In Cina e Asia – All’Import Expo di Shanghai l’Italia c’è

In Notizie Brevi by Redazione

“L’apertura è diventata un marchio di fabbrica della Cina. La Cina è cresciuta abbracciando il mondo, e il mondo ha beneficiato dall’apertura della Cina”. Con queste parole Xi Jinping ha dato il via all’expo dell’import di Shanghai. Primo evento del genere organizzato con lo scopo conclamato di controbilanciare il protezionismo tariffario messo in campo da Trump. Alla manifestazione – della durata di sei giorni – prenderanno parte oltre 3600 aziende da 172 paesi, regioni e organizzazioni. Ma, mentre Xi ha alzato le stime delle importazioni per i prossimi 15 anni a 30 trilioni di dollari (anzichè 42 trilioni come precedentemente stimato), nulla di nuovo è stato annunciato per quanto riguarda le future politiche economiche, disattendendo le aspettative dei mercati. Complice il protagonismo delle aziende di Stato.  A dimostrazione della generale sfiducia spicca l’assenza di leader mondiali di peso, fatta eccezione per la Russia.  Un disimpegno a cui l’Italia risponde con un rinnovato presenzialismo.

Secondo l’Ansa, il Belpaese ha schierato oltre 190 campioni del made in Italy, da Leonardo a Fincantieri, a FiatChrysler e Ansaldo. La delegazione sarà guidata dal vicepremier Luigi Di Maio, atteso al forum su Commercio e Innovazione di lunedì e il giorno dopo al Business Forum Italia-Cina, co-presieduto dal vice presidente e Ceo di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, e dal presidente di Bank of China, Chen Siqing. La presenza italiana all’Expo sarà nutrita e si articolerà in un padiglione nazionale curato dall’Istituto per il Commercio estero – spazio che si configura come il secondo più ampio tra quelli del Vecchio continente dopo quello tedesco – e su altre quattro esposizioni di settore, destinate a eccellenze italiane come agroalimentare, moda, alta tecnologia e non solo, scrive Formiche.  

Aumentano i suicidi tra gli anziani

Mentre il numero complessivo dei suicidi in Cina ha riportato un calo, l’incidenza tra gli anziani risulta sette volte maggiore rispetto alla media. Lo rivela uno studio della National Yangming University di Taiwan presentato recentemente alla conferenza annuale organizzata da Lancet e la China Academy for Medical Sciences. La spiegazione del fenomeno va ricercata nei cambiamenti socioeconomici degli ultimi anni. E’ soprattutto all’urbanizzazione che guardano gli studiosi. Mentre la metamorfosi dei centri urbani ha portato a una diminuzione generale del tasso dei suicidi del 58% tra il 2002 e il 2011, il numero degli over 65 ad essersi tolto la vita è  aumentato drasticamente nell’ultimo decennio, soprattutto nelle aree rurali. Solitudine e senso di abbandono sono all’origine della cosiddetta sindrome del “nido vuoto”.

Piccoli cinesi a scuola di virilità

Il Boys’ Club di Pechino ha una missione ben precisa: stimolare la mascolinità dei piccoli cinesi, bambini in genere tra i sette e i dodici anni, abituati a vivere in un contesto familiare prevalentemente femminile. Da quando Tang Haiyan, ex insegnante di ginnastica, ha aperto il centro nel 2012, circa 20mila bambini sono stati sottoposti a vari tipi di training, tra cui correre a torso nudo d’inverno, scalare una montagna nello Heilongjiang con -30° C o effettuare lunghe camminate nel deserto. Proprio di recente l’aspetto efebico di molti giovani cinesi è diventato oggetto di dibattito sui media statali, preoccupati per la diffusa scarsa virilità. Per i genitori i corsi militareschi di Tang hanno sviluppato nei loro figli una sana autodisciplina, ma per gli esperti si tratta di una forzatura inutile. Un contesto sociale sano dovrebbe bastare a sviluppare nei piccoli le vere doti maschili. Come la predisposizione ad assumersi le proprie responsabilità.

Me Too in Nord Corea

L’apertura dell’economia nordcoreana ai capitali privati ha innescato un fenomeno inaspettato: quello degli abusi contro la popolazione femminile, la più coinvolta nel fenomeno dei mercati informali apparsi in giro per il paese a partire dalla carestia anni ’90. Lo rivela il rapporto di Human Rights Watch “You Cry at Night, but Don’t Know Why,” redatto sulla base delle testimonianze di 106 disertori, di cui 76 donne. Secondo l’indagine, abuso di potere e corruzione sono due mali endemici con cui la piccola imprenditoria locale deve fare i conti quotidianamente. Mentre le mazzette rimangono lo scotto da pagare per molti commercianti, le donne vengono spesso invitate a pagare con il loro corpo. “È ironico che le donne pur essendo tra i maggiori beneficiari dei cambiamenti economici siano anche diventate più vulnerabili a causa del rapporto frequente con i funzionari. La cultura della corruzione alimenta lo stupro”, commenta l’Executive Director di HRW . Intanto Pyongyang ha giurato vendetta contro le famiglie dei disertori intervistati dalla Ong.

Seul risparmierà la leva agli obiettori di coscienza

“L’obiezione di coscienza è una ragione valida per rifiutare la coscrizione”. Lo ha deciso giovedì scorso la  Corte Suprema sudcoreana con una sentenza storica,  dopo aver esaminato meglio il caso di Oh Seung-hun, testimone di Geova che aveva fatto ricorso nel 2013 dopo essere stato condannato per aver rifiutato l’arruolamento. Formalmente ancora in guerra con Pyongyang, la Corea del Sud ha un rigidissimo sistema di coscrizione obbligatoria che prevede ventuno mesi di leva per tutti gli uomini tra i 18 e i 28 anni e a cui nessuno può sottrarsi. Dal 1950 si calcola che siano state 19mila le persone a finire dietro le sbarre per evitare la naja, tra cui molti testimoni di Geova.