Il Reggae in Cina. Dai sino-giamaicani a oggi

In Cina, Cultura, Economia, Politica e Società by Gian Luca Atzori

Ormai è comune vedere la faccia di Bob Marley nei pub occidentali di Pechino, ma in genere i cinesi che vedevano i suoi e i miei dreadlocks pensavano fossero capelli finti. Anche dopo avergli spiegato l’origine dei Rastafari e del Reggae, era solito che mi guardassero ridendo per poi ripetere “sono finti, lo so”.

Reggae (雷鬼léiguǐ lett. Spirito/demone del tuono) non è infatti una parola comune nei dizionari del cinese medio, nonostante gli emigrati mandarini, poi acquisiti sino-giamaicani, furono tra i primi artisti ska e rocksteady in grado di unire soul e opera cinese, dispensatori di dancehall, produttori di Marley, Tosh, Perry, Cliff e Dekker. Personaggi e famiglie capaci di avviare percorsi di integrazione multietnica attraverso la musica che hanno cambiato la storia dell’isola caraibica e che tutt’ora hanno implicazioni etniche, sociali e culturali da cui emergono le evoluzioni e le sfide della Repubblica Popolare.

Wong e Lee, i precursori

I primi cinesi arrivarono in Giamaica nella seconda metà dell’ottocento, prevalentemente da Guangdong e Fujian, sfruttati come manodopera nelle piantagioni di zucchero britanniche, per poi gradualmente emanciparsi e aprire piccole attività, non diversamente da quanto accaduto in altre parti del mondo. Forse però, come si legge su Danwei, “i dottori mandarini iniziarono ad utilizzare qualche erba autoctona nei loro rimedi tradizionali. Questo perché in Giamaica accadde qualcosa di insolito: la comunità cinese fu coinvolta fin dal principio negli sviluppi di quella sporca musica da ghetto che divenne poi il Reggae”.

Tra i primi pionieri sino-giamaicani troviamo Thomas Wong, un mercante di Kingston conosciuto come “Tom The Great Sebastien”, e Byron Lee con la sua band i Dragonnaires. A Wong si deve la nascita del primo “dancehall sound system” che diede spazio ai DJ negli anni ’50, molto prima della nascita dell’hip-hop, i quali dai ritmi soul e blues iniziarono a delineare il sound del Reggae. Mentre grazie all’incontro tra il soul americano e i ritmi caraibici, Lee e i Dragonnaires impressero nuove vibrazioni allo Ska di Kingston, dando voce ad un nuovo genere internazionale.

La famiglia Chin lancia Marley, Tosh e Lee Perry

Tra i primi e più longevi produttori troviamo la famiglia di Patricia e Vincent “Randy” Chin che dagli anni ’60 ha dato e continua a dare un forte impulso allo sviluppo della scena reggae. Ai Chin si deve il lancio -anche se di scarso successo- delle prime registrazioni di Bob Marley, Peter Tosh e Lee “Scratch” Perry. “Bob Marley era molto timido. Lee “Scratch” Perry e Peter Tosh erano giovani, avevano circa 16 o 17 anni” Racconta la signora Chin nel 2019.

Non solo, il reggae fu frutto dell’integrazione e la collaborazione tra le comunità asiatiche e africane. “[Al tempo] C’erano sette o otto musicisti che facevano musica reggae, mentre noi cinesi eravamo i proprietari dei negozi. [Questi negozi] erano i luoghi d’incontro per le giovani generazioni cinesi che si mescolavano con gli africani”, afferma Chin, e prosegue “I cinesi acquistavano apparecchiature come altoparlanti e giradischi, e i neri avevano le idee per produrre, cantare e fare musica. I negozi erano come una piazza [pubblica] dove le persone si incontravano”

Leslie Kong, Jimmy Cliff e Desmond Dekker

Il produttore reggae più prolifico fu però Leslie Kong, primo a rilasciare i successi internazionali di Bob Marley, come “One More Cup of Coffee” e “Judge Not”, ma anche il primo a scoprire Jimmy Cliff, con cui avviò una lunga collaborazione partendo dalla sua piccola gelateria Beverly, la quale era combinata con un negozio di dischi. Nel 1961, a Cliff serviva uno sponsor per registrare il suo pezzo “Dearest Beverly” e stette di fronte alla gelateria cantando la sua canzone per giorni finché Kong non decise di finanziarlo, ricavando un piccolo studio di registrazione nel piano superiore. Così nacque la casa discografica Beverly e venne lanciato il successo planetario di Jimmy Cliff. Kong produsse anche “Poor me israelite” di Desmond Dekker che fu il primo singolo giamaicano di portata internazionale capace di intaccare la Top ten anglo-americana, vendendo oltre 2 milioni di copie.

Stephen Cheng, tra rocksteady e opera cinese

Tra gli artisti sino-americani che rappresentano interessanti casi di interazione culturale c’è invece Stephen Cheng, il quale nel 1967 attraverso il suo pezzo “Always Together (A Chinese Love Song)” pubblicato dall’etichetta giamaicana Sunshine, tenta un esperimento unico nel suo genere, riadattando una vecchia canzone folk taiwanese (Girl from Ali Shan) in chiave rocksteady e sostituendo le cadenze blues con quelle tipiche dell’opera cinese.

La comunità sino-giamaicana con i suoi oltre 22 mila membri è tuttora molto coinvolta a livello musicale. Una delle raccolte più accurate riguardanti la storia del reggae fu infatti realizzata da due sino-giamaicani, Kevin Chang e Wayne Chen e persino il famoso Sean Paul vanta la stessa origine.

Lo Spirito del Tuono nella Terra di Mezzo

Purtroppo, la gran parte di questi pionieri sono pressoché sconosciuti in patria. Dopo quasi 25 anni dalla sua uscita in occidente, solo nel 2007 l’album Legend di Bob Marley iniziò ad essere venduto anche nella Repubblica Popolare.

Alcuni affermano che se c’è una figura che richiama “il padre del reggae giamaicano” in Cina costui è Cui Jian, a cui ci si appella come il “padre del Rock&Roll cinese”. Cui Jian divenne famoso negli anni ’80 cantando le difficoltà quotidiane della gente comune e, fino a qualche tempo fà, il governo gli impedì di organizzare grandi concerti. Lui stesso non accetta il paragone con Marley. “Non fate certi paragoni” disse. “Sono imbarazzato all’idea di essere visto in questo modo. Al massimo potrete dire che noi siamo i suoi eredi. La sua influenza fu un elemento chiave del nostro successo”.

Sulla stessa scia, tra gli anni 90, “lo spirito del tuono” venne associato ad una forma di rock lento, più melodico e popolare, identificandosi in artisti come i Beyond, Ai Jin (我的1997), Zhang Chu o Dou Wei. Nei primi anni 2000 si apre invece all’elettronica dei Wangtone e alle sperimentazioni di Xie Tianxiao (谢天笑), le quali uniscono lo strumento tradizionale del guzheng alle ritmiche in levare tipiche del sound caraibico.

Un mezzo di emancipazione etnica e sociale

Nel 2013, China Daily, realizzò un articolo sulla star emergente svizzera Junior Tsakha, vincitore del festival reggae europeo svoltosi in Italia, il Rototom Sunsplash 2009, e impegnato a rappresentare la sua nazione al festival cinese “Mars en Folie”. L’articolo è interamente incentrato sull’importanza di abbattere le barriere culturali e sul ruolo che il reggae ricoprirà in Cina.

Nel 2015 sono nati i Kawa, più conosciuti come “Yunnan Reggae”, provenienti dall’omonima regione. Lo Yunnan viene descritto dai Kawa come una regione profondamente simile all’isola giamaicana, sia per via del suo clima tropicale e sia per via della sua grande multiculturalità interna. Il motto della Giamaica è “Da molti, un popolo” (Out of many, one people), mentre lo Yunnan vanta la maggiore diversità tra i 56 gruppi etnici cinesi. La particolarità dei Kawa è proprio quella di introdurre l’elemento indigeno nella loro musica come mezzo di emancipazione.

Il reggae sembra essere riuscito persino a superare la pandemia. Il 26 settembre 2020, Pechino ha ospitato una tappa delle celebrazioni in onore dei 75 anni dalla nascita di Bob Marley (6/2/1945), organizzato dalla sua famiglia, la Island Records, la Universal Music China, e la Primary Wave Music Publishing. Il concerto ha visto la partecipazione di diverse reggae band cinesi tra cui i Long Shen Dao e il contributo di numerosi artisti come Xie Tianxiao, Jiang Liang, Guo Jian, e Zang Hongfei.

I LongShenDao (龙神道 lett. La via del Dio dragone) hanno rappresentato una rivelazione di fama internazionale, con concerti da San Francisco all’Europa. Il loro primo album “Tai Chi reggae” unisce i 4/4 dei beat reggae in levare a 60/70bpm con le pentatoniche e gli strumenti tradizionali cinesi, professando un messaggio di armonia universale. Già dai nomi da loro scelti come dao (道il taoismo, la via) e TaiChi si intuisce il loro tentativo di unire la cultura cinese ad un genere musicale dai più ritenuto universale, e se c’è una cosa che la cultura rasta e il taoismo condividono è la contemplazione dell’armonia con la natura e ciò che ci circonda. Il loro secondo album è uscito nel 2016, si chiama Freedom e presenta la prima cover di una canzone di Marley, “Get Up Stand Up”.

Oggi il paese pare dunque pronto ad accogliere il genere, tuttavia, la domanda sorge spontanea: il reggae in Cina preserverà la sua forte influenza socio-politica o è solo una questione di ritmo? Da una parte è vero che la commercializzazione del genere in occidente fa si che il suo messaggio originale venga meno, mentre la Cina pare essere invece sempre più aperta a nuovi sviluppi. Dall’altra, guardando a Cui Jian, alla censura artistica, alle misure di contrasto dei “valori occidentali” e ai crescenti messaggi di emancipazione e autodeterminazione, come può essere ben visto dal governo un messaggio come quello di “get up stand up, stand up for your right” se mai diverrà un ritornello popolare non solo nelle melodie, ma anche nelle coscienze di coloro che vorrebbero cambiare le cose?