Giappone – Il boom del saké c’è, ma il riso non basta

In by Gabriele Battaglia

Il boom del cibo giapponese nel mondo si è tradotto in un aumento nelle vendite di saké di alta qualità sia in Giappone che all’estero. Ma il riso da cui è distillato, lo Yamada Nishiki, non è sufficiente e i produttori di saké non riescono a produrne quanto vorrebbero. Il punto è che nel sistema giapponese, la coltivazione del riso è strettamente regolamentata dagli obiettivi di produzione. Una traduzione di China Files. Le fatiche del presidente di Dassai, il più venduto a New York

Nel mondo dei produttori di saké ci sono aziende che arrancano e ce ne sono altre che invece vedono crescere il proprio giro d’affari di anno in anno. La Asahishuzō di Iwakuni, nella prefettura meridionale di Yamaguchi, è una di queste.

Con un volume di vendite stimato a quattro miliardi di yen solo questo mese, in pochi anni l’azienda ha aumentato i suoi ricavi del 50 per cento. Il suo saké, il Dassai, è un junmai daiginjōshu, ovvero è ricavato da riso con un grado di pulitura inferiore al 50 per cento ed è perciò classificato tra i vini di riso (junmaishu) di più alta qualità.

Il Dassai è stato immesso sul mercato nel 1990. Da allora Hiroshi Sakurai, il presidente dell’azienda, ha iniziato ad andare di persona nei punti vendita e nei ristoranti a presentare il prodotto. Così la popolarità del Dassai è via via aumentata. I risultati di oggi sono il frutto di quello sforzo iniziale.
In Giappone, e non solo, Dassai è il primo brand di saké per bottiglie vendute Le vendite sono cresciute anche in altri diciotto paesi tanto che Dassai è perfino diventato “il saké più venduto a New York”. Il Dassai è ha accompagnato anche le cene ufficiali tra il primo ministro Shinzō Abe e il presidente francese Francois Hollande, quando a giugno ha visitato il Giappone.

Grazie al successo ottenuto all’estero, la Asahishuzō investirà 2,5 miliardi di yen per aumentare del 30 per cento la produzione. Ma c’è un ostacolo imprevisto: non è più possibile rifornirsi di Yamada Nishiki (uno “shuzōkōtekimai”, letteralmente “riso adatto alla distillazione del saké”), il riso che viene usato per produrre il Dassai.

Al momento, “abbiamo drasticamente rallentato la produzione in modo da poter continuare fino al nuovo raccolto di ottobre”, ha spiegato Sakurai.
Ma anche con il nuovo raccolto, il problema non si potrà dire risolto. Per questo mese, infatti, la Asahishuzō ha ordinato 43mila balle di riso ma è riuscita a immagazzinarne solo 40 mila. E per il mese prossimo Sakurai ha dichiarato di volerne 80mila.
Aumentare la produzione per riempire il gap tra domanda e offerta sembra di questi tempi una strada difficile da percorrere.

Lo Yamada Nishiki è considerato un riso perfetto per la produzione del saké. Viene coltivato principalmente nella prefettura di Hyōgo, dove è stato piantato per la prima volta.
L’invenzione dello Yamada Nishiki risale al 1936, in periodo Shōwa. Sono stati infatti alcuni tecnici agrari della stessa prefettura a metterlo a punto dopo numerose ricerche. Il centro di produzione dello Yamada Nishiki si trova alle pendici del monte Rokkō , tra le città di Katō e Miki nell’area di Kita Harima.

Perché gestire il riso per il consumo alimentare come quello da saké?

“In generale – ci ha raccontato un contadino di Katō – il riso da saké non è buono da mangiare. Una volta che si raffredda perde tutto il suo gusto. Ma quando eravamo piccoli lo mangiavamo, per noi quello era il riso normale”.
In passato,se la domanda di saké era alta, veniva addirittura fermata la produzione di riso alimentare per produrre lo Yamada Nishiki.

Poi, nella seconda metà degli anni Ottanta, all’apice della bolla speculativa, sia la quantità prodotta sia il valore commerciale dello Yamada Nishiki sono crollati. Il trend è rimasto negativo per oltre vent’anni e solo nel 2012 si è finalmente invertito.
Anche se le vendite di saké sono nel complesso diminuite, l’aumento dei saké di alta qualità (junmaishu o junmaiginjōshu, distillati senza aggiunta di alcool a partire dalla fermentazione di riso con grado di pulitura al di sotto del 60 per cento) e l’incremento delle esportazioni hanno avuto un effetto positivo.

Eppure un ulteriore aumento della produzione non semplificherebbe le cose. Questo perché il riso da saké, a cominciare dallo Yamada Nishiki, rientra negli stessi obiettivi di produzione del riso alimentare. In altre parole vengono posti dei paletti alla quantità di riso prodotta. Il governo fissa una quota-target sulla base di una stima della domanda per controllare le oscillazioni del prezzo del riso alimentare.
In teoria sono i contadini che decidono di rispettare o meno gli obiettivi di produzione, ma non è facile trasgredire alle direttive del governo a livello locale. Per di più, i produttori che restano nei limiti del proprio obiettivo ricevono un sussidio.

In molti si sono chiesti perché se il shuzōkōtekimai non è in commercio per uso alimentare debba tener conto degli obiettivi di produzione introdotti per mantenere stabile il prezzo del riso alimentare.
A Katō anche i produttori di Yamada Nishiki protestano: “Se non rispettassimo i parametri imposti dal governo avremmo energia a sufficienza per aumentare la produzione”.

Uno dei motivi per cui anche il riso da saké viene calcolato nel target di produzione è che, se così non fosse, potrebbero esserci “ripercussioni sugli agricoltori che non lo producono”. È il Ministero dell’Agricoltura, delle Risorse forestali e marittime (MAFF) dipartimento per i cereali, a stabilirlo.
L’obiettivo di produzione è determinato considerando sia il riso alimentare sia quello da saké. Se ci fosse un’eccedenza di riso da saké, la quota libera dell’obiettivo di produzione si abbasserebbe. Così l’aumento della produzione del riso da saké è vissuta come un’ingiustizia nei confronti di chi non lo coltiva.

Questa è la ragione dell’inserimento negli obiettivi di produzione sia del riso alimentare che di quello da saké. Perché anche il riso da saké ne costituisce automaticamente una quota? Perché “lo hanno richiesto gli agricoltori”, risponde il MAFF.

Nel 2004, il sistema di suddivisione delle quote è stato aggiornato: da quello basato sull’estensione dell’area coltivata si è passati a quello per quantità di prodotto. I coltivatori allora hanno deciso di far rientrare la produzione del riso da saké nel calcolo degli obiettivi di produzione. Aggiungendo il riso da saké, infatti, il target di produzione sarebbe stato innalzato.

Secondo alcuni un produttore che voglia andare incontro alla domanda ha un margine di guadagno maggiore se si mantengono separate la produzione di riso alimentare da quella di riso da saké. Ma più semplicemente il motivo è proprio che gli obiettivi di produzione sono stati pensati per limitare la produzione di riso, e non l’opposto.
Il problema ormai è chiaro: aumentare la produzione del riso da saké andrebbe contro le misure di controllo del prezzo del riso in vigore da molti anni.


Non solo in Chōshu. I dubbi arrivano anche da Aizu

Già nel 2009 ad Aizu, nella prefettura di Fukushima, c’è stato chi ha affrontato il problema prima di altri.
Il primo è stato Nobuo Watanabe, membro dell’assemblea cittadina di Kitakata. “Il riso da farina è l’ingrediente primario di pane e spaghetti, alimenti di largo consumo. Il shuzōkōtekimai si può usare solo per la distillazione. Non è strano che il primo sia trattato come riso non alimentare mentre il secondo no?

A giugno 2009, Watanabe aveva portato il problema davanti all’assemblea cittadina. In seguito, la città di Kitakata aveva richiesto al governo di diventare una zona economica speciale per poter sforare la soglia stabilita dagli obiettivi di produzione del riso da saké.

Visto l’aumento di saké a base di riso prodotto nella regione, l’obiettivo era quello di gettare le basi per un rilancio della risicoltura e della distillazione del saké.

La richiesta si limitava alla produzione di shuzōkōtekimai sulla base di un accordo tra coltivatore e distilleria: era questo il caso da risolvere con la maggiore urgenza. Solo dopo vennero prese in considerazione le “ripercussioni” sui coltivatori che non producevano riso da saké. Così, si fece in modo che l’obiettivo di produzione per il riso da saké fosse ricavato dal volume di produzione del riso da saké.

Ma anche se la richiesta fu sottoposta tre volte al governo, essa non ricevette l’approvazione.
Watanabe non voleva mollare ma il sindaco di allora – che in precedenza era stato funzionario al ministero – gli disse di non voler continuare a inoltrare richieste dal momento che le altre non avevano avuto esito positivo.

Dopo molto tempo, oggi il Ministero pare sul punto di fare qualcosa per risolvere il problema. “In merito all’aumento della domanda, stiamo valutando la possibilità di fissare una quota supplementare di riso da saké rispetto agli obiettivi di produzione laddove vi sia un accordo tra distilleria e produttore” ha comunicato il dipartimento del Ministero che supervisiona la coltivazione dei cereali.
Niente di nuovo rispetto a quanto richiesto tre anni fa da Kitakata, ma con la precisazione che “all’epoca non era stato possibile verificare l’aumento di domanda”.

In ogni caso, è un passo avanti verso l’aumento di produzione del riso da saké. Tuttavia, non rimane molto tempo. “Per mettere da parte la giusta quantità di semi, ho bisogno che si arrivi a una conclusione, al più tardi entro ottobre. Altrimenti mi troverò in difficoltà”, ci spiega un distributore di riso.

Per aumentare almeno di un po’ la fornitura di Yamada Nishiki, Sakurai ha visitato di persona i risicoltori delle prefetture di Hyōgo e Okayama. Per chi distilla saké è normale rivolgersi alle associazioni di produttori locali quando si compra la materia prima.“Non si può soltanto stare ad aspettare”, sostiene Sakurai. Ci sono infatti problemi di tipo logistico legati al trasporto del riso.
Sakurai non si accorda direttamente con i coltivatori, ma si rifornisce di Yamada Nishiki – prodotto dai coltivatori che incontra personalmente – dalla JA (Japan Agriculture) o dai distributori locali.

Così facendo il processo di distribuzione è più trasparente e, di più, si ha un controllo su chi e in che modo viene prodotto il riso. Per il vino questa è pratica diffusa, ma nella produzione di saké non si era mai arrivati a tanta consapevolezza. Per competere con il vino sui mercati globali, bisogna i prouduttori insistano su questo punto.

Il saké è già nel mare aperto della competizione globale. Ora anche l’agricoltura, in vista dell’adesione del Giappone alla Trans Pacific Partnership (l’accordo commerciale tra i paesi delle due sponde del Pacifico), ha bisogno di un’inversione di rotta. In direzione della globalizzazione.

[Tradotto per Internazionale; foto credits: independent.co.uk]