Il nuovo governo ultrahindu di Modi

In Asia Meridionale, Economia, Politica e Società by Matteo Miavaldi

Il 31 maggio, il secondo governo Modi ha ufficialmente iniziato il proprio mandato, presentando la squadra di gabinetto al presidente indiano Ram Nath Kovind.

L’eccezionale vittoria elettorale di due settimane fa, raggiunta dopo un’estenuante campagna elettorale all’insegna dell’identitarismo, del nazionalismo e del suprematismo hindu, ha di fatto influenzato la scelta delle personalità destinate a occupare posizioni di rilievo nell’affollatissimo esecutivo indiano.

Si tratta di ben 54 nomine tra ministri di gabinetto, sottosegretari e ministri indipendenti: una squadra dove il partito della destra hindu Bharatiya Janata Party (Bjp), senza sorpresa, occupa gran parte dei dicasteri principali. In particolare, chi come il primo ministro Narendra Modi può vantare una formazione politica di lungo corso tra le fila della Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), organizzazione extraparlamentare ultrahindu per la promozione del suprematismo hindu nel Paese, è destinato a gestire snodi di potere che mai come ora, nella Repubblica indiana, sembrano a totale appannaggio dell’estremismo religioso.

Un processo che gli osservatori della politica indiana avevano già osservato negli ultimi cinque anni ma che oggi, col Modi 2.0 al potere, sembra definitivamente compiuto: il Bjp, un tempo conteso tra la fazione ultrahindu e una destra liberista anti-Congress, appare ora completamente nelle mani dei primi.

Esempio eclatante è la nomina di Amit Shah agli interni. Shah, presidente del Bjp, è stato il braccio destro di Modi sin dai primi anni duemila, quando il primo ministro attuale esordiva come chief minister del Gujarat. Intestandosi l’ottima performance economica dello Stato, con picchi di crescita a doppia cifra, il duo Modi-Shah nel 2014 iniziò la scalata al Bjp, raggiungendone incontrastati la vetta in soli cinque anni.

Ai tempi del Gujarat, il ministro tuttofare Shah – arrivò a gestire più di dieci deleghe – fu accusato di orchestrare una serie di omicidi extragiudiziali. Arrestato nel 2010 per una sfilza di capi d’accusa tra cui omicidio, estorsione e sequestro di persona, dopo tre mesi fu rilasciato su cauzione ma costretto all’esilio dal Gujarat dall’Alta Corte locale, così da evitare il rischio di inquinamento di prove.

Dopo aver cambiato ben tre giudici – di cui il secondo, Brijmohan Loya, morto nel 2014 in circostanze misteriose – le autorità giudiziarie del Gujarat hanno dichiarato Amit Shah non colpevole. Da ieri è a capo delle forze di polizia federali di tutto il paese.

Rajnath Singh, già agli interni, è stato riconfermato tra i fedelissimi di Modi, finendo alla difesa. La ministra Nirmala Sitharaman, già alla difesa, è ora alle finanze. Altro uomo vicino al primo ministro è Ravi Shankar Prasad, che gestirà le deleghe di giustizia, telecomunicazioni e information technology.

Tra gli assenti illustri: Arun Jaitley, l’uomo dei conti del primo governo Modi, e Sushma Swaraj, apprezzata ministra degli esteri all’ombra del protagonismo oltreoceanico di Modi. Epurati.

[Pubblicato su il manifesto]