Il mercato della musica indipendente in Cina (seconda parte)

In by Simone

Proponiamo un reportage sulla scena musicale indipendente cinese, in tre puntate. Un viaggio attraverso etichette, personaggi, sogni e dura realtà. Qui trovate la prima parte. Di seguito la seconda parte. Buona lettura!

Scelte di vita e di passione

Realtà come le indie label restano una stretta minoranza nella scena musicale alternativa cinese, che è tuttora molto legata all’iniziativa di singoli e frammentata in un mosaico di collettivi poco allineati all’industria musicale.

Centro di queste attività è senz’altro Pechino, dove hanno base la maggior parte delle principali etichette di musica alternativa, vuoi per l’esistenza di un pubblico relativamente vasto, vuoi per la presenza di una scena musicale molto variegata. Centri come Shanghai o Canton rimangono decentralizzati, nonostante la moltiplicazione dei festival in tutto il paese e l’apertura negli ultimi anni di livehouse attrezzati in cui esibirsi. Spesso le band provenienti dal resto della Cina sono prive di supporto e si trovano costrette a spostare la loro base operativa nella capitale.

La storia di Wang Xiao è a suo modo molto lineare: la sua esperienza nasce con un sito internet, aperto nel 1997, e con la passione per l’heavy metal condivisa con un gruppo di persone della scena musicale allora ristrettissima. Due anni dopo era già coinvolto nella pubblicazione di un paio di riviste specializzate con base rispettivamente a Pechino e Nanchino. “L’idea di concentrare le attività a Pechino è stata la più naturale per inseguire una vera crescita” afferma Wang Xiao. Tra il 2003 e il 2004, il progetto discografico prende piede con la nascita dell’etichetta metal Areadeath (

http://adp.areadeath.net/;



http://xmusick.com



). Per risparmiare, al principio, si cercano degli espedienti: promozione gratuita e richieste non esagerate dai gruppi che entrano nel progetto permettono di dare respiro all’investimento iniziale.
“La strategia guida è lavorare con band straniere, curiamo la promozione e la produzione del cd, dai materiali di supporto alla stampa dei booklet, realizzando poi le registrazioni all’estero a garanzia di maggiore qualità.”









 

Le vendite si concentrano maggiormente tra U.S. ed Europa, mentre la produzione locale a basso costo permette entrate da reinvestire sul mercato cinese. Il giro di affari è ridotto, ma le vendite via internet hanno preso piede, talvolta arrivando ad offerte d’eccezione su e-bay. La sfida è con la crisi del mercato discografico, che ha costretto Wang Xiao a ridurre la produzione e migliorare la qualità delle realizzazioni puntando su appassionati e collezionisti.

L’esperienza della Miniless 







(http://miniless.ycool.com/ ) è diversa e ricorda più da vicino la storia di una vera e propria etichetta di culto. Fondata nel 2006 da Yang Chang, Han Han e Li Xiaoliang, propone e rappresenta una piattaforma in grado di diffondere un concetto di musica legato alla sperimentazione di nuove forme, lavorando sulla scena musicale del Sud-Est della Cina, delocalizzata rispetto al circuito pechinese. Quando si ragiona di “promozione” o di “obiettivi”, Han Han storce il naso e preferisce parlare di “diffusione” e “percorso”. “L’esigenza principale non è la vendita o l’affermazione della Miniless nel mercato musicale come azienda”, afferma, “Le cinque persone che collaborano oggi con l’etichetta hanno tutte un altro lavoro e l’impegno che spendono nella musica è quello di scoprire nuove realtà di valore per dare loro una voce. Una piattaforma dove ognuno mette quello che ha, al servizio della creazione artistica musicale.”

Del resto Han Han viene da Hefei, uno dei numerosi centri urbani cinesi con una popolazione di milioni di abitanti ma per lo più priva di uno spessore di cultura musicale. La sua idea di etichetta discografica parte da un’esperienza di condivisione e dall’idea di un tipo di musica votata ad un nuovo suono, che si sforzi di essere più tipicamente cinese: “Troppi gruppi della scena cinese degli anni ’80-’90 sono finiti su un palco solo per le loro qualità di poser o per essere delle mere imitazioni di rockstar straniere”.








Le band che operano nella loro etichetta variano negli stili, dal noise allo shoegaze, dal post-rock all’elettronica, ma sono in sintonia nel loro approccio alla musica, fatto di preparazione, qualità e spesso di nervosismo sul palco, piuttosto che di volgare sfrontatezza.

Ci sono poi esperienze ancora più ristrette, veri e propri collettivi autonomi e completamente staccati dal mercato: è il caso della Nojiji 



(http://www.nojiji.com/).
Attiva dal 2004, l’etichetta si trova in uno dei distretti dell’immensa periferia pechinese e costituisce un riferimento attivo per musicisti “delocalizzati” in una metropoli delle dimensioni di Pechino. Il collettivo raduna tre-quattro persone impegnate a tempo pieno nelle attività organizzative e tre band musicali.

La Nojiji prescinde da ogni considerazione economico- commerciale e si basa sull’auto-finanziamento attraverso la vendita online di cd auto-prodotti, riviste, pubblicazioni letterarie di poesie, realizzazioni video di cortometraggi e l’organizzazione di eventi culturali.




Fulcro delle attività del gruppo è lo spazio Small Buddha’s saying Club, dove si svolgono le performance e avvengono le registrazioni. Il concetto di cultura alternativa personale è la loro filosofia di base: la comune passione per la cultura beat americana si integra ad una dimensione spirituale in riferimento al Buddhismo cinese. Dall’esplorazione di stati d’animo tra l’emotivo e il contemplativo scaturisce l’estro creativo che, musicalmente parlando, prende forma attraverso il noise-sperimentale in parte legato a contaminazioni elettroniche. Il pubblico è chiaramente ristretto ma il loro nome compare all’interno dell’ambiente musicale alternativo e ha trovato seguito tramite internet, contando anche su una sensibilità artistica che contraddistingue il design e l’estetica della loro produzione.