In Cina e Asia – Ombre sull’accordo Cina – Vaticano

In Notizie Brevi by Redazione

Le molte incognite dell’accordo Cina – Vaticano

A stretto giro dalla firma dell’accordo tra Pechino e Vaticano sulle nomine vescovili, la Chiesa cattolica cinese riafferma la propria fedeltà al partito. L’obiettivo della comunità locale è quello di “perseverare nel percorrere un sentiero adatto a una società socialista, sotto la guida del Partito comunista cinese”. Nella mattinata di sabato Vaticano e governo di Pechino hanno annunciato in un comunicato congiunto la firma, presentandola come “frutto di un graduale e reciproco avvicinamento”. Trattasi di un “accordo non politico ma pastorale” – precisa la Santa Sede – che “prevede valutazioni periodiche circa la sua attuazione”. Ma la codificazione testuale lascia molti punti irrisolti, come la questione taiwanese e il presunto potere di veto del papa sulle nomine di cui – a differenza delle anticipazioni – pare non esserci più conferma.

Hong Kong mette al bando partito indipendentista

Le autorità di Hong Kong hanno formalmente messo al bando il gruppo indipendentista Hong Kong National Party, prima volta dal ritorno dell’isola alla mailand (1997) che un’organizzazione politica viene definita illegale. Ordinanza sulle società, una legge di epoca coloniale, precedentemente poco notata, che impone a tutti i gruppi e le organizzazioni di registrarsi presso la polizia e consente al governo di vietarne le attività “nell’interesse della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico o della protezione dei diritti e delle libertà altrui.” Mentre solo una minoranza della popolazione locale è favorevole a una scissione dalla Cina continentale, l’ingerenza crescente di Pechino negli affari interni della regione amministrativa speciale è fonte di diffusi malumori. Il 26 settembre ricorre l’anniversario della Rivoluzione degli Ombrelli.

La guerra commerciale incentiva la contraffazione

La guerra tariffaria tra Stati Uniti e Cina rischia di dare nuovo vigore al contrabbando di beni di lusso contraffatti, a cui il gigante asiatico contribuisce per l’85% del mercato mondiale. L’ultima tornata di dazi – effettiva da oggi – colpisce prodotti cinesi per 200 miliardi di dollari compresi borse, prodotti in pelle e seta, che diventeranno così anche più cari. Secondo l’Organization for Economic Cooperation and Development il settore della contraffazione vale già 461 miliardi di dollari, più del mercato della droga. Un quinto coinvolge brand statunitensi.

Cina, più controllo sui programmi stranieri

La  National Radio and Television Administration (NRTA) minaccia regole severissime sui programmi televisivi d’importazione, comprese le trasmissioni online. Secondo una bozza al vaglio dell’opinione pubblica, le reti televisive e le piattaforme online non saranno più  in grado di destinare oltre il 30% del loro palinsesto giornaliero a spettacoli stranieri – comprese le produzioni di Taiwan, Hong Kong e Macao – appartenenti a generi quali film, drammi, serie animate e documentari. Se approvato, il nuovo regolamento vieterà anche la trasmissione di tutti i contenuti importati in prima serata (dalle 7 alle 10 di sera), oltre a limitare il numero di attori, sceneggiatori e registi stranieri. La stretta sui palinsesti arriva in concomitanza con direttive più severe sui testi scolastici d’importazione che colpiscono sopratutto gli istituti internazionali, considerati fucina di idee sovversive.

Gli orfani del Xinjiang  

La campagna di detenzioni extragiudiziali messa in atto da Pechino nel Xinjiang ha lasciato migliaia di bambini senza una famiglia. Secondo AP, dall’inizio dell’anno scorso, il governo locale ha stanziato più di 30 milioni di dollari per costruire o espandere almeno 45 orfanotrofi con un numero di letti sufficiente a ospitare circa 5.000 bambini. Nella contea di Moyu si parla di costruire una struttura grande quattro campi da calcio. E’ il risultato degli arresti di massa con cui le autorità sperano di sconfiggere il pericolo terrorismo nella regione autonoma uigura. Sono potenzialmente un milione i musulmani finiti nei cosiddetti centri per la rieducazione. Da anni l’istruzione – perlopiù in mandarino – è terreno di scontro con le minorane etniche a causa di quello che l’occidente definisce genocidio culturale ma che Pechino ritiene serva a tenere la popolazione lontana dalla povertà e dal terrorismo.