In Cina e Asia – Lo sfruttamento nei big tech cinesi torna d’attualità

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

L’antitrust non è l’unica spina nel fianco dei colossi tecnologici cinesi. Alcuni giorni fa accennavamo a come gli estenuanti ritmi di lavoro presso le big tech siano tornati al centro del dibattito online. Recentemente la società di e-commerce Pinduoduo è stata accusata di sfruttamento dopo un caso di suicidio e un collasso a fine lavoro. Lunedì a scatenare l’indignazione del web è stato il video dell’autoimmolazione di un rider di Alibaba. Le immagini circolate sui social mostrano un uomo di Taizhou darsi fuoco accanto a uno scooter di Meituan, il gigante delle consegne con cui il 45enne aveva cominciato a lavorare da poco. Il gesto, stando al FT, nasce da una disputa salariale con il precedente datore di lavoro, un contractor locale di Ele.me, piattaforma di servizi di consegna rivale di Meituan  fondata da Jack Ma. Liu Jin, questo il nome dell’uomo, ha riportato ustioni sull’80% del corpo e dovrà ora affrontare spese mediche per 1 milione di yuan. Il tragico episodio riaccende i riflettori sulle condizioni di lavoro dei rider. Grazie al Covid, nel terzo trimestre i ricavi del delivery sono cresciuti rapidamente, ma, secondo China Labour Bulletin, il pagamento  percepito dai corrieri per singolo ordine è diminuito negli ultimi anni. Un bel problema considerando che il governo cinese punta proprio sulla gig economy per stabilizzare il mercato occupazionale in tempi di rallentamento economico. Secondo gli esperti, il peggioramento delle condizioni di lavoro va attribuito all’agguerrita concorrenza tra i leader del settore, ma anche all’impiego di società terze nella gestione delle risorse umane. Stando al sito Chuang, tra il 2017 e il 2019, il numero degli scioperi tra i riders è addirittura quadruplicato. [fonte FT]

Wang Yi nel Sudest asiatico per promuovere vaccini e investimenti

Dopo l’Africa il Sudest Asiatico. L’instancabile ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha appena concluso  le prime due tappe della sei giorni asiatica. Obiettivo della trasferta: come in Africa, promuovere i vaccini made in China e rilanciare la Belt and Road prima dell’arrivo di Biden alla Casa Bianca. Il tour è cominciato lunedì in Myanmar, dove il capo della diplomazia cinese ha promesso che Pechino “continuerà a fornire materiale antiepidemico in base alle esigenze e distribuirà gratuitamente un lotto di vaccini anti-covid”. Una volta domato il virus in patria, il governo cinese non ha perso occasione per sostenere i paesi amici nella lotta contro l’epidemia. Mascherine, tamponi e vaccini hanno cominciato a viaggiare lungo la nuova via della seta al posto dei vecchi investimenti infrastrutturali. Per mesi, le difficoltà logistiche hanno ridimensionato le ambizioni del progetto Belt and Road. Ma ora è tempo di ripartire. Incontrando la leadership birmana – compresa Aung San Suu Kyi e il capo dell’esercito Min Aung Hlaing – Wang ha auspicato una rapida ripresa dei lavori lungo il corridoio economico tra i due paesi promettendo sostegno nello sviluppo delle aree coinvolte.  La Cina si è detta inoltre disposta ad aiutare il governo birmano nel processo di “riconciliazione nazionale” e a” salvaguardare i diritti e gli interessi legittimi del Myanmar sulla scena internazionale “, chiaro riferimento ai travagliati negoziati di pace con le minoranze etniche che popolano gli stati semiautonomi di confine e alle accuse di genocidio a cui Naypyidaw deve rispondere in riferimento alla repressione dei rohingya. Il governo birmano ha reciprocato assicurando il proprio supporto per quanto riguarda Taiwan, il Tibet e il Xinjiang. Vaccini e investimenti hanno dominato anche l’agenda indonesiana di Wang. Solo pochi giorni fa Jakarta ha approvato la distribuzione del CoronaVac per i soggetti più a rischio e stamattina il presidente Joko Widodo è diventato il primo cittadino dell’arcipelago a essere vaccinato. Ma quanto sia veramente efficace ancora non si sa. Gli ultimi dati sulla sperimentazione in Brasile sembrano attestare un’efficacia di appena il 50%, molto meno di quanto dichiarato dal governo indonesiano e il minimo necessario per ottenere l’ok dell’Oms. [fonte SCMP, SCMP]

Pechino lancia piano quinquennale sullo stato di diritto

Pechino ha annunciato un piano quinquennale dello stato di diritto, frutto di quanto discusso a novembre durante la prima conferenza sul tema presieduta dal comitato permanente del politburo. Secondo la roadmap, entro il 2035 – tappa intermedia prima del centenario della Repubblica popolare (2049) – la Cina avrà realizzato un “sistema socialista dello stato di diritto con caratteristiche cinesi”. Il documento – che sancisce la piena codificazione del “pensiero di Xi Jinping sullo stato di diritto”- riafferma l’importanza dell’Assemblea nazionale del popolo (il parlamento cinese) nel processo legislativo riaffermando però il ruolo guida della leadership centrale. Quindi mentre “i governi a tutti i livelli non devono agire al di sopra della legge”, la legge continua ad essere subordinata al potere politico. Il piano contiene disposizioni sull’economia digitale, big data, proprietà intellettuale, e persino un primo riferimento ufficiale all’applicazione del modello “un paese due sistemi” a Taiwan. Secondo la società di consulenza Trivium, lo scopo è quello di limitare l’influenza degli apparati amministrativi e riposizionare al centro gli organi legislativi. Se tutto andrà come da programma, nel giro di quindici anni “il diritto del popolo [cinese] all’equa partecipazione e allo sviluppo sarà pienamente garantito e la modernizzazione del sistema di governance e delle capacità della nazione sarà ampiamente raggiunta “.[SCMP, SCMP]

Xinjiang: Canada e Gran Bretagna vietano i prodotti realizzati con il lavoro forzato

Dopo gli Stati uniti, anche Canada e Gran Bretagna hanno annunciato restrizioni sulle importazioni dal Xinjiang, la regione autonoma dove si sospetta che le minoranze etniche islamiche siano soggette a forme di lavoro forzato. L’obiettivo è quello di assicurare che i prodotti realizzati in schiavitù non raggiungano le forniture globali. In base alle nuove regole, le società britanniche incorreranno in sanzioni finanziarie se non rispetteranno i loro obblighi legali pubblicando dichiarazioni annuali sulla schiavitù moderna ai sensi del Modern Slavery Act 2015. Le aziende con un fatturato annuo di oltre 36 milioni di sterline sono tenute dalla legge a dimostrare che le loro catene di approvvigionamento sono libere dal lavoro punitivo. Il Canada ha introdotto misure simili per “promuovere una condotta aziendale responsabile”,  aggiungendo che sarà vietato l’export se esiste la possibilità che i prodotti canadesi vengano utilizzati dalle autorità cinesi per la sorveglianza, la repressione, la detenzione arbitraria o il lavoro forzato. [fonte Guardian, CBC]

Covid: allarme nelle aree rurali della Cina. Vietati gli “eventi di massa”

Vietati matrimoni, funerali, cerimonie religiose, eventi pubblici e riunioni familiari. Sono le misure messe in atto per contenere la diffusione del virus nelle zone rurali della Cina a pochi giorni dalle vacanze per il Capodanno lunare. Il paese sta fronteggiando la peggiore ondata da luglio, con epicentro nello Hebei, la provincia che circonda Pechino. Mentre i numeri sono ancora contenuti – appena 42 le infezioni trasmesse localmente – l’ultimo cluster si differenzia dai precedenti per la propagazione fuori dai grandi centri. Circa il 70% degli ultimi casi è stato rilevato alla periferia di Xingtai e Shijiazhuang,capoluogo dello Hebei. Molte delle persone risultate positive, prima di essere isolate, avevano preso parte a “eventi di massa”, come banchetti di nozze e cerimonie religiose. Secondo Caixin, la localizzazione del contagio ha messo in evidenza le mancanze del sistema di prevenzione nelle campagne, dove le strutture sanitarie spesso non sono in grado di seguire il protocollo previsto per i sospetti casi Covid. Per contenere l’ultima ondata, circa 20 milioni di persone sono state messe in quarantena, circa il doppio rispetto a Wuhan.

Washington declassifica la strategia dell’Indo-Pacifico

A pochi giorni dal giuramento di Biden, gli Stati Uniti hanno declassificato lo Strategic Framework for the Indo-Pacific, il documento che illustra la strategia indopacifica dell’amministrazione Trump. Secondo il consigliere per la Sicurezza nazionale Robert O’Brien, il piano americano, lanciato nel 2018, ha lo scopo di rendere “la regione indo-pacifica libera e aperta a lungo nel futuro”. Il documento delinea uno scenario ideale in cui la Corea del Nord non rappresenta più un pericolo, l’India è la forza predominante dell’Asia meridionale e la minaccia cinese viene contenuta grazie all’azione concertata con i vari paesi partner. Nell’architettura regionale, assumono nuovamente centralità le nazioni Asean, con cui Pechino ha contenziosi territoriali, mentre Taiwan – che costituisce il perno della strategia americana della “prima catena di isole” – dovrà ottenere il supporto necessario per evitare che l’attivismo cinese nell’area metta a rischio i piani difensivi di Washington in caso di un conflitto. Quanto alla Cina, l’amministrazione uscente non nasconde preoccupazione per “le pratiche economiche predatorie” e il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale, che  “porrà profonde sfide alle società libere”. Con la pubblicazione del documento la Casa Bianca sembra voler rivendicare la paternità di una strategia regionale programmatica, respingendo le accuse di quanti ne hanno criticato l’approccio muscolare e indisponente nei confronti dei vecchi alleati. Ora starà a Biden decidere cosa farne. [Bloomberg, Axios]

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