Il significato di Mao, secondo Al Jazeera

In by Simone

—  Al Jazeera, in occasione dei 60 anni di Repubblica Popolare, ha realizzato un servizio in cui si prova a spiegare l’enigma e il culto di Mao nella Cina odierna, tentando di spiegare l’indifferenza, l’esaltazione o il disprezzo, da parte dei cinesi nei confronti di uno dei padri della Cina contemporanea. Un dibattito acceso teso ad analizzare quanto ancora rimanga di maoista nella società cinese, al di là degli aspetti più folkloristici. Di seguito parti dell’articolo di Dinah Gardner, inviata di Al Jazeera a Pechino, che si sofferma sull’immaginario odierno di Mao nella Cina, piuttosto che sulla presenza radicata di elementi maoisti nella gestione del potere nella Cina contemporanea  —

E’ fisso e guarda attentamente piazza Tian’anmen, nel centro di Pechino: è il ritratto gigante di Mao Zedong, una delle immagini più durature del ventesimo secolo cinese. Mao è morto da trent’anni, ma la sua immagine è dappertutto: nelle banconote, nelle piazze delle città, su magliette, accendini, borse e tazze. Un locale in cui si suona dal vivo a Pechino, il Mao Livehouse, ha come logo la sua celebre attaccatura dei capelli.
Durante i suoi venticinque anni di potere supremo in Cina, Mao è stato l’idolo in assoluto per milioni di giovani cinesi.  Ma oggi, 60 anni dopo aver proclamato lui stesso la nascita della Repubblica Popolare cinese, ha perso quasi interamente il suo fascino presso la popolazione cinese. "Era solo un uomo normale, come me e te", dice un giovane studente di moda di Wuhan. "Molte persone lo hanno considerato sempre un dio, questa è la storia. Personalmente non l’ho mai creduto”.

Ufficialmente, Mao perse il suo status divino, nel 1981, quando Deng Xiaoping, allora leader cinese, disse che Mao aveva avuto ragione nel 70% delle sue scelte, mentre il 30% si era rivelato sbagliato: ovvero, non era infallibile, non era un dio, era una persona normale. Quello di Deng, dicono i commentatori, fu uno sforzo abnorme, nel tentativo di abolire culto di Mao e tracciare una linea netta con un pezzo di storia cinese brutale e turbolenta. Più di 30 milioni di persone sarebbero morte a causa delle politiche di Mao. La dichiarazione di Deng (70:30) sull’operato di Mao, però, non ha dato la luce ad una valutazione completa della sua parabola. Fino ad oggi infatti, gli errori di Mao non sono mai stati oggetto di un vero dibattito pubblico in Cina. Sugli errori più sanguinosi, anche nei libri di testo degli studenti cinesi, si tende a sorvolare.

Rivoluzionario
Mao è ritratto come una grande figura rivoluzionaria che ha fatto alcuni errori, ma che è ancora venerato come il fondatore della nazione. Mao non è esplicitamente coinvolto nella Rivoluzione Culturale, ad esempio, sostengono i suoi sostenitori. In alcune parti del paese, Mao è ora appena menzionato nei libri di testo. A Shanghai nel 2006, il suo nome è stato praticamente eliminato dai libri di storia: non c’è quindi da meravigliarsi se la maggior parte dei giovani cinesi crescono con una scarsa conoscenza di Mao, non sentendosi per niente attratti da una eventuale eredità lasciata dal Grande Timoniere.

"I genitori non sono interessati a parlarne, i libri di testo non ne parlano e così fanno gli insegnanti. Gli studenti, di conseguenza, non sono particolarmente interessati a scoprire niente su di lui" dice David Moser, un professore dell’università di Pechino. Mentre in generale su Mao cala l’indifferenza, ci sono delle minoranze che invece hanno opinioni molto precise al riguardo. I giovani più nazionalisti tendono ad idolatrare Mao. L’esempio più ovvio sono i fenqing "gioventù arrabbiata”: utilizzano internet per sfogare la loro rabbia nei confronti di paesi, organizzazioni o persone che si sentono minacciare la crescita della Cina.

Critica e risentimento
In rappresaglia per le proteste che hanno sconvolto la Cina in occasione della staffetta della torcia olimpica dello scorso anno, uno studente dell’Università cinese ha postato su youtube sei minuti di un video ultranazionalista, fatto in casa. All’inizio del video c’è Mao. Nei primi 10 giorni on line, il video ha attirato più di un milione di visite. "Alcuni dei ragazzi più giovani sono nazionalisti e guardano a Mao come a un grande leader", spiega Moser.
Allo stesso tempo ci sono anche alcuni giovani cinesi che invece disprezzano profondamente Mao, per la crudeltà del suo governo. Un interprete di Pechino, 30 anni, dice che ogni volta che pensa a Mao sta male, perché pensa alla rivoluzione culturale. Questo ragazzo ha rifiutato di dare il suo nome, perché è preoccupato di esprimere pubblicamente il proprio parere.
Del resto, così come Mao non è mai stato criticato in pubblico, allo stesso modo sui mezzi di comunicazione, non si è mai ironizzato sul timoniere. "In Cina non esiste satira politica", osserva Moser. Così è accaduto nel mondo del cinema, i registi hanno sempre ritratto Mao come un eroe rivoluzionario.  I due blockbuster propagandistici per le celbrazioni del primo ottobre – Tiananmen e La Fondazione di una Repubblica – sono buoni esempi. "Quello che si ottiene sono film della storia rivoluzionaria che raffigurano i suoi successi gloriosi. La vita privata, gli errori e gli anni del declino sono invisibili", dice Chris Berry, un professore di studi cinematografici presso l’Università di Londra.

Mao l’eroe
"Anche se dubito che il governo permetterebbe mai una cosa simile, penso che più in generale nessun cinese voglia guardarsi un film in cui vi è la parte più critica della sua vita. Vogliono Mao l’eroe."  Un film che dovesse ritrarre Mao come un dittatore che ha causato milioni di morte sarebbe visto – secondo Chris Berry – non solo come un errore, “ma come un vero e proprio delitto, un attacco contro lo Stato". 
Un settore nel quale esiste qualche possibilità di vedere raffigurato Mao in modo diverso, esiste ed è quello dell’arte. Uno degli artisti più esplicito è Ai Weiwei, disposto a condividere la sua opinione. Ai non possiede un buon ricordo di Mao. "Mao eseguiva la sua volontà, piuttosto che servire il popolo", dice. "E’ uno degli imperatori da considerarsi marci", conclude.