Il 7 ottobre 1950, 40mila uomini dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese attaccano la città di Chamdo, nel Tibet orientale. Il piccolo esercito del Paese delle Nevi (8mila unità) viene sbaragliato. Dopo la fallita insurrezione di Lhasa (marzo 1959), il Dalai Lama abbandona il paese e trova rifugio in India. Lontano dal Tibet racconta la storia dell’esilio del popolo tibetano e della sua lotta per la libertà. China Files ve ne regala un estratto (per gentile concessione di Edizioni Lindau).
La Library of Tibetan Works and Archives si trovava a metà strada tra McLeod Ganj e Dharamsala. La si poteva raggiungere percorrendo un sentiero sassoso che scendeva a precipizio tra boschi di pini e querce himalayane. L’edificio della Library era il più bello di tutto il complesso edilizio del Gangchen Kishong, l’Amministrazione Centrale tibetana. Ero andato di buon mattino al Department of Information and International Relations per chiedere l’accreditamento per la manifestazione del 10 marzo. Mi diedero un tesserino con su scritto «Press» e il simbolo del governo tibetano in esilio. Avevo tutta la giornata davanti a me. Decisi di andare alla Library. La biblioteca si trovava al piano terra di una solida costruzione in cemento armato. La veranda, in stile tibetano, era decorata con colori vivaci. Dipinte sui capitelli, c’erano delle teste di creature infernali.
All’interno, una targa di bronzo ricordava il nome dei due progettisti: THE BUILDING WAS DESIGNED BY RAMESH KHOSLA AND KALON J. TARING IN THE YEAR 1972. THE LIBRARY IS DEDICATED TO THE TIMELESS CULTURAL LINKS BETWEEN TIBET AND INDIA.
Nell’atrio d’ingresso c’erano delle panche di legno con sopra dei cuscini di gommapiuma. Affisso al muro un cartello avvisava: «No sleeping on the benches». Chiesi del bibliotecario. Pema Yeshi aveva poco più di trent’anni. Portava una camicia a righe e un paio di pantaloni di velluto nero. Gli occhiali, con la montatura d’acciaio e le lenti circolari, gli davano un’aria da intellettuale. «Vorrei leggere qualcosa sull’insurrezione di Lhasa del 1959» gli dissi. «Se ne parla in molti libri» mi rispose, e m’invitò a sedere nella sala di lettura. Nella sala, quattro pilastri a sezione poligonale sostenevano un soffitto azzurrino scrostato dall’umidità. Sulle pareti si leggevano altri cartelli: «Eating, drinking, smoking and sleeping in the Library Reading Room are strictly prohibited». E ancora: «Pets such as dogs, cats and other animals shall not be brought inside the Library». Dipinto direttamente sul muro, c’era un grande ritratto a olio del Dalai Lama. Tenzin Gyatso era giovane e sorridente. Sfogliava le pagine di un antico testo tibetano. Hanna Fiala Ghosh, l’autrice dell’opera, l’aveva dedicata «Al popolo del Tibet».
Dalle finestre entrava una luce soffusa e il mormorio dei vecchi tibetani che giravano attorno alla Library recitando mantra e facendo roteare i loro mulinelli di preghiera. Il bibliotecario mi portò quattro libri: The Revolt in Tibet di Frank Moraes, My Land and My People del Dalai Lama, From the Land of the Lost Content di Noel Barber e In Exile from the Land of Snows di John Avedon. Mi immersi nella lettura. A sera, all’ora di chiusura, ero riuscito a ricostruire gran parte degli avvenimenti del marzo 1959 a Lhasa. Scrissi gli appunti come se fossero notizie di agenzia.
LHASA, 28 febbraio 1959.
Continuano gli arrivi di centinaia di profughi nella capitale del Tibet. Giungono dalle province orientali di Amdo e di Kham. In queste zone, cinque anni fa, iniziò uno scontro armato tra le popolazioni locali e l’Esercito di Liberazione Popolare Cinese. Amdovani e khampa si opposero in massa al programma di «riforme democratiche» imposte dal governo di Pechino. I monasteri diventarono i centri della resistenza tibetana. Nel febbraio del 1956, i due monasteri di Changtreng e Lithang, con dentro migliaia di rifugiati civili, vennero bombardati dagli aerei da guerra cinesi. Ci furono più di tremila morti. Dopo questi bombardamenti, la ribellione dei khampa si estese a tutto il nord-est del paese. L’Armata Rossa di Mao Zedong la represse nel sangue. Migliaia di profughi khampa cercarono rifugio nel Tibet centrale. A Lhasa, da mesi, scarseggiano i viveri e i generi di prima necessità. Le truppe di occupazione cinesi presenti nella capitale sono stimate superare le 20.000 unità. Le famiglie di profughi che hanno trovato rifugio a Lhasa o nelle sue immediate vicinanze sono più di 15.000.
LHASA, 1° marzo 1959.
Nella tarda mattinata di oggi, due giovani ufficiali dell’esercito cinese si sono recati nel Jokhang, la Cattedrale Centrale, e hanno chiesto di poter incontrare il Dalai Lama. A nome del generale Tan Guansan, il facente funzione di rappresentante del governo cinese a Lhasa, hanno invitato la massima autorità temporale e spirituale del Tibet ad assistere a uno spettacolo teatrale organizzato in suo onore a Silingpu, la sede del comando militare cinese. Il Dalai Lama ha accettato l’invito. Si è riservato però di fissare la data della sua partecipazione all’evento solo dopo l’esame per il geshe lharampa, il dottorato in metafisica, che dovrà sostenere il prossimo 4 marzo.
LHASA, 3 marzo.
L’abate del monastero di Gyume, ha consultato questa mattina l’oracolo del monastero di Nechung. Gli ha chiesto, in questo momento di grande travaglio, cosa fare per proteggere il Dalai Lama, il buddhismo e il governo tibetano. L’oracolo ha risposto: «Ngekyi lopon thongwa donden di / Phyikye mepai Kulma debre ren» (È ora di far sapere al Guru che tutto conosce di non avventurarsi fuori dalle mura). La profezia è stata scritta su uno spesso foglio di carta tibetana a cui è stato apposto il sigillo dell’oracolo.
LHASA, 3 marzo.
Nelle prime ore del pomeriggio Radio Lhasa ha diffuso la notizia che il Dalai Lama prenderà parte alla riunione del Congresso Nazionale del Popolo Cinese che si terrà a Pechino nel prossimo mese di aprile. Fonti vicine al governo tibetano smentiscono la notizia e la definiscono «priva di ogni fondamento».
LHASA, 4 marzo.
Tenzin Gyatso (24 anni), il XIV Dalai Lama del Tibet, ha superato a pieni voti l’esame per il dottorato in metafisica. L’esame si è tenuto nel Jokhang di Lhasa alla presenza di più di 10.000 monaci. È stato l’evento culminante del Festival di Monlam, in corso nella capitale tibetana da una decina di giorni.
LHASA, 5 marzo.
Il Dalai Lama si è trasferito oggi dal Potala al Norbulingka, la sua residenza estiva. Il Norbulingka, il «parco-gioiello», è situato nella periferia occidentale della città. Tra due ali di folla festante, una variopinta processione ha accompagnato il dio-sovrano del Tibet nel Palazzo d’estate. Ad aprire la parata c’erano tre soldati a cavallo vestiti con gli antichi costumi tibetani. Precedevano una banda musicale che suonava l’inno God Save the King. Seguivano gli effetti personali del Dalai Lama trasportati all’ombra di alti parasoli gialli. Era quindi la volta di un intero reparto a cavallo dell’esercito tibetano. Venivano poi gli alti dignitari, i monaci anziani e i membri della famiglia di Tenzin Gyatso. Il dio-sovrano del Tibet sedeva all’interno di un palanchino rivestito di seta gialla. Era portato a spalla da 36 inservienti. Chiudevano la processione le autorità laiche, in ordine gerarchico decrescente. Per la prima volta, dal 1950 a oggi, le autorità cinesi non hanno preso parte alla parata.
LHASA, 7 marzo.
Il generale Tan Guansan ha rinnovato l’invito al Dalai Lama ad assistere a una rappresentazione teatrale da tenersi in suo onore a Silingpu, il quartier generale dell’esercito cinese a Lhasa. Il Dalai Lama ha nuovamente accettato l’invito e ha proposto la data del 10 marzo per la sua partecipazione all’evento.
LHASA, 9 marzo.
Il brigadiere Fu, l’addetto militare cinese, ha fissato il protocollo per la visita del Dalai Lama al comando militare. Il brigadiere Fu ha stabilito che nessun uomo armato dovrà accompagnare il Dalai Lama e nessun soldato potrà scortarlo oltre il Ponte di Pietra. A detta di Depon Takla, il comandante del reggimento della guardia personale del Dalai Lama, le condizioni poste dai cinesi per la visita di Tenzin Gyatso a Silingpu sono «del tutto inaccettabili».
LHASA, 9 marzo.
Surkhang, Liushar e Shasur, tre ministri del kashag, il governo tibetano, hanno confermato la presenza del Dalai Lama alla rappresentazione teatrale prevista per domani 10 marzo. Il Dalai Lama ha accettato di recarsi a Silingpu senza scorta. A tal proposito la polizia di Lhasa ha annunciato speciali restrizioni del traffico. «A nessuno verrà consentito di oltrepassare il Ponte di Pietra» è scritto nell’ordinanza.
LHASA, 9 marzo.
Migliaia di tibetani, uomini, donne e bambini, si stanno radunando fuori dalla cinta muraria del Norbulingka, la residenza estiva del Dalai Lama. Gridano slogan: «Il Tibet ai tibetani» e «Tibet libero». I manifestanti vogliono impedire al Dalai Lama di recarsi a Silingpu, il quartier generale dell’Esercito di Liberazione Popolare. «I cinesi lo vogliono rapire per portarlo a Pechino» dicono i dimostranti. Altre manifestazioni di protesta sono in corso a Lhasa di fronte ai consolati indiano e nepalese.
LHASA, 10 marzo.
I dimostranti che presidiano il Norbulingka sono ormai più di 30.000. La tensione è altissima. Fra poche ore il Dalai Lama dovrebbe lasciare il Palazzo d’estate per recarsi, senza scorta, al quartier generale dell’esercito cinese.
LHASA, 10 marzo.
Khunchung Sonam Gyatso, un monaco tibetano membro del Comitato per gli Affari Religiosi del PCART (il Comitato Preparatorio della Regione Autonoma del Tibet), è stato ucciso dai manifestanti che, da ieri sera, presidiano il Norbulingka. Kunchung, nella tarda mattinata di oggi, era arrivato in bicicletta nei pressi del portone d’ingresso del Palazzo d’estate. Indossava una camicia bianca, un paio di pantaloni scuri, un cappello cinese e una mascherina di garza contro la polvere che gli copriva buona parte del volto. I dimostranti, in un primo momento, lo hanno scambiato per un cinese e lo hanno fermato. Vistosi circondato, l’uomo ha estratto una rivoltella che teneva nascosta nella cintura dei pantaloni e ha sparato due colpi in aria. La gente lo ha allora immobilizzato e spinto a terra. Gli hanno strappato la mascherina dal volto. «È Khunchung, il traditore» ha gridato qualcuno. Khunchung era infatti un noto collaboratore dei cinesi. I dimostranti lo hanno allora colpito ripetutamente a calci e pugni. Poi, la folla inferocita lo ha lapidato. La morte di Khunchung Sonam Gyatso è stata lenta e straziante. Il cadavere, legato per i piedi, è stato trascinato fino al Barkhor, il circuito sacro che gira attorno al Jokhang, la Cattedrale Centrale di Lhasa.
LHASA, 10 marzo.
Nel primo pomeriggio si è conclusa, ai piedi del Potala, una grande manifestazione degli abitanti di Lhasa. I manifestanti hanno gridato slogan anticinesi. Hanno chiesto a gran voce rangzen, l’indipendenza. Gli oratori hanno dichiarato decaduto il Trattato in 17 punti firmato dalla Repubblica Popolare Cinese e dal governo tibetano. A organizzare la manifestazione sono stati gli attivisti del Mimang Tsongdu, l’Assemblea del Popolo, un gruppo di militanti tibetani fondato da Alo Chonzed nel 1954.
LHASA, 10 marzo.
Vengono segnalati spostamenti di truppe tibetane nel quartier generale situato nella zona nord della città. Un contingente di 2000 uomini lascerà questa notte il quartier generale per spostarsi a sud del fiume Kyichu. Voci sempre più insistenti parlano di una possibile fuga del Dalai Lama dal Palazzo d’estate. A tutti i membri dell’Esercito dei Volontari per la Difesa Nazionale presenti all’interno del Norbulingka sono state fornite armi e munizioni. L’Esercito dei Volontari è conosciuto anche come Chu-zhi Gang-drung (Quattro fiumi, Sei contrafforti), un antico nome della regione di Kham.
Questo movimento di resistenza anticinese è stato costituito dai militanti khampa rifugiatisi a Lhasa e nella zona di Lhokha, dopo la disfatta subita nella loro regione a opera degli uomini dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese. Leader del movimento è Andrug Gonbo Tashi. La Central Intelligence Agency americana, dopo aver cercato inutilmente un contatto con il Dalai Lama e il suo governo, ha deciso di dare un limitato appoggio al movimento Chu-zhi Gang-drung. Per due volte, nel 1958, la CIA ha fornito armi ai militanti khampa. Alcuni di loro sono stati addestrati nella base americana dell’isola di Saipan, nell’oceano Pacifico2.
LHASA, 10 marzo.
Il generale Tan Guansan ha dichiarato che, se il governo tibetano non ristabilirà immediatamente l’ordine nella capitale, «verranno prese drastiche misure per schiacciare l’opposizione al regime cinese in Tibet».
LHASA, 10 marzo.
In risposta a una lettera del generale Tan Guansan, il Dalai Lama gli ha scritto dicendo: «Ero sinceramente intenzionato a venire al comando militare per assistere alla rappresentazione teatrale. Purtroppo la folla dei dimostranti, laici e religiosi, mi ha impedito di farlo. Questi dimostranti sono sobillati da un piccolo gruppo di malintenzionati. Della cosa sono profondamente dispiaciuto e, al momento, mi trovo nella condizione di non poter agire liberamente».
LHASA, 17 marzo.
Dopo lo scoppio dei due ordigni nei pressi del Norbulingka, il kashag (il governo tibetano) e il Dalai Lama hanno consultato separatamente l’oracolo di Nechung. In entrambi i casi l’oracolo ha detto che il rimanere all’interno del Palazzo d’estate non offre più garanzie di sicurezza.
LHASA, 17 marzo.
Alle 20,30 la madre del Dalai Lama, con la figlia maggiore e il figlio tredicenne, hanno lasciato il Norbuligka travestiti da soldati dell’esercito tibetano.
LHASA, 17 marzo.
Alle 10 di sera, il XIV Dalai Lama del Tibet è uscito clandestinamente dal Norbulingka. Tenzin Gyatso aveva indosso un chuba color marrone, un berretto di pelliccia e una sciarpa di lana che gli copriva buona parte del volto. Portava in spalla un fucile e si era tolto gli occhiali, per non farsi riconoscere.
PECHINO, 28 marzo.
Il premier cinese Zhou Enlai ha firmato un ordine del Consiglio di Stato con cui viene sciolto il governo tibetano. Le sue funzioni verranno svolte dal Comitato Preparatorio della Regione Autonoma del Tibet (PCART). Vice presidente del PCART è stato nominato Ngabo Ngawang Jigme. Diciotto membri del PCART, tutti al seguito del Dalai Lama in fuga da Lhasa, sono stati individuati come «capi della ribellione». Tra essi figurano Phala, il capo del protocollo, e Surkhang, un ministro del governo tibetano. L’ordine del Consiglio di Stato dice che i ribelli verranno «severamente puniti». Se catturati, rischiano tutti la pena di morte.
TEZPUR (INDIA), 7 aprile.
La popolazione di Tezpur, in festa, ha accolto il Dalai Lama al suo arrivo in questa cittadina della North-East Frontier Agency (NEFA). Al capo temporale e spirituale del Tibet sono stati consegnati migliaia di telegrammi di «benvenuto» in India. Ad attendere il Dalai Lama c’erano anche più di cento giornalisti e fotografi inviati da tutte le principali testate giornalistiche del mondo per coprire l’«evento dell’anno».
*Carlo Buldrini ha vissuto in India più di trent’anni. Ha scritto per varie testate italiane e indiane ed è stato addetto reggente dell’Istituto Italiano di Cultura di New Delhi. Nell’anno accademico 2001-2002 ha insegnato presso la Jamia Millia Islamia, l’università islamica di Delhi. È anche autore di Nel segno di Kali. Cronache indiane (Lindau 2014). Lontano dal Tibet è stato pubblicato in India con il titolo A Long Way from Tibet (2005). Il libro è entrato subito nella lista dei best seller indiani.