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Il trilemma della sicurezza alimentare

In Sociale e Ambiente by Sabrina Moles

Davanti a emergenza climatica e globalizzazione la sfida per il futuro delle economie asiatiche si gioca anche nel rapporto tra risorse alimentari e popolazione. Un estratto dal nostro ultimo e-book dedicato ai trend demografici in Asia

All’aumentare della popolazione corrisponde una diminuzione delle risorse disponibili, scriveva il sociologo Thomas R. Malthus alla fine del XVIII secolo. Nel frattempo, la rivoluzione industriale e l’aumento del benessere nei paesi sviluppati sembravano attenuare i cattivi auspici su un futuro di sovrappopolamento e povertà. All’avanzamento tecnologico in agricoltura, però, hanno iniziato a fare da contrappeso l’emergenza climatica, l’inquinamento e la globalizzazione. Da un lato, le risorse idriche e la salubrità dei suoli stanno riducendo la redditività dei paesi più colpiti. Dall’altro la redistribuzione delle risorse segue i mercati anziché le necessità. Questo senza dimenticare le speculazioni e le bolle che sacrificano la biodiversità e l’autosufficienza di molte regioni per instaurare centinaia di ettari di monocolture o allevamenti intensivi. 

Cercare di prevedere cosa accadrà in Asia dal punto di vista delle risorse alimentari è complesso e va oltre il semplice rapporto risorse-popolazione malthusiano. “È difficile fare una sintesi delle differenti forze che influiscono su questa relazione”, spiega a China Files l’esperta di economia politica e popolazione Lauren Johnston. “Nei paesi sviluppati la popolazione anziana aumenta, e per questo contribuisce al consumo di risorse senza ritorni in termini di produttività”. Qualcosa, però, accomuna diversi paesi, tanto quelli che stanno invecchiando come la Cina, quanto quelli relativamente giovani del Sud-Est asiatico. “Il trend generale è che la popolazione dedita ad agricoltura e allevamento è sempre più anziana”, spiega Johnston. “E pochi paesi stanno realizzando cosa questo potrebbe comportare nel futuro”.

Nel contesto asiatico, la Cina rappresenta uno dei paesi più consapevoli di questa tendenza. Nelle aree rurali il problema è strutturale. L’economia agricola della Repubblica popolare è frammentata, e oggi le piccole imprese stanno chiudendo o cedendo i terreni per il mancato passaggio di consegne tra generazioni vecchie e nuove. Ciò significa, come rileva una recente ricerca pubblicata su Nature dal titolo “Ageing threatens sustainability of smallholder farming in China”, una perdita di almeno 4 milioni di ettari di terreni coltivabili. Secondo lo studio, il tasso di abbandono dei terreni potrebbe toccare il 15% entro la fine del secolo. Come sottolineano i ricercatori, far confluire questi terreni sotto la gestione di aziende più grandi potrebbe aumentarne la redditività. Ma “un processo di produzione eccessivamente dedito alla monocoltura e industrializzato nell’ambito della produzione su larga scala può minacciare le funzioni ecologiche di un sistema agricolo locale e la conservazione dei paesaggi rurali con perdita di biodiversità, di nutrienti ed erosione del suolo”. 

I rischi dell’abbandono dell’agricoltura rientrano in un più ampio ventaglio di sfide che riguardano opportunità lavorative, sviluppo sostenibile e accesso ai servizi di base. Tutti grattacapi che Pechino sta cercando di risolvere con quella che viene chiamata la “rivitalizzazione rurale”. Mentre rimane complesso trovare delle soluzioni capaci di incentivare il ritorno nelle campagne, il progresso tecnologico della Cina in agricoltura ha ottenuto risultati notevoli, per alcuni quasi “distopici”. Dall’automazione dei processi produttivi all’utilizzo della blockchain, dall’acquisizione e il brevetto delle sementi, si è arrivati alle più strane sperimentazioni (come l’ormai noto “grattacielo-stalla” capace di ospitare 1 milione di maiali all’anno). “Niente ci impedisce di pensare che anche un’idea di questo genere possa diventare la soluzione al problema dell’allevamento intensivo in Cina, spesso correlato a mancanza di qualità e diffusione di malattie”, commenta Johnston. “Così come oggi vediamo di buon occhio le vertical farms olandesi”.

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