In Cina e Asia – Gli Stati Uniti verso una legge sul Xinjiang

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

Dopo Hong Kong è la volta del il Xinjiang. Il Congresso americano si prepara a colpire l’altro nervo scoperto del Dragone. Nella giornata di ieri la Camera dei rappresentanti ha approvato una proposta di legge che – se confermata – richiederà a Trump di presentare entro 120 giorni un elenco dei funzionari cinesi responsabili degli abusi perpetrati contro le minoranze islamiche così da procedere all’imposizione di sanzioni “ad personam” ai sensi del Global Magnitsky Act, che prevede l’interdizione al rilascio dei visti e il congelamento dei beni. La bozza cita espressamente il nome di Chen Quanguo, il segretario del partito del Xinjiang ritenuto dagli esperti il principale artefice delle politiche repressive introdotte nella regione autonoma dal 2016 a oggi – generiche restrizioni sui visti erano state annunciate nel mese di ottobre dal dipartimento di Stato senza menzione del funzionario. Altre disposizioni prevedono la stesura di un rapporto dettagliato sugli abusi (che quantifichi l’entità delle detenzioni extragiudiziali e del lavoro forzato nei centri per la rieducazione) e un “ban” sull’esportazione di tecnologia utilizzabile con fini di sorveglianza sociale, riconoscimento facciale e vocale inclusi. La bozza – che dovrà passare il vaglio del Senato prima di finire sulla scrivania di Trump – ha già suscitato la reazione piccata di Pechino. Il Xinjiang è una questione di terrorismo non di diritti umani, ha spiegato la Commissione Affari Esteri del parlamento. Secondo il Global Times, alle minacce seguiranno contromisure concrete, come possibili sanzioni contro gli autori della bozza e l’inclusione di aziende rilevanti nella più volte preannunciata Entity List. [fonte: SCMP]

Xinjiang: ricostruire i volti dal DNA

Un altro giorno, un altro scoop sul Xinjiang. Gli ultimi dettagli sul sistema di sorveglianza adottato nella regione autonoma provengono ancora una volta dalle colonne del NYT. A pochi giorni dai Xinjiang Paper, il quotidiano della Grande Mela è tornato sul tema con un’inchiesta che rivela l’utilizzo pervasivo dei dati biometrici per potenziare il sistema di videosorveglianza. Secondo il report, la città di Tumxuk sta portando avanti studi fenotipizzazione del DNA, tecnica – già sperimentata con dubbi risultati negli Usa nella lotta al crimine – con cui dall’analisi dei geni è possibile identificare tratti come il colore della pelle, il colore degli occhi e le origini. In pratica, ricostruire il volto di una persona determinandone l’etnia e andando a potenziare l’apparato di telecamere con il riconoscimento facciale già massicciamente presenti nella regione. Da tempo le autorità locale raccolgono i dati biometrici della popolazione nel corso di visite mediche di controllo obbligatorie e non sempre consensuali. Stando all’inchiesta, a preoccupare è soprattutto il coinvolgimento indiretto del mondo della ricerca occidentale. Alcuni dei ricercatori coinvolti nel progetto – che collaborano con la polizia e il ministero della Sicurezza pubblica cinese – hanno infatti attinto a tecnologia e finanziamenti europei senza che le istituzioni di riferimento abbiano appurato la natura degli studi condotti in Cina. Le pubblicazioni sono finite su riviste scientifiche prestigiose del gruppo Springer Nature. [fonte: NYT]

Huawei sotto attacco anche in Cina

Nuove accuse per Huawei. Ma questa volta le critiche non arrivano dagli Stati Uniti bensì dal web cinese, fino a pochi giorni fa prezioso alleato nella guerra contro le accuse di spionaggio. A indignare l’opinione pubblica è il caso di Li Hongyuan, dipendente dell’azienda per 13 anni, arrestato dalla polizia con l’accusa di estorsione per aver fatto causa a Huawei riguardo al mancato pagamento di un bonus richiesto in seguito al licenziamento. L’uomo è rimasto in stato di detenzione per 251 giorni prima di essere assolto “per mancanza di prove” e rimborsato dallo stato. L’hashtag “l’ex dipendente Huawei che è stato arrestato spera che Huawei si scuserà ” ha superato quota 230 milioni di visualizzazioni su Weibo. Uno dei commenti più velenosi paragona l’arresto di Li a quello di Meng Wanzhou, la CFO dell’azienda – nonché figlia del fondatore Ren Zhengfei – ai domiciliari nella sua supervilla di Vancouver. [fonte: Guardian]

Nuove accuse contro l’editing genetico

E’ passato un anno da quando il caso delle gemelle geneticamente modificato ha sconvolto la comunità scientifica internazionale. Del suo artefice, il biofisico cinese He Jiankui, non si sa più nulla da quando è stato messo sotto sorveglianza. In compenso la rivista MIT Technology Review ha rilasciato per la prima volta alcuni estratti dello studio da cui emerge che l’esperimento potrebbe essere stato un fallimento completo. Secondo un esperto dell’Università della California, Berkeley, “lo studio mostra che il team di ricerca non è riuscito a riprodurre la variante CCR5 prevalente”, ovvero la mutazione genetica che nei piani di He avrebbe dovuto immunizzare i feti dalla trasmissibilità dell’HIV. Mentre il team ha trattato il gene giusto, non è riuscito a replicato la variazione “Delta 32” richiesta, creando nuove modifiche i cui effetti non sono chiari. Questo vuol dire che lo stato di salute di Lula e Nana rimane da accertare. Il tutto mentre una terza gravidanza sperimentale potrebbe essere già giunta al termine. [fonte: AFP, MIT]

Corea del Sud: è “strage” nel mondo dello spettacolo

Un’altra perdita improvvisa nel mondo dello spettacolo scuote l’opinione pubblica sudcoreana. Cha In-ha, 27 anni, trovato privo di vita martedì, è la terza star in due mesi ad aver fatto una fine tragica. La morte dell’attore (ancora da accertare) arriva a stretto giro dal suicidio delle celebrità del k-pop  Sulli, 25 anni, e Goo Hara, 28. Il problema non è nuovo ma la vicinanza temporale dei tre casi ha riacceso il dibattito sul “lato oscuro” dell’entertainment sudcoreano e non solo. Lo scorso anno al Sud si sono verificati 13.670 suicidi, una media di oltre 37 al giorno, tanto che tra la popolazione tra i 10 e i 39 anni, il suicidio è stato la principale causa di morte. Gli esperti puntano il dito contro il carico di stress a cui devono far fronte i divi dello spettacolo, amati, odiati e continuamente giudicati da milioni di persone. Ma la trasversalità del fenomeno mette in luce fattori più radicati, come la tendenza a sottovalutare i sintomi della depressione, una malattia che nel paese asiatico è fonte di imbarazzo e disonore. [fonte: NYT, AP]

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