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Il processo a Xu Zhiyong e la stretta sugli attivisti moderati

In Cina, Economia, Politica e Società by Alessandra Colarizi

Il processo agli avvocati Xu Zhiyong e Ding Jiaxi conferma una crescente intolleranza verso forme di attivismo un tempo tollerate. La nostra analisi in collaborazione con Gariwo Onlus.

Intorno alla mezzanotte del 19 giugno Xu Zhiyu è stata prelevata dall’ostello in cui alloggiava da una decina di sconosciuti. “Non mi è concesso nemmeno di andare al bagno, fermarmi a mangiare o a bere dell’acqua”. Sulla via verso casa, la donna raccontava di come le autorità cinesi l’avessero trattenuta nove ore senza poter nemmeno permetterle di espletare i propri bisogni fisiologici. Xu non è una criminale, né una ricercata. E’ semplicemente la sorella di Xu Zhiyong, uno degli avvocati cinesi più rinomati a livello internazionale messo a processo dopo due anni di detenzione lo scorso 19 giugno. Come spiega il South China Morning Post, alla donna è stato impedito di raggiungere il tribunale per vedere il fratello. 

Su Xu Zhiyong incombe l’accusa di “tentato sovvertimento del potere statale” e “incitamento alla sovversione”. L’attivista – che ora rischia l’ergastolo – era stato arrestato dopo settimane di fuga per aver organizzato nel dicembre 2019 un incontro privato con altri dissidenti a Xiamen, nel sud della Cina. L’evento aveva introdotto la discussione di temi sensibili, come la “transizione democratica della Cina” e il rispetto dei diritti costituzionali. Un affronto intollerabile per il Partito unico. Secondo la procura della città di Linyi, nello Shandong, il vero obiettivo di Xu era quello di fomentare una “rivoluzione colorata” per rovesciare il regime cinese. Le stesse accuse sono state mosse contro gli altri presenti, tra cui l’attivista Ding Jiaxi. Anche Ding è stato processato a porte chiuse il 23 giugno.

Il nome dei due avvocati in Cina e all’estero è associato principalmente al movimento dei nuovi cittadini”, organizzazione che intorno al 2010 ha portato avanti importanti battaglie contro la corruzione dei funzionari, e a favore dei diritti dei figli dei migranti. Questioni che paradossalmente ricoprono un ruolo importante nell’agenda del governo cinese. Ma che diventano temi “sensibili” se affrontati dalla società civile.

A causa del loro attivismo Xu e Ding sono stati arrestati nel 2013 e condannati rispettivamente a quattro e tre anni e mezzo di carcere per “disturbo dell’ordine pubblico”. Dopo il rilascio nel 2017, i due hanno mantenuto un basso profilo. Poi il meeting di Xiamen ha nuovamente catapultato l’attivista nella blacklist delle autorità.

Durante la fuga l’avvocato ha indirizzato pesanti accuse contro il presidente Xi Jinping. Considerato “non sufficientemente capace” per governare, il lider maximo cinese è stato invitato a dare le dimissioni. “Certo, è facile per chiunque si circondi di adulatori sviluppare un’esagerata sicurezza di sé. Ciò [in Cina] è aggravato da un sistema che censura le opinioni discordanti e lascia spazio solo a un’approvazione servile. Non ci sono voci che osano essere in disaccordo”, ha scritto Xu. Nelle parole dell’avvocato riecheggiava tutto il disincanto della società civile per le speranze disattese dal presidente – figlio del riformista Xi Zhongxun – proiettato verso un controverso terzo mandato. 

Un processo segretissimo

Dopo l’arresto del 2020, per sette mesi Xu e Ding hanno continuato a subire abusi fisici e mentali senza nemmeno avere accesso a un supporto legale. Nonostante le sofferenze patite, i due attivisti non hanno mai riconosciuto la propria colpevolezza. In risposta, le autorità hanno modificato i capi d’imputazione da “incitamento alla sovversione del potere statale” al più grave reato di “sovversione del potere statale“. 

Nel biennio di detenzione, Xu e Ding hanno potuto comunicare con i loro avvocati difensori soltanto due volte, a gennaio e a febbraio del 2021. Entrambi i processi si sono svolti a porte chiuse, come previsto per tutti i casi che “riguardano segreti di stato”; anche i parenti stretti degli imputati non sono stati ammessi alle udienze. Secondo fonti a conoscenza dei fatti, gli avvocati difensori di Xu e Ding sono stati costretti a firmare un accordo di non divulgazione che impedisce loro di condividere informazioni sui processi. Pena la cancellazione dall’albo. Su queste stesse colonne tempo fa avevamo spiegato come l’interdizione dalla professione sia una strategia sempre più utilizzata in Cina per silenziare le voci scomode senza dare troppo nell’occhio. I casi di Xu e Ding ci ricordano come, mentre Pechino promette da anni una riforma dello stato di diritto, la necessità di proteggere la stabilità del sistema impedisce l’utilizzo di maggiore trasparenza nei casi politicamente sensibili. Secondo un’indagine dell’Ong Safeguard Defenders, la polizia cinese attribuisce spesso agli arrestati un nome falso durante la detenzione pre-processuale per impedire che vengano rintracciati da avvocati e famigliari. Una violazione della legge cinese che sulla carta attribuisce il diritto di assistenza legale entro 48 ore dalla registrazione della custodia cautelare. 

Anche i moderati finiscono nel mirino

Oltre a Ding, altri attivisti vicini a Xu si trovano al momento in carcere. Per citarne alcuni: l’avvocato Chang Weiping, l’accademico Zhang Zhongshun e i dissidenti Dai Zhenya e Li Yingjun. Li Qiaochu, la compagna di Xu, è stata prelevata dalla polizia nel febbraio 2021 dopo aver denunciato su Twitter le torture subite da Xu e Ding. C’è stato un tempo in cui, in Cina, associazionismo e mobilitazioni potevano costare facilmente l’arresto. Ma ormai basta molto meno per finire dietro le sbarre. Lo confermano i numeri di Chinese Human Rights Defenders (CHRD), gruppo per la difesa dei diritti umani che tiene traccia delle “scomparse”, delle detenzioni, e degli arresti ai danni di dissidenti e attivisti cinesi. Secondo il database di CHRD, se nel 2011 solo quattro persone sono state portate via e private della loro libertà dalle autorità per aver “pacificamente difeso i diritti umani”, nel 2021, il bilancio è salito a 144 casi. Cifre sottostimate che attestano l’impiego di metodi sempre più pervasivi: alcuni degli ultimi arresti sono avvenuti semplicemente sulla base di interviste rilasciate ai media internazionali o dichiarazioni pubblicate su Twitter diversi anni fa. “Questi erano tutti comportamenti tollerabili in passato, ma ora non più”, spiega al South China Morning Post un ricercatore della University of Hong Kong, che rileva inoltre un aumento delle incriminazioni per “tentata sovversione dello Stato”.

Di Alessandra Colarizi

[Pubblicato su Gariwo]