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In Cina e Asia – Le nazioni del G7 sfidano la Belt and Road cinese

In Notizie Brevi by Serena Console

I titoli di oggi:

  • Le nazioni del G7 sfidano la Belt and Road cinese
  • Altri cinque anni di Zero Covid a Pechino?
  • L’alto costo economico e sociale della politica Zero Covid
  • India-Ue: ripartono i colloqui per accordo di libero scambio 
Le nazioni del G7 sfidano la Belt and Road cinese

Il G7, che ha riunito in Germania alcuni dei paesi economicamente più avanzati – Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, più l’Unione europea – ha lanciato la scorsa domenica una partnership sulle infrastrutture e sugli investimenti nei paesi in via di sviluppo. Con il nome “Partnership for Global Infrastructure and Investment”, il gruppo dei sette big del mondo mira a raccogliere 600 miliardi di dollari in fondi pubblici e privati nei prossimi cinque anni: l’iniziativa, che nasce dalle basi del piano mai avviato “Build Back Better World”, – presentato dal presidente americano Joe Biden al vertice G7 del 2021 – vuole fare da contraccolpo alla Belt and Road cinese e alla strategia di Pechino nell’Indo-pacifico. Un intento esplicitato dai leader del G7, che hanno ripetutamente condannato la trappola del debito cinese in cui sono caduti i debitori stranieri che hanno aderito al progetto infrastrutturale lanciato dal presidente Xi Jinping.

Durante il lancio della nuova iniziativa, non sono mancati i riferimenti all’assertività cinese nella regione. Il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha voluto sottolineare che “lo sviluppo di infrastrutture di qualità è cruciale anche per la realizzazione di un Indo-Pacifico libero e aperto“. Il progetto, fondato sulla condivisione dei valori democratici, fa gola agli attori regionali come India, Indonesia e Vietnam, che potrebbero ricevere nuovi finanziamenti per la decarbonizzazione e la transizione energetica. Nel concreto, la sezione ambientale del nuovo piano, che interesserà Giacarta, New Delhi e Hanoi, riprenderà il Just Energy Transition Partnerships (JEPT) che l’Unione europea, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti hanno siglato nel 2021 con il Sud Africa durante la conferenza sul clima COP26 delle Nazioni Unite.

Nel frattempo la Cina non sta ferma a guardare e già tesse le tele per rafforzare la partnership con i paesi insulari dell’Indo-pacifico. Stando a quanto scrive l’ABC australiana, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi sta compiendo un audace tentativo di partecipare al più importante raduno di alto livello del Pacifico, spingendo per un incontro con suoi dieci omologhi della regione proprio nello stesso giorno in cui i leader si riuniranno alle Fiji per il Forum delle Isole del Pacifico (PIF). Gli analisti evidenziano come il tempismo della richiesta cinese sia l’ennesimo tentativo di Pechino di creare meccanismi regionali concorrenti a Australia e Usa.

La Cina nega ogni intento assertivo e aumenta la tensione diplomatica, criticando l’iniziativa infrastrutturale lanciata dai leader del G7: il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha bollato il piano infrastrutturale come uno schema geopolitico per diffamare e contenere la Belt and Road di Pechino. Le mosse arroganti del gigante asiatico continuano tuttavia a far discutere e a mobilitare un’opposizione da parte degli alleati di Taiwan. Il ministro degli Esteri di Tuvalu, Simon Kofe, si è ritirato dall’apertura della Conferenza sull’Oceano delle Nazioni Unite in Portogallo, dopo che la Cina ha bloccato la partecipazione di tre delegati taiwanesi inclusi nella lista delle delegazioni della minuscola nazione insulare del Pacifico. La nazione del Pacifico ha legami con Taiwan dal 1979 ed è uno dei 14 paesi che continuano ad avere relazioni diplomatiche con Taiwan, anziché con la Cina.

Altri cinque anni di Zero Covid a Pechino?

Cosa può provare un cittadino di Pechino alla notizia di una proroga delle rigide restrizioni contro la diffusione del Covid-19 per i prossimi cinque anni? Certamente timore e sgomento. Sono stati questi i sentimenti più diffusi tra gli utenti dei social media, entrati in allarme per un riferimento alle linee anti-epidemiche, che i dirigenti di Pechino intenderebbero seguire nel prossimo quinquennio. Dopo una valanga di polemiche sui social media, il termine temporale è scomparso dal comunicato finale della riunione dei vertici della capitale cinese. Infatti, nella relazione finale del segretario del Partito Comunista di Pechino – Cai Qi, la più alta carica politica della municipalità della capitale – si sottolinea che la città aderirà alla “politica generale di compensazione dinamica e vincerà rigorosamente molteplici round nella battaglia contro l’epidemia a grappolo e garantirà le prevenzione e il controllo delle epidemie”. Nessun riferimento esplicito ai prossimi cinque anni, quindi. Sul web cinese, il punto relativo alla durata delle restrizioni è suonato come un conto alla rovescia per fuggire dalla Cina.

Al di là delle speculazioni, le autorità della capitale permetteranno alle scuole primarie e secondarie di riprendere le lezioni in presenza, segno di un allentamento delle restrizioni e di un miglioramento della situazione epidemica. A Shanghai, il capo del partito di Shanghai ha dichiarato la vittoria sul Covid-19, dopo che la città ha segnalato per la prima volta zero nuovi casi locali in due mesi. G7

L’alto costo economico e sociale della politica Zero Covid

I cittadini cinesi sanno quanto sia alto il costo della politica Zero Covid. Un’indagine nazionale sugli effetti psicologici della pandemia, condotta nel 2020, ha rilevato che il 35 per cento degli oltre 52mila intervistati ha sperimentato ansia e depressione. In un articolo pubblicato da General Psychiatry nel febbraio 2020, una squadra di ricercatori cinesi, guidata da Qiu Jianyin dello Shanghai Mental Health Center, ha constatato come le misure anti-pandemiche adottate dal governo di Pechino abbiano innescato una serie di problemi psicologici per i cinesi. Secondo lo studio, i disturbi più frequenti sono stati attacchi di panico, ansia e depressione: come sperimentato in tutto il mondo, i giovani, gli anziani, le donne e i lavoratori migranti sono i soggetti più vulnerabili. A peggiorare la già critica situazione è stata la politica cinese di Zero Covid. Un sondaggio condotto su oltre mille residenti di Shanghai da Data-Humanism ha suggerito che il 40 per cento degli intervistati era sull’orlo della depressione dopo due settimane dall’inizio del lockdown, sopra la media globale. Si tratta di un trauma psicologico collettivo che, secondo alcuni studiosi, sarà assimilato solo con il passare del tempo.

Un editoriale della rivista The Lancet pubblicato l’11 giugno ha messo in allerta sull’alto costo umano della strategia dinamica zero-Covid della Cina. “Questo costo continuerà a essere pagato in futuro, con l’ombra della malattia mentale che influenzerà negativamente la cultura e l’economia cinese negli anni a venire”, si legge. Dopo gli estenuanti lockdown dettati dalla politica Zero Covid, è emersa una nuova tendenza sociale: “runxue”, cioè lo studio su come uscire per sempre dalla Cina. Il fenomeno evidenzia come i cinesi siano profondamente frustrati a causa della politica voluta dal presidente Xi, che fa dipendere le libertà quotidiane dei cittadini dall’esito dei tamponi. Ma la lotta all’epidemia ha fatto emergere anche ansie legate alla incertezza di continuare ad avere un lavoro e al calo dei redditi familiari, a fronte di un’economia che vacilla sull’orlo della recessione. Gli esperti lanciano un allarme: con un prolungamento delle misure Zero Covid, la leadership cinese rischia una rottura del “contratto sociale” del Partito Comunista Cinese con la società cinese, in particolare con la classe media urbana.

India-Ue: ripartono i colloqui per accordo di libero scambio 

L’India e l’Unione Europea hanno rilanciato formalmente i negoziati per un accordo di libero scambio, ponendo fine a una pausa durata quasi un decennio. L’intesa dovrebbe essere raggiunta entro la fine del 2023. I vantaggi di un accordo Ue-India sono enormi per entrambe le parti. Secondo uno studio del giugno 2020 del Servizio di ricerca del Parlamento europeo, le esportazioni dall’Ue all’India aumenterebbero tra il 52 e il 56 per cento, mentre le importazioni dall’India aumenterebbero tra il 33 e il 35 per cento. I guadagni derivanti dall’aumento del commercio per entrambe le parti sono compresi tra 8 miliardi e 8,5 miliardi euro.

La decisione di rilanciare i colloqui è stata presa circa un anno fa, ma le attuali dinamiche globali potrebbero aver dato alle due parti uno slancio in più per chiarire le loro divergenze. Dal 2007 al 2013, prima che Modi salisse al potere nel 2014, l’India e l’Ue hanno tenuto 16 tornate di colloqui. Ma i negoziati sono stati sospesi a causa dell’insistenza di Bruxelles sulla liberalizzazione delle tariffe indiane su beni come automobili, bevande alcoliche e prodotti lattiero-caseari, e per le richieste di New Delhi di un maggiore accesso ai mercati europei per i suoi professionisti qualificati. La visita della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a New Delhi ad aprile e il viaggio in Europa del primo ministro indiano Narendra Modi a maggio sembrano aver accelerato il processo di negoziazione e contribuito a definire una tabella di marcia.

A cura di Serena Console