Il fake dell’Apple Watch e l’innovazione cinese

In by Simone

Il fake dell’Apple Watch in Cina è già in vendita online per 45 euro. Si chiama D Watch e ha molte delle funzioni del prodotto Apple. A Shenzhen ne è stato anche annunciato un secondo modello, di un altra azienda, si chiamerà Zeaplus Watch ma ancora non è chiaro quanto costerà. Si tratta di shanzhai. Ovvero copie a buon mercato di quelli che in Cina potremmo definire beni di lusso e che a volte per alcune specifiche caratteristiche, superano anche i modelli. Una cultura che ha dato vita alle prime comunità di maker cinesi.
Se l’imitazione nasce dall’apprezzamento, allora possiamo dire che l’Apple Watch piace molto. Almeno a Shenzhen, la città della Cina meridionale di fronte ad Hong Kong che è diventata l’hub mondiale della tecnologia. Almeno per quanto riguarda gli hardware. Gli internauti cinesi fanno a gara a postare le foto dei fake dell’ultimo gioiellino apple. A più un mese dal rilascio ufficiale nella Repubblica popolare, sono in vetrina nelle bancarelle di merce contraffatta per la modica cifra di 99 yuan, appena 15 euro. Ma certo in questo caso si tratta di un classico “tarocco”, la cui vita media è stimata a meno di 48 ore. Ma non ci sono solo questi modelli.

A Shenzhen ci sono aziende che stanno riproducendo l’Apple Watch non solo con lo scopo di creare un prodotto il più possibile simile all’originale, ma anche con funzioni che possano competere con esso. Il prodotto della Zeaplus può essere facilmente confuso con il fratello maggiore prodotto a Cupertino, ma abilita il suo possessore a inserirvi una sim card. Il che lo rende più appetibile di un Apple Watch, che per fare e ricevere telefonate deve essere connesso a un iPhone. Un’altra azienda cinese, la Zhimede, ha aggiunto al suo D Watch la possibilità di controllare la camera dello smartphone a cui è collegato. Un’opzione appetibile, in un’epoca in cui i selfie vanno per la maggiore. E c’è di più, la sua batteria può durare una settimana, contro le sole 24 ore del prodotto originale. Entrambi i device lavorano sul sistema Android che è open source e personalizzabile per qualsiasi tipo di esigenza.

Questi prodotti in Cina si chiamano shanzhai, e hanno una tradizione che risale agli anni 2000. Il mondo dello shanzhai segue una serie di semplici regole: non disegnare da zero ma costruire sulla base del prodotto migliore in circolazione; innovare il processo di produzione in funzione della velocità e del risparmio; condividere quante più informazioni possibile per facilitare gli altri ad apportare valore al tuo processo; non costruire se non esiste ancora un acquirente; agire responsabilmente nella catena dei fornitori. Sono regole che favoriscono la produzione dal basso e non riconoscono il valore di mercato della proprietà intellettuale. Il punto politico che sottolineano in molti è che più basso è lo stipendio che si è disposti a pagare per i propri operai e più sarà facile che le informazioni sui prototipi escano dalla fabbrica. E nella patria dell’elettronica mondiale, con le giuste informazioni, produrre uno shanzhai è un gioco da ragazzi.

Nel tempo si sono così andate formando piccole aziende specializzate in shanzhai. Certo, il mercato a cui si rivolgono è meno ampio di quello delle case madri, ma il margine di guadagno su ogni prodotto è quasi del cinquanta per cento. A cavallo degli anni Dieci i vari Hi-Phone, Nokla e Motololah hanno invaso le città cinesi di terza e quarta fascia. Si calcola che solo nel 2008 in Cina sono stati prodotti 80 milioni di cellulari shanzhai. Più o meno il 20 per cento del mercato domestico. Non solo. Il punto di forza degli shanzhai è sopratutto la libertà immediata di adeguarsi alle esigenze del mercato.

Quando nel 2012 è esploso il mercato dei tablet, i loro shanzhai sperimentarono quasi immediatamente formati più piccoli. E questi ultimi hanno conquistato il mercato cinese molto prima che i modelli di mini iPad entrassero in produzione. Un’altra innovazione che hanno apportato i cellulari shanzhai è quella della possibilità di usare più sim sullo stesso apparecchio. Ancora prima che le marche più famose mettessero in commercio apparecchi dual sim, i cellulari shanzhai avevano individuato una necessità del mercato e avevano offerto una soluzione. Così oltre che per il prezzo, si può scegliere un modello shanzhai anche per specifiche funzionalità.

Ecco che lo shanzhai da semplice copia tarocca acquista valore innovativo. Si tratta di migliorare il design, abbassare i costi e assumersi il rischio di impresa. Ed è così che le regole auree dello shanzhai sono passati alla nuova cultura del Do It Yourself. Di conseguenza alcune competenze e personalità che in questi anni hanno animato la scena, al limite della legalità, dello shanzhai hanno contribuito a formare il movimento dei maker cinesi. E nel passaggio da fabbrica del mondo a società di servizi, nella Repubblica popolare l’innovazione è diventata una necessità politica e sociale. Si tratta della zizhu chuangxin, l’innovazione autodeterminata, slogan usato dal governo che ha tra gli obiettivi per il 2020 quello di trasformare la Cina in un paese “scientificamente avanzato”.

Oggi, come ripete fino allo sfinimento la stessa leadership, bisogna passare dal made in China al created in China. E se i prodotti di elettronica shanzhai si collocano esattamente a metà di questo percorso, la cultura dei maker e le loro start up, sono già una spanna avanti. Pochi giorni fa, nel discorso con cui ha aperto l’Assemblea nazionale del popolo, il premier Li Keqiang ha menzionato per la prima volta in un conteso ufficiale la parola ‘maker’. Con le previsioni di crescita che si sono abbassate al 7 per cento e la cifra record di 7,49 milioni di nuovi laureati che nel 2015 entreranno in un sempre più risicato mondo del lavoro, l’esempio dei maker diventa fondamentale. Tanto che il premier ha incoraggiato gli studenti universitari ad aprirsi un proprio business e ha assicurato che “il governo aiuterà le start up”.

[Scritto per Lettera43]