Il Laos ha votato, ma era già tutto deciso

In Sud Est Asiatico by Redazione

Domenica 21 febbraio il Laos è andato alle urne. Il Comitato elettorale nazionale ha indicato i numeri dei candidati iscritti nelle liste ufficiali: 224 (tra cui 49 donne) per i 164 seggi disponibili dell’Assemblea nazionale. I membri di quella che sarà la nona legislatura del Laos sono aumentati rispetto al 2016, quando erano 149. A ogni nuova elezione c’è un incremento dei rappresentanti, con lo scopo di rispecchiare al meglio, perlomeno quantitativamente, la popolazione che cresce nel paese. Il portavoce del Comitato, Somphou Douangsavanh, ha fatto sapere che le persone con il diritto di voto sono 4,27 milioni, di cui circa la metà (2,1) donne. Insieme ai seggi dell’Assemblea verrà decisa anche la composizione dei consigli popolari provinciali, dove si è votato per 492 membri dei 789 candidati ufficiali, in cui si contano anche 227 donne.

Laos, il partito di regime

La Repubblica democratica popolare del Laos è di fatto retta da un regime autoritario con al governo il partito comunista Lao People’s Revolutionary Party (LPRP). Quest’ultimo, inoltre, è anche l’unico partito legalmente riconosciuto dalle autorità. Dal 13 al 15 gennaio scorso è andato in scena il suo 11° congresso, in cui si sono riuniti 768 delegati in rappresentanza dei 348 mila e 680 iscritti al partito (meno del 5% degli abitanti del paese). I delegati hanno designato i 71 membri del comitato centrale che, a loro volta, hanno scelto il nuovo segretario generale e i membri del politburo.

Il presidente Bounnhang Vorachith si è ritirato e gli è succeduto, come leader del LPRP, l’attuale primo ministro Thongloun Sisoulith che con molta probabilità diventerà anche il nuovo capo di Stato. Una staffetta prevedibile che non preannuncia cambiamenti di rotta a livello governativo. Tanto più se come nuovo capo del governo dovesse essere indicato, come sembra, Phankham Viphavanh, che al momento è vicepresidente e segretario esecutivo del partito. Le nuove cariche verranno ufficializzate dopo le elezioni di domenica 21.

Le dighe sul fiume Mekong

Il Laos non ha sbocchi sul mare ma il suo territorio è percorso da molti fiumi. Il principale è il Mekong, il settimo corso d’acqua più lungo del mondo nonché vero confine naturale con la Birmania (per circa 200 chilometri) e la Thailandia (circa 850 km). Proprio la gestione delle acque del fiume, che sono necessariamente in “comproprietà” tra i diversi paesi, è il nodo principale dei rapporti regionali. Per dirimere le controversie e coordinare le varie responsabilità è stata creata infatti un’apposita commissione intergovernativa.

Lo scorso gennaio il ministro dell’Energia Sinavav Souphanouvong ha fatto sapere che cominceranno i lavori per la costruzione di quattro dighe sul fiume, tutte nella zona di confine con la Thailandia, che sarebbe poi il mercato di destinazione principale dell’energia creata. Il proposito di Vientiane, capitale del Laos, è quello di diventare infatti uno dei maggiori produttori ed esportatori di energia idroelettrica della regione, tanto che l’obiettivo è quello di raggiungere la quota totale di 100 dighe (attualmente sono 78) entro il 2030. Il problema sono i costi iniziali del progetto (più di 12 miliardi di dollari), che comprende anche il completamento di un’installazione già in corso d’opera, troppo alti per un paese che ha un Pil di circa 18 miliardi di dollari.

Il Laos e i paesi vicini

Anche per questo il Laos si è indebitato in maniera pesante con la Cina con il risultato di esserne profondamente dipendente. Nel 2020, a causa della crisi del Covid-19, l’intera rete elettrica del paese è stata ceduta alla China Southern Power Grid, una compagnia statale cinese. Bisogna considerare anche che Vientiane ha aderito al progetto della Belt and Road e gli investimenti di Pechino sono stati immensi.

Come se la criticità dell’indebitamento non bastasse, le nuove dighe potrebbero andare a impattare sui paesi che si trovano lungo il corso basso del Mekong, come Vietnam e Cambogia. Il rischio di modificare il flusso d’acqua e i conseguenti disagi per l’industria della pesca è motivo di forti critiche interne ed esterne.

A creare qualche preoccupazione al regime politico laotiano c’è anche l’espandersi delle proteste nei paesi limitrofi a partire da Thailandia e Myanmar. Negli scorsi mesi c’era chi aveva parlato del possibile attecchimento della cosiddetta #MilkTeaAlliance anche a Vientiane. Non sarà semplice.

Di Luca Sebastiani