In Cina e Asia – Biden revoca il ban di Trump contro TikTok e WeChat

In Notizie Brevi by Sharon De Cet

Mercoledì il presidente Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo che revoca i divieti dell’era Trump su TikTok e WeChat. In compenso, Biden incaricherà il segretario al commercio di indagare su app che abbiano potenzialmente legate a poteri stranieri e che potrebbero rappresentare un rischio per la privacy dei dati americani o la sicurezza nazionale. L’ordine prende il posto della serie di controverse misure istituite daTrump lo scorso anno, che hanno bloccato app come TikTok, WeChat e Alipay dagli app store statunitensi, prevedendo altresì diverse norme atte ad impedire loro di operare negli Stati Uniti. Sebbene le numerose battaglie legali intraprese dalle aziende tech contro le misure introdotte dall’ex presidente americano siano finora riuscite a ritardare l’applicazione delle norme, con l’ordine emanato da Biden esse saranno eliminate a titolo definitivo. Oltre a ciò, Joe Biden istituirà un nuovo quadro per determinare i rischi per la sicurezza nazionale delle transazioni che coinvolgono app collegate ai governi o alle forze armate di poteri stranieri, tra cui la Cina. Nel mirino ci sono soprattutto quelleapp che raccolgono dati sensibili sui consumatori statunitensi. Gli esperti sottolineano che il nuovo ordine non fermerà in alcun modo le indagini intraprese dal Committee on Foreign Investment negli Stati Uniti (CFIUS) che, sotto l’amministrazione Trump, aveva fissato diverse scadenze per costringere  TikTok a recidere i legami con la casa madre cinese ByteDance: Oracle avrebbe dovuto infatti acquistare TikTok per ovviare al divieto di Trump, ma l’accordo non è mai andato a buon fine. Il nuovo ordine esecutivo non è da interpretarsi come una posizione più rilassata verso la Cina: la scorsa settimana, Biden ha firmato un ordine separato che estende il divieto – già esistente nell’era Trump –  sugli investimenti americani in società cinesi con presunti legami con l’esercito cinese. Il provvedimento prevede l’esclusione di 59 società dal portafoglio di investimenti, comprese quelle che creano e distribuiscono tecnologie di sorveglianza utilizzate contro le minoranze musulmane e i dissidenti del governo di Hong Kong. Ci sarebbero inoltre da aspettarsi ulteriori azioni americane contro la Cina mentre Biden incontrerà i leader del G7, la NATO e l’Unione Europea. [fonte The Verge, FT]

L’UE valuta l’invio di una delegazione a Hong Kong

In una dichiarazione rilasciata nella serata di mercoledì dall’European External Action Service in nome dell’Alto Rappresentante Josep Borrell , l’Unione Europea ha denunciato la revisione del sistema politico di Hong Kong, definendola una violazione da parte della Cina dei suoi impegni internazionali, minacciando altresì di inviare una delegazione europea nell’ex colonia britannica. La comunicazione intensifica la risposta europea alla situazione a Hong Kong, in particolare aumentando il sostegno alla società civile e ai media, promuovendo la libertà di espressione, facilitando la mobilità dei cittadini di Hong Kong e garantendo l’osservazione dei processi in atto contro attivisti per la democrazia a Hong Kong. Sebbene al momento Pechino non abbia ancora reagito alla dichiarazione europea, è molto probabile che essa infastidisca la Cina, che potrebbe considerarla come un’interferenza con i suoi affari interni, inasprendo così le già tese relazioni con l’UE. L’Unione Europea ha infatti recentemente sospeso un accordo di investimento con la Cina proprio per motivi legati al rispetto dei diritti umani  ad Hong Kong, alle rivendicazioni della Cina sul Mar Cinese meridionale e alle detenzioni di massa dei musulmani uiguri del Xinjiang. [fonte EEAS; Reuters]

Cina: nel 2021 triplicano le aziende di semiconduttori

Secondo quanto affermato da Qichacha – un sito web che raccoglie dati sulla registrazione aziendale – da gennaio a maggio 2021 in Cina si sono registrate 15.700 nuove aziende operanti nell’industria dei semiconduttori, dalla progettazione alla produzione di chip. Per dare un’idea delle cifre del mercato dei semiconduttori nel paese del dragone, basti pensare che il gigante cinese delle apparecchiature per le telecomunicazioni Huawei Technologies Co ha recentemente investito 12,8 milioni di dollari in una società con sede a Pechino che produce laser ad eccimeri per il processo di litografia, secondo quanto riportato domenica dal Global Times. SMIC, la fonderia più avanzata della Cina continentale, ha conquistato la quota maggiore del mercato globale e case automobilistiche come BYD e Xiaomi hanno annunciato piani ambiziosi per espandersi nel settore dei chip. La produzione di circuiti integrati (IC) in Cina è aumentata di quasi il 30% rispetto al 2020, raggiungendo 28,7 miliardi di unità, e Pechino ha recentemente aumentato anche le importazioni, che sono cresciute del 30% nei primi cinque mesi del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020, raggiungendo 260,35 miliardi di unità per un valore di 1,04 trilioni di yuan (162,5 miliardi di dollari). Gli sforzi cinesi per raggiungere l’autarchia nel settore dei semiconduttori non sono però passati inosservati agli occhi degli statunitensi: martedì scorso, il Senato ha approvato l’ormai celebre Innovation and Competition Act, in cui Washington identifica la Cina come un rivale chiave del dominio tecnologico degli Stati Uniti. Il disegno di legge prevede investimenti da miliardi di dollari per aiutare a promuovere la produzione americana di semiconduttori, mentre Washington cerca di invertire una pericolosa dipendenza dalle catene di approvvigionamento cinesi. Tuttavia, esperti nel settore affermano che, se il disegno di legge statunitense diventerà legge, ciò non avrà probabilmente un impatto sulla spinta all’autosufficienza della Cina, che avrebbe invece ormai adottato gli investimenti nell’innovazione e nei semiconduttori come priorità nazionale destinata a mantenersi sul lungo termine. [fonte SCMP]

Il “Big Brother” di Orwell nelle aziende cinesi

Videocamere di sorveglianza negli uffici, software che registrano gli schermi degli impiegati e generano rapporti settimanali riguardo al tempo che i dipendenti trascorrono su siti di svago o cercando lavoro, toilette intelligenti che monitorano chi e quando ne fa uso: è uno scenario orwelliano quello che emerge da un’inchiesta condotta da Nikkei Asia Research, che ha intervistato alcuni impiegati delle grandi imprese del settore tech cinese. In Cina, l’adozione di tali tecnologie promette alle aziende più facilità e produttività nella gestione dei propri impiegati, ma a farne le spese sono proprio i dipendenti che, costantemente monitorati, sono sempre più soggetti a burn-out ed episodi depressivi. Pinduoduo, gioiello della tech cinese che in solamente cinque anni è passato da zero a 788 milioni di utenti attivi – classificandosi secondo dopo Alibaba per quanto riguarda il valore di mercato – sembrerebbe essere un triste esempio di questa cultura dell’iper controllo: a dicembre scorso, la piattaforma di e-commerce cinese ha confermato che uno dei suoi ingegneri si era tolto la vita. Il giovane lavoratore, un neolaureato di 22 anni, avrebbe controllato l’app di messaggistica dell’azienda un’ultima volta prima di saltare verso la morte, secondo quanto testimoniato da un ex dipendente. Lo stesso mese, un altro dipendente che aveva pubblicato la foto di un collega che veniva portato fuori dall’ufficio su una barella è stato identificato e licenziato dalla società. In un video pubblicato su Weibo, il dipendente licenziato ha dichiarato: “Non so se l’azienda mi ha identificato attraverso il monitoraggio del computer o tramite le informazioni fornite da Maimai”. Maimai, l’equivalente cinese di LinkedIn, ha negato di aver fornito informazioni sugli utenti ad un’organizzazione di terze parti. La raccolta di dati personali è un tema cruciale oggi in Cina: sebbene infatti Pechino si sia già mossa per elaborare leggi che impediscano la raccolta di dati personali degli utenti da parte delle grandi aziende tecnologiche, poco controllo è al momento effettuato sulla protezione legale della privacy dei dipendenti dei big tech. Al di fuori della Cina, il monitoraggio dei dipendenti e dei loro dispositivi di lavoro, è consentito nella maggior parte dei paesi per proteggere le risorse aziendali e le informazioni sensibili. Ci sono poche leggi e regolamenti che proteggono specificamente la privacy e l’autonomia dei lavoratori. Negli USA, sebbene le leggi federali proibiscono a un datore di lavoro di intercettare intenzionalmente le comunicazioni orali, via cavo ed elettroniche dei dipendenti, vi è la possibilità di controllare tali informazioni a patto che il datore di lavoro dimostri l’esistenza di uno scopo commerciale legittimo per farlo. Nell’Unione Europea, i dipendenti godono di una protezione migliore: la raccolta dei dati personali richiede un consenso esplicito. Oltre allo stoccaggio e all’analisi dei dati personali, ad inquietare i legislatori è l’utilizzo degli algoritmi per definire la produttività di un impiegato e decidere conseguentemente il suo potenziale licenziamento. Nel 2019, il gigante statunitense dell’e-commerce Amazon è stato criticato per aver utilizzato un sistema informatico per licenziare automaticamente centinaia di magazzinieri considerati “a bassa produttività” dal sistema, secondo quanto riportato dal magazine Verge. L’anno scorso, una filiale cinese del produttore di fotocamere giapponese Canon, ha presentato un nuovo sistema di gestione dello spazio di lavoro che consente solo ai dipendenti sorridenti di entrare in ufficio e prenotare le sale conferenze. Utilizzando la cosiddetta tecnologia di “riconoscimento del sorriso”, Canon ha affermato che il sistema intendeva portare più allegria in ufficio nell’era post-pandemia. Sebbene tali pratiche di controllo abbiano suscitato feroci critiche da parte del pubblico e lamentele da parte dei dipendenti, hanno avuto un impatto limitato sugli investitori. Il prezzo delle azioni di Pinduoduo si è ripreso rapidamente dalla notizia della morte del dipendente di 22 anni, aumentando del 12% il giorno successivo dopo un calo iniziale del 6% il giorno in cui è stata diffusa la notizia. [fonte Nikkei]

Myanmar: Aung San Suu Kyi nuovamente accusata di corruzione

Nuove accuse per Aung San Suu Kyi. Secondo la stampa statale, la Commissione anticorruzione le nuove imputazioni – che coinvolgono anche altri funzionari – riguardano l’uso improprio di terreni per la fondazione benefica Daw Khin Kyi, presieduta dalla leader birmana. La Lady “è stata giudicata colpevole di aver commesso corruzione usando il proprio grado. Quindi è stata accusata ai sensi della sezione 55 della legge anticorruzione”, che prevede fino a 15 anni di carcere per i colpevoli. La Nobel per la Pace era già stata accusata di corruzione per avere accettato tangenti per 600mila dollari e 11 chili d’oro. Accuse queste che si sommano, tra le altre, a quelle di violazione delle restrizioni contro il coronavirus e di importazione illegale di walkie talkie per il suo servizio di sicurezza. [fonte Bloomberg]

Ha collaborato Alessandra Colarizi