Il viaggio in Italia di Shan Shili

In by Simone

Pubblicato nel 1910, il Guiqian ji è il resoconto di viaggio di Shan Shili, moglie dell’allora ambasciatore cinese in Italia. La descrizione delle meraviglie storico artistiche le servono da specchio e strumento per interpretare la cultura europea. China Files vi regala uno stralcio del lavoro di Alessandra Brezzi Note per un dono segreto. Il viaggio in Italia di Shan Shili (per gentile concessione dell’autrice e della casa editrice Orentalia).
Lessi per caso, mentre stavo conducendo ricerche su altri argomenti, una citazione che rinviava ad un testo redatto da una viaggiatrice cinese dopo un suo soggiorno in Italia agli inizi del Novecento. Di che si trattava? Come era giunta in Italia questa signora? E cosa era venuta a fare? Incuriosita dall’idea di poter leggere le impressioni di una donna cinese sul nostro paese, fui subito attratta dalla possibilità di scoprire che cosa l’avesse colpita, affascinata o infastidita, cosa avesse notato di caratteristico dell’Italia negli anni ’10 del Novecento, in breve di che cosa avesse voluto conservare memoria. Immaginavo di poter trovare informazioni, riflessioni, annotazioni sul nostro paese, diverse da quelle solitamente lette nei resoconti di viaggio dei funzionari e diplomatici del governo mancese a seguito delle loro missioni ufficiali in Occidente.

In questo caso, spesso il tutto si riduce a brevi descrizioni dei monumenti e delle architetture visitate, qualche scarno commento personale su ci  che si stava ammirando, dettagliate spiegazioni sulla situazione politica, sociale ed economica del paese, oppure strabilianti racconti sui ritrovati della scienza e della tecnologia in Occidente. In realtà Guiqian ji (Note per un dono segreto, 归潜记, 1910), questo il titolo dell’opera redatta da Shan Shili (单士厘, 1856-1943), moglie di un diplomatico dell’impero Qing, Qian Xun (钱恂, 1853-1927), si discosta tanto dai resoconti di viaggio dei suoi connazionali, quanto dalle mie aspettative. 

Pubblicato per la prima volta nel 1910, grazie ad un’edizione privata realizzata dalla famiglia Qian, il Guiqian ji fu dimenticato per molti anni. Probabilmente durante la prima metà del XX secolo non ebbe una larga diffusione tra studenti e intellettuali, fino a che, agli inizi degli anni Ottanta, Zhong Shuhe (钟叔河) non lo riconsegnò  alle stampe, inserendolo come ultima opera nella ricca antologia Zouxiang shijie cong shu (Collezione di opere ‘Verso il mondo’, 走向世界丛书, 1985), che raccoglie diari di viaggio redatti dai funzionari cinesi durante le loro missioni all’estero dalla metà dell’Ottocento agli inizi del Novecento.  L’abitudine di redigere resoconti di viaggio, personali o ufficiali, a testimonianza delle missioni o incarichi svolti, delle scoperte effettuate, delle riflessioni personali scaturite, non era certamente una novità dell’esercizio letterario cinese. […]

Cronologicamente il Guiqian ji segna uno spartiacque tra una comprensione dell’altro che si articola su canoni tradizionali legati alla Cina imperiale, e una percezione moderna legata alla nuova fase storica che, inauguratasi alla metà dell’Ottocento, sfocerà nella rivoluzione del 1911. Shan Shili salì sull’ultimo lento battello diretto in Europa; dopo di lei, il flusso di “veloci” mezzi di trasporto carichi di studenti, intellettuali, lavoratori e viaggiatori cinesi, pronti a solcare rotte occidentali, aumentò  notevolmente, e con esso cambiarono completamente le caratteristiche e le circostanze dell’incontro e della percezione dell’altro. […]

Strutturalmente il Guiqian ji è l’unico testo della raccolta a non esser compilato da mano di dotto letterato, ma piuttosto da una “modesta” mano femminile, scritto in cui si affronta per la prima volta il tema dell’“altro” e della sua scoperta da una prospettiva non ortodossa, ufficiale, ma piuttosto privata e soggettiva, quella di un occhio femminile. La sua collocazione a chiusa di una raccolta così ricca non fu casuale, quindi, ma fu il segno di profondi cambiamenti che la cultura e la società cinese stava vivendo in quegli anni. Non fu casuale che le pagine conclusive di quella eterogenea e ampia raccolta fossero affidate alla penna di un nuovo ed emergente soggetto letterario che, in quegli anni, cominciava a sperimentare e utilizzare nuovi generi narrativi.

Shan Shili e la sua opera rappresentano l’anello di congiunzione tra due momenti storici della vita sociale, culturale e politica del paese, ma soprattutto segnano idealmente la fine di un’epoca e l’inizio di un nuovo percorso principalmente per la sua componente femminile. Ancor più significative, infatti, saranno dopo di allora le trasformazioni che si verificheranno nella produzione letteraria femminile e nelle forme di scrittura ad essa legate.
   
Shan Shili fu anche il prototipo di donna cinese colta nella delicata fase di transizione tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, emblema e sintesi tra tradizione e modernità. Tradizionale fu il modello culturale che ereditò , l’ambiente familiare in cui crebbe, l’educazione che ricevette, secondo i dettami della morale confuciana, e tradizionale fu anche parte della sua produzione letteraria. Moderne, per non dire singolari, invece furono le esperienze personali, la vita che condusse, il matrimonio tardivo, i lunghi soggiorni all’estero, prima in Giappone poi in Europa, di cui lasci  memoria. […]

Nelle prime pagine del libro, Shan sta camminando lungo la navata destra della Basilica di San Pietro e rimane colpita dall’elevato numero di confessionali sistemati lungo i transetti. […]

Nel transetto vi sono i confessionali (in entrambi i transetti sia a sinistra sia a destra), ve ne sono per dieci diversi paesi. Chi si deve confessare sceglie il confessionale in cui si parla la propria lingua: il prete che ascolta la confessione conosce quella lingua e così riescano a comunicare. Nella Basilica di San Pietro ogni cosa è sontuosa, anche questi confessionali hanno un aspetto sfarzoso.

Chi si confessa, si inginocchia e racconta i propri peccati, non fa differenza se si tratti di grandi peccati come il tradimento, il furto o piccoli sbagli: bisogna raccontare tutto senza nascondere nulla, se si omette qualcosa Cristo non concede il perdono. Terminata la confessione, ci si inginocchia davanti al prete che, sollevando un ramoscello sulla testa, pronuncia frasi e afferma che si è già ricevuta la punizione del cielo; qualunque siano state le colpe, tutte ottengono la remissione.

L’ho visto spesso. Per tutta la vita l’uomo non smette di confessarsi; se, dopo la confessione del pomeriggio, si commettono dei peccati la sera, la mattina seguente ci si confessa di nuovo, per tornare ad essere un uomo perfetto. Anche i preti si confessano come le persone comuni, tutti devono confessarsi e non solo una volta. Il prete che si confessa può  poi ascoltare le confessioni degli uomini, e il prete che ascolta le confessioni, pu  poi fare le proprie ad altri preti. Il papa nella sua venerabile posizione ha un prete ad hoc che ascolta le sue confessioni, e si confessa tutti i giorni.

Ho sentito dire che bisogna confessarsi almeno ogni sette giorni, non come nella dottrina buddhista, per la quale se ci si pente una volta, non è poi più concesso ripetere azioni malvagie. Le donne si vanno a confessare più degli uomini; il marito permette ad una donna di inginocchiarsi in pubblico davanti a una folla, di raccontare le proprie malvagità, venalità e desideri ad un uomo che non è né un parente né un uomo con cui si ha un qualche legame, questo solo per confessare i peccati. Ma quale senso del pudore viene trasmesso, i credenti devono proprio comportarsi così? 

*Alessandra Brezzi è professore associato di Lingua e letteratura cinese alla Sapienza Università di Roma. Si occupa di letteratura del periodo tardo Qing (1989-1911) e dell’inizio del periodo repubblicano, in particolare della letteratura di viaggio; negli ultimi anni si è dedicata alla ricezione della letteratura italiana in Cina nel Novecento, pubblicando articoli quali  “Quattro folli pièces: Le prime traduzioni dell’avanguardia futurista italiana”, “Il Novecento cinese di Dante”, “Michelangelo Antonioni e la Cina”,“La ricezione di Calvino in Cina”. Ha curato i volumi La letteratura italiana in Cina (2008), Cara Cina… gli scrittori raccontano (2006), Al Confucio d’occidente. Poesie in onore di P. Giuli Aleni (2005).