Il Far east film festival 2021 visto da China Files

In Cultura by Redazione

Moving forward! Con il saluto dei registi inizia ogni film di questa versione ibrida del Far east film festival di Udine, arrivato alla sua 23esima edizione. Un evento che, nonostante la pandemia, ha portato nella città friulana oltre 10 mila spettatori, a cui si aggiungono i 15 mila partecipanti “da remoto” e da ogni parte del mondo. Per una settimana si può dire che, anche se le distanze e i confini chiusi hanno diviso i paesi, al Feff23 c’eravamo un po’ tutti: appassionati di cinema (asiatico e non), giornalisti, professionisti ed esperti del settore. Questo evento è il più importante in tema di cinema asiatico dal 1999, che porta dentro i confini europei i film dell’Asia orientale in anteprima sul grande schermo.

Durante questa edizione sono stati proiettate 64 pellicole, tra cui alcune restaurate o riproposte al grande pubblico. Per dare qualche numero: tra i film ci sono state 8 anteprime mondiali, 10 internazionali, 22 europee, 20 italiane. Eterogenea e interessante anche la provenienza geografica: Giappone, Hong Kong, Cina continentale, Corea del Sud, Filippine, Malaysia, Taiwan, Thailandia, Indonesia, con le new entry Macao e Myanmar. Anche China Files ha partecipato al festival, seguendo alcuni dei tantissimi titoli presenti in programma, oltre che a prendere parte alle sessioni di interviste (tutte spostate online). “Durante questi nove giorni molti spettatori si sono complimentati per la bellezza del Visionario [il cinema fulcro dell’edizione 2021] e ci hanno anche chiesto di mantenere le date estive del Festival in modo permanente. Certo, il sole e il cielo azzurro fanno piacere, ma noi siamo affezionati alla pioggia d’aprile”, hanno detto alla stampa Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche, responsabili del Far east film festival. “E vogliamo assolutamente tornare alle origini: ci vediamo al Teatro Nuovo Giovanni da Udine! L’appuntamento è già fissato: il Far East Film Festival 24 si svolgerà dal 22 al 30 aprile 2022. Una nuova sfida, un nuovo sogno.”

L’aspetto più interessante dei festival di questo calibro è che permettono di visionare tanti film diversi, quindi intercettare tendenze e temi dei film prodotti in Asia nell’ultimo anno. Ma non solo: il cinema permette di conoscere culture, modi di vivere, di guardare il mondo, di parlare in paesi molto distanti dal nostro quotidiano. Come disse una volta un amico: “Ho imparato a mangiare con bacchette e scodelle guardando i film giapponesi”. Per l’occasione vi proponiamo una top 6 dei titoli che ci sono piaciuti di più e che speriamo possano presto venir proiettati nei cinema italiani o essere visibili sulle piattaforme streaming.

 

Anima – Cao Jingling, Cina

“Anima” (莫尔道嘎 Mo er dao ga – il nome del parco in cui è girato il film, la più grande foresta vergine della Cina) è un

dramma ambientato nelle steppe della Mongolia Interna, dove vive la comunità Evenchi (in cinese: 鄂温克族 Èwēnkè). Si tratta di un popolo nomade che vive tra Siberia, Mongolia, Russia e la provincia cinese della Mongolia Interna, dove sono state registrate circa 30 mila persone appartenenti a questo gruppo. Il film è distribuito in Europa da Fortissimo Films e ha ricevuto una menzione d’onore per il White Mulberry award, che il Feff dedica al debutto alla regia.

La storia è ambientata negli anni Ottanta e racconta attraverso una bellissima fotografia la distruzione dell’ambiente naturale nel processo di modernizzazione della Cina contemporanea. Nel film emerge anche l’aspetto legato alla società e alla cultura tradizionali che lottano per sopravvivere alle nuove logiche di mercato.

 

Midnight swan – Eiji Uchida, Giappone

Il capolavoro di Eiji Uchida ha conquistato tutti, portandosi a casa il primo premio della giuria popolare. La trama, le immagini e la colonna sonora sono tanto belle quanto strazianti, e riflettono tutto il dramma dietro alle quinte della vita di una persona transgender, la protagonista Nagisa. Abituata a una vita di solitudine, dovrà all’improvviso fare i conti con la compagnia di Ichika, un’adolescente che le viene affidata perché trascurata e maltrattata dalla madre, sua parente. Questa pellicola ci ha tenute incollate allo schermo fino all’ultimo minuto, seguendo il filo delle due storie che parlano di esclusione e degrado, ma anche di amore materno e determinazione. Il film è uscito in Giappone nel settembre 2020 e cerca di far emergere quelle che ancora sono le difficoltà della comunità Lgbtq nel paese, dal pregiudizio famigliare a quello sociale.

 

Time – Ricky Ko, Hong Kong

Che fine fanno I tipi ganzi dei film honkonghini anni Settanta? Così inizia il film-debutto alla regia di Ricky Ko, che gli ha fatto vincere il White Mulberry award come migliore prima regia. È una commedia nera, dai toni nostalgici di una metropoli che cambia lasciando dietro di sé i ricordi di un’epoca d’oro: un leitmotiv che accompagna la maggior parte delle pellicole di Hong Kong che hanno partecipato a questa edizione del Feff. I protagonisti Chau, Fung e Chung si trovano a fare i conti con la vecchiaia, mentre continuano a lavorare sotto copertura come “Angeli custodi degli anziani” – un eufemismo per la loro attività di accompagnatori al suicidio assistito. Da questa sottotrama inizia la storia di Chau con Tsz-ying, un’adolescente abbandonata da tutti che lo “adotta” come nonno. Tra sketch comici e combattimenti, quello che emerge è la solitudine della terza età in una città che lascia indietro anche i giovani più fragili.

 

Hail, driver! – Muzzamer Rahman, Malaysia

“Kuala Lumpur è sempre stata un posto per stranieri”. È questa la morale di una storia che racconta, come capita spesso nelle grandi metropoli, la solitudine e le difficoltà di un’umanità varia, piena di aspettative quanto di delusioni. Il film è la prima regia di Muzzamer Rahman e, come racconta il regista, frutto del lavoro e della passione di una troupe in parte alle prime armi. Le riprese sono in bianco e nero per cercare di rendere lo sguardo del protagonista (Aman è daltonico) sugli eventi. L’amicizia che Aman sviluppa con Bella ha un che di utopistico sullo sfondo quasi provocatorio di una città dove è difficile sopravvivere. È un film che ci sentiamo di consigliare perché in tutta la sua semplicità offre una prospettiva interessante su un paese poco conosciuto ai più, dove ancora oggi sono molto sentite le differenze identitarie e religiose.

 

Back to the wharf – Li Xiaofeng, Cina

Come spesso capita nei film prodotti nella Cina continentale, anche “Back to the wharf” si snoda su tempi molto lunghi per raccontare una storia drammatica dall’inizio alla fine, con qualche punta di romanticismo. La storia del protagonista Song Hao non a caso inizia in un momento chiave per la vita di un adolescente cinese: il Gaokao, l’esame finale di scuola superiore. Un omicidio segnerà definitivamente la vita del giovane, che fuggirà dalla sua città per vivere una vita di stenti come lavoratore migrante. Ma la vera storia inizia quindici anni dopo, quando Song Hao ritorna per il funerale della madre e gli eventi ancora una volta decidono il suo destino, facendolo ritornare nell’appartamento dove tutto è iniziato. Le ottime musiche e il montaggio svolgono un ruolo essenziale per enfatizzare momenti di quotidiana normalità, facendo sempre emergere il trauma del protagonista e il tema della giustizia che non solo coinvolge il suo passato scomodo, ma ritorna nelle trame dell’amico d’infanzia Pan Xiaoshuang. Interessante anche il riferimento-denuncia alle società immobiliari e ai loro investimenti senza scrupoli in quella “Cina delle macerie” che è un tema ricorrente nell’arte e nella filmografia cinesi.

 

Office royale – Seki Kazuaki, Giappone

Come si dice spesso: ai festival di cinema le trame dei film sono talmente drammatiche che un po’ di humor sembra un sorso di acqua fresca nel deserto. Questa è stata un po’ la nostra reazione a Office royale, un film volutamente assurdo nella trama e nella regia. Nel film le gang in perfetto stile manga (i costumi sono forse la parte migliore del film, insieme alle coreografie dei combattimenti e la colonna sonora metal) sono sostituite da bande di impiegate che fuori dall’orario di ufficio si battono per salire al vertice di comando. Il film gioca su questa rivisitazione manga della figura della OL (office lady), con toni metanarrativi che compaiono lungo tutto il film: uno dei temi, infatti, è quello della “protagonista-eroe” contro i mediocri “personaggi secondari”. Adatto a chi ama la comicità giapponese, i fumetti e i “picchiaduro”.

A cura di Sabrina Moles e Lucrezia Goldin