Il vino italiano in Cina. Un matrimonio che s’ha da fare

In by Gabriele Battaglia

Il vino in Cina è buono e si beve, sia esso italiano, francese, spagnolo, cileno, australiano o cinese. Il consumo di vino da parte del consumatore cinese è infatti aumentato negli ultimi dieci anni. Infatti la Cina è oggi il quinto consumatore di vino al mondo e nel 2015 il consumo pro-capite raggiungerà gli 1,9-2 litri.
Se pensate che in Italia se ne consumano 37 e in Francia 45, la Cina, sebbene non sia una nazione di bevitori, potrebbe avere margini di crescita molto alti, nel corso delle prossime decadi. Infatti, una ricerca di Knight Frank ha riportato che la ricchezza cinese, che crescerà notevolmente nei prossimi dieci anni, sarà interessata all’acquisto di vino, anche se dal punto vista prettamente del mercato del lusso.

E cosa fa l’esportatore italiano? Recentemente molti produttori si sono interessati al mercato cinese stimolando una risposta reciproca dall’altro lato. Tuttavia, sebbene l’informazione si sia prodigata nella promozione del fenomeno (da giornali specializzati a stampa generalista) i risultati dei rapporti commerciali sono deludenti: il volume delle vendite di vino italiano in Cina è aumentato ma la quota di mercato si è praticamente dimezzata, come riportato da Nomisma citando i dati relativi al decennio 2001-2011. Perciò, se il mercato cinese, come previsto, diventerà uno dei maggiori mercati di consumo negli anni venturi è asupicabile se non necessario che tali quote risalgano a livelli precedenti e magari superino gli stessi.

La domanda è: come si può penetrare il mercato cinese? Di modi ce ne sono vari e naturalmente quanto più un esportatore esce dalla sua zona di competenza, ma acquisisce conoscenze sul mercato cinese, tanto più può avere successo. Il mercato cinese infatti, è diverso da quello americano o europeo, e non serve citare i casi classici di addamento al gusto locale di grandi aziende come KFC o McDonald’s, ma basti pensare che nell’ambito enologico, Baron De Rotschild e Don Perignon hanno investito importanti capitali nelle vigne dello Yunnan, nella regione meridionale della Cina. Il prodotto è franco-cinese ed è rivenduto tramite una partnership (che è l’unico modo possibile per investire in tale settore a livello locale).

Quindi lo scenario per l’esportatore Italiano è certo intrigante ma anche impegnativo. Le pratiche commerciali sono numerose, a volte simili, altre molto differenti. L’interesse per il mercato cinese è alto, gli esportatori sono consapevoli delle potenzialità del mercato sia sul breve che sul lungo termine, evidenziandone la crescita della classe media e delle sue capacità di acquisto. Allo stesso tempo, è pensiero dominante quello che il cliente cinese è scarsamente preparato sull’argomento, in un paese dove il 91 per cento del mercato dell’alcool è dominato dalla birra, la corsa del vino incontra molti ostacoli.

Tale “ignoranza”, comunque, viene incontrata sia al livello del consumo che della fornitura, laddove il contatto cinese si occupa di acquistare il prodotto ma poi non ha le idee molto chiare in termini di commercializzazione efficace interna. Le cause sono molteplici: si va, appunto, da una scarsa conoscenza del prodotto a la mancanza di canali “forti” di distribuzione. Si hanno quindi degli accordi che nascono ma che spesso si risolvono in poco volume di vendite. Il vino italiano quindi non riesce a imporsi come quello francese data la mancanza di grandi catene commerciali o alberghiere o di ristorazione, anche in molti casi alla mancanza di accordi o di gruppi di interesse con questi ultimi.

A questo si aggiunga anche una scarsa interazione con le entità polito-commerciali italiane presenti in Cina. Infatti, i rapporti con le ambasciate, consolati e camere di commercio non vanno oltre la burocrazia iniziale senza molto supporto prima, durante e dopo i rapporti commerciali con le controparti cinesi. Certamente, tali enti hanno dei limiti imposti dai fondi statali, ma non si può non ignorare il potenziale del paese, dimostrato anche dalla recenta visita dell’ex ministro allo sviluppo economico Zanonato e dalla futura visita del primo ministro Renzi. In tal senso è auspicabile che questi rapporti crescano, rivolgendosi anche alle istituzioni politiche cinesi presenti in Italia.

Per quanto riguarda la penetrazione commerciale con investimenti locali, c’è un sentimento contrastante. L’investimento nel settore distributivo è molto più appetibile, per costi e margini. Per quanto riguarda il settore produttivo locale si tende invece a preservare la peculiarità del prodotto italiano legata alla ricchezza ampelografica italiana. Ad ogni modo è necessario ricordare qui che il concorrente maggiore, ovvero i francesi, hanno da tempo investito notevolmente nella produzione locale. Non ultimo, i vini cinesi prodotti nello Yunnan o in altre provincie collinari cinesi a taglio bordolese hanno una qualità che è in crescita e che a lungo termine potrebbe rosicchiare quote di mercato al vino esportato.

L’investimento nel settore distributivo potrebbe essere quello più adatto al prodotto, se fatto con accortezza: presentare i vini da soli potrebbe non dare gli stessi risultati che non farlo insieme ad altri prodotti italiani. Presentare l’Italia in maniera collettiva, come stile di vita, è una strategia più efficace in un mercato in cui ancora il prodotto è poco conosciuto. Il cliente cinese desidera fare una esperienza globale, quindi il vino pur rimanendo al centro del piano di promozione, può essere  adattato alla cucina locale. L’adattamento alla dieta locale è una strategia adatta ad entrare in un mercato che è in rapido mutamento ma che rimane comunque fortemente legato alla propria identità storica. Quindi, promuovere il vino non solo con cibo italiano ma anche adattarlo alla ricca cucina locale deve essere una strategia necessaria per il mercato cinese.

In conclusione, Il mercato cinese è pieno di occasioni, già la vendita globale del prodotto ha superato quella della Francia, nei decenni a venire potrebbe anche rivelarsi la soluzione ad alcune sovrapproduzioni europee, specialmente francesi. E anche se la nuova classe dirigente del paese, guidata da Xi Jinping, ha deciso di combattere contro lo stile di vita dispendioso dei dirigenti del partito che molto ha aiutato nel passato la diffusione di prodotti come il vino europeo in Cina, ormai il vino è percepito come un prodotto di prestigio, non solo di consumo.

In questo contesto, il vino italiano ha sia le qualità che le quantità per fare bene. Purtroppo mancano alcuni fattori determinanti: per esempio, l’appoggio politico; la conoscenza reciproca del mercato e del prodotto, sia da parte del produttore del mercato, sia dell’importatore del prodotto. Spesso manca anche la consapevolezza culturale della controparte nel negoziare con il cliente cinese. In poche parole, la strada è stretta, ma con una buona capacità di implementare strategie semplici ed efficaci, questo mercato potrebbe rivelarsi chiave per molto esportatori nazionali.

*Fabio Zacà nato a Gallipoli nel 1986, compie studi e ricerche a Trento, Nimega (Paesi Bassi), Penang (Malesia), Sheffield (Regno Unito) e Pechino per Lingue, Relazioni Internazionali ed Economia Asiatica. Musicista, Radiofonico, amante della prog Italiana e del tofu. Al momento asistente marketing presso Dezan Shira & Associates a Pechino.

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