cina, ha un grande valore simbolico e già in passato è stata al centro di piccoli incidenti diplomatici, come durante le Olimpiadi di Rio, quando è stata esposta una versione non conforme a quella ufficiale.


Il Giappone dice sì ai casinò 

Martedì la Camera Alta ha approvato un disegno di legge che apre la strada alla legalizzazione dei casinò in Giappone, dopo anni di battaglie politiche. Mentre oggi il parlamento dovrebbe dare l’approvazione finale, la necessità di ulteriori dettagli legali probabilmente rimanderanno la costruzione delle case da gioco fino a dopo le Olimpiadi di Tokyo 2020. Intanto, tra gli operatori interessati ci sono Wynn Resorts Ltd, MGM Resorts International e Las Vegas Sands Corp. Mentre secondo CLSA Ltd, il mercato giapponese vale 40 miliardi di dollari, l’opinione pubblica ha accolto l’eliminazione dei divieti con disappunto: il 44 per cento della popolazione si è detto contrario alla legalizzazione dei casinò.

Duterte ammette: «Anche io ho ucciso»

Discutendo della campagna antidroga giunta ormai a quota 5000 morti, il presidente filippino ha ammesso di aver giustiziato personalmente i criminali che infestavano Davao al tempo in cui Duterte era sindaco. Al tempo pattugliava la città in moto per dare il buon esempio agli agenti di polizia: «Se posso farlo io, perché non potete farlo anche voi». Precedentemente il presidente aveva sempre negato un coinvolgimento diretto nelle uccisioni extragiudiziali, smentendo una sua complicità con gli squadroni della morte. 


HRW: dietro le devastazioni nello Stato Rakhine c’è la mano dei militari

Immagini satellitari evidenziano in modo evidente l’esistenza di una relazione diretta tra l’intervento dell’esercito birmano e le devastazioni che ha colpito i villaggi dello Stato Rakhine. Secondo quanto spiega Human Right Watch, gli incendi che hanno colpito il villaggio Wa Peik sono avvenuti nello stesso periodo in cui camion militari stazionavano in zona. Il governo di Nayipidaw ha rifiutato di commentare le accuse, dal momento che un team è sta indagando sulla situazione. Dallo scorso 9 ottobre, quando un gruppo di militanti ha attaccato dei posti di blocco alla frontiera con il Bangladesh, l’area è stata chiusa ai giornalisti e ai gruppi umanitari. Secondo diverse testimoni locali, l’ondata di distruzione che ha colpito i villaggi dove abita la minoranza musulmana dei Rohingya sarebbe tuttavia da attribuire alle angherie dei militari birmani (già noti in passato per abusi) non ai miliziani.
Intanto, la no profit Crisi Group, traccia l’identikit del gruppo responsabile degli ultimi attentati, l’Harakah al-Yaqin, nato dalle ceneri degli scontri etnici che nel 2012 fecero oltre cento morti e lasciarono 120mila persone (sopratutto musulmani) senza casa. La sigla sarebbe diretta da un comitato di Rohingya di base alla Mecca, con esperienza internazionale nelle tattiche di guerriglia.