In Cina e Asia – “La libertà di pensiero” sparisce dalle università cinesi

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

L’influenza del Pcc nel mondo accademico è ormai ufficiale. Negli ultimi giorni, tre università cinesi hanno rimaneggiato il proprio statuto in modo da formalizzare la piena sudditanza alle autorità politiche. Il caso più eclatante coinvolge la Fudan University di Shanghai, uno degli atenei più liberali del paese, che come dimostrano screenshot circolati online ha provveduto a rimpiazzare la frase “libertà di pensiero” presente nel proprio documento fondante con chiari riferimenti ai valori socialisti. La notizia, rimbalzata su Weibo, ha totalizzato 1,4 milioni di visualizzazioni innescando la reazione indignata non solo degli utenti ma persino di un docente dell’università stessa che ha definito l’omissione contraria alle regole dell’istituto. Alle critiche del web è seguito un flash mob organizzato dagli studenti nella mensa dell’ateneo in segno di protesta. Le polemiche non hanno risparmiato nemmeno la Nanjing University e la Shaanxi Normal University, entrambe colpevoli di aver aggiunto in cima alle proprie priorità il mantenimento della “leadership del Partito Comunista” in ogni attività. Gli emendamenti sono stati approvati dal ministero dell’Istruzione il 2 dicembre.[fonte: SCMP, Bloomberg]

Gli Usa potenziano la spesa militare con un occhio a Taiwan

Il Senato degli Stati Uniti ha approvato un disegno di legge che prevede lo stanziamento di 738 miliardi di dollari per progetti mirati, tra le altre cose, a rafforzare il sostegno a Taiwan e a valutare le capacità militari di Pechino. La versione finale del National Defense Authorization Act (NDAA) – già approvato alla Camera e ora al vaglio della Casa Bianca – prevede un aumento del 2,8 per cento della spesa militare e delinea nuove misure per contrastare l’avanzata di Cina e Russia. Nello specifico, la bozza richiede valutazioni sulle capacità belliche di Pechino così come sugli investimenti cinesi nella regione artica e gli sforzi messi in atto dal governo comunista per influenzare le elezioni taiwanesi, previste per il mese prossimo. Il supporto a Taipei viene inoltre ribadito con la richiesta di visite governative e scambi di alto livello (seppur in assenza di relazioni diplomatiche ufficiali), nuove vendite di armi e la stesura di un rapporto sulla cooperazione tra Stati Uniti e Taiwan nel settore della cybersecurity. Altre disposizioni sembrano ugualmente denotare sforzi contenitivi nei confronti dell’asse Pechino-Mosca, come suggerisce la creazione di una “Space Force” quale sesta forza armata degli Stati Uniti.[fonte: SCMP]

I film cinesi trainano il box office

Il box office cinese si appresta a tagliare un nuovo traguardo grazie alle produzioni domestiche. Secondo la piattaforma Maoyan Entertainment, martedì il mercato cinematografico nazionale aveva già raggiunto i 61,32 miliardi di yuan ( 8,76 miliardi di dollari), in crescita rispetto ai 60,7 miliardi di yuan incassati durante tutto il 2018. A trainare il botteghino sono i blockbuster made in China come attesta la top 10 dei film più visti, di cui otto sono proprio cinesi. Solo due sono pellicole d’importazione: Avengers: Endgame, che ha ottenuto il terzo posto con 4,24 miliardi di yuan, e l’ultimo film della serie Fast and Furious, scivolato al n. 10 con 1,43 miliardi di yuan. Si tratta di un trend ormai irreversibile da quando nel 2016 Hollywood ha ceduto per la prima volta il posto agli studios cinesi. Il 2019 verrà ricordato per il travolgente successo di Ne Zha, il cartone fantasy campione di incassi (5 miliardi di yuan) nonché il secondo film cinese ad aver venduto più biglietti in assoluto dopo Wolf Warrior 2. Tanto per avere un’idea, Kung Fu Panda nel 2008 si fermò a 26 milioni di dollari [fonte: CNN]

Cina: la parità di genere è lontana

Per l’undicesimo anno di fila la situazione delle donne in Cina subisce un peggioramento. E’ quanto emerge dalla classifica globale sull’uguaglianza di genere stilata dal World Economic Forum e che quest’anno vede il gigante asiatico posizionarsi 106esimo su 153 paesi, tre posti in meno rispetto all’anno precedente. Lo studio – che prende in esame criteri quali salute, istruzione, peso politico e opportunità economiche – rileva solo miglioramenti marginali dal 2006 a oggi, sebbene oltre la Muraglia la condizione per le donne si attesti migliore che in Corea del Sud (108 ° posto), India (al 112 °) e Giappone (al 121 °). Nel motivare la retrocessione cinese, il report cita espressamente la scarsa rappresentanza femminile nel mondo della politica cinese, dove le donne ricoprono solo due posti a livello ministeriale. Segnali incoraggianti arrivano invece dal settore dell’istruzione con entrambi i sessi ad aver raggiunto l’alfabetizzazione universale. [fonte: SCMP]

Intanto in Giappone la corte del distretto di Tokyo ha emesso una sentenza storica a favore della giornalista Shiori Ito, una delle poche donne giapponesi ad aver cavalcato l’onda del #MeToo con la denuncia per violenze del collega Noriyuki Yamaguchi. L’uomo sarà tenuto a versare alla vittima 30.000 dollari di risarcimento, sebbene la somma inizialmente richiesta fosse di circa 100.000 dollari. [fonte: NYT]

Huawei aprirà una fabbrica in Europa

In tempi di “digital war”, Huawei guarda sempre più all’Europa. Dopo aver annunciato di voler acquistare dal Vecchio Continente forniture per 50 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni, il gigante di Shenzhen ha in programma persino l’apertura di una fabbrica. “Stiamo conducendo uno studio di fattibilità in Europa. La scelta del paese dipenderà da questo studio” ma il progetto potrebbe procedere “molto velocemente”, ha spiegato il presidente dell’azienda Liang Hua. Da quando le sanzioni americane hanno precluso l’accesso alla tecnologia targata Micron, Qualcomm e Intel, l’azienda cinese ha direzionato i propri sforzi verso il raggiungimento di una maggiore autosufficienza. La strada è ancora lunga ma già si percepiscono i primi frutti. Nonostante la controffensiva americana, il gruppo prevede che quest’anno le vendite si manterranno tra i 245 e i 250 milioni di smartphone a livello mondiale. [fonte: AFP]

La vlogger bucolica che obbliga a ripensare il soft power cinese

Nel 2016 Li Ziqi era una lavoratrice migrante. Tornata a vivere nel piccolo villaggio del Sichuan, oggi assiste la nonna e si dedica alle faccende quotidiane che racconta a un pubblico che ormai sulla sola piattaforma Meipai ammonta a 55 milioni di follower. Il suo successo è strepitoso anche su Weibo (21 milioni), Douyin (27 milioni) ed è sbarcata su Youtube dove ha 7.6 milioni di follower, molti dei quali stranieri. La narrazione di una Cina bucolica e arcaica che Li Ziqi restituisce al mondo, ha fatto nascere un vivace dibattito in rete. Molti, incuriositi dal suo successo, iniziano a chiedersi se l’idea di Cina che Li Ziqi va diffondendo sia davvero in linea con quello che il paese, impegnato nella supremazia tecnologica e commerciale, vuole davvero raccontare di sé. Ne è anche nato un hashtag “é Li Ziqi un prodotto di esportazione culturale”, che ha fatto scomodare Xinhua e CCTV, intervenute in aiuto alla giovane. Per gli esperti la novità che incuriosisce e spaventa in Li Ziqi, è rappresentata dal fatto che per una volta la narrazione è spontanea e non mediata da organismi di governo. Per molti altri Li Ziqi dovrebbe essere uno spunto per ripensare il soft power cinese. [Fonte: Sixth Tone]

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