Il bastone e la carota nella repressione universitaria in India

In by Simone

Alcuni giorni fa scrivevamo che la situazione all’Università di Hyderabad era fuori controllo. Venerdì scorso, seppur in un preoccupante silenzio stampa parziale dei media indiani, è emersa una serie di dettagli agghiaccianti che segnano il raggiungimento di una nuova apice repressiva nella lotta in corso tra gli studenti universitari indiani e le autorità di governo e di polizia. Fatti gravissimi per la democrazia indiana che, da mesi, subisce i colpi di una spinta autoritaria che si fa beffe dei diritti umani e della legge che dovrebbe tutelare tutti, anche i presunti criminali.In questi giorni festivi, tra Holi e Pasqua (che in India è festa nazionale, giorno rosso sul calendario), e complice una parziale risoluzione dello scontro alla Jawaharlal Nehru University (Jnu) di New Delhi, quello che sta succedendo in un altro ateneo indiano pare passare esageratamente sotto silenzio.

Eppure la repressione in corso alla Hyderabad Central University (HcU) è già più spietata di quella veificatasi all’interno di Jnu e mostra ancora più chiaramente come le forze dell’ordine, in connivenza coi governi locali del Bharatiya Janata Party (Bjp) di Narendra Modi, godano di fatto di licenze preoccupanti rispetto alla condotta democratica che le istituzioni e la polizia dovrebbe mantenere in una democrazia.In seguito alle proteste degli studenti di HcU contro il ritorno del vice chancellor Appa Rao all’interno del campus universitario, come avevamo già brevemente raccontato, la risposta della polizia locale è stata durissima: cariche contro studenti che protestavano pacificamente, cariche contro alcuni professori, una valanga di arresti – a decine! – e decine di persone tecnicamente «sparite», prese in custodia dalla polizia.

Alla spicciolata,in questi giorni, sono emersi una serie di dettagli preoccupanti.

Secondo il quotidiano Indian Express, venerdì sono state confermate le accuse di vandalismo, ostruzione della legge e aggressione armata contro 25 studenti e 2 membri del corpo docenti di HcU, tutti rimandati in custodia cautelare fino a lunedì scorso.

In un video postato (e poi rimosso) dall’account Youtube Justice for Rohith (che aggrega news e documenti sulle proteste in corso a HcU e sulle attività degli studenti in lotta per avere «giustizia» a seguito del suicidio dello studente Rohith Vemula), un avvocato che si sta occupando della difesa dei 27 accusati ha spiegato agli studenti di HcU qual è la situazione.

Riassumendo, l’avvocato dice:

– nessuno dei 27 accusati ha avuto modo di parlare con alcun avvocato o familiare
– gran parte degli accusati è stata presa in custodia e portata in località «sconosciute» per tutta la notte
– chi è stato arrestato molto probabilmente è stato malmenato e/o torturato durante il tragitto dall’università alla stazione di polizia e durante la permanenza nelle celle delle centrali di polizia
– contravvenendo alla legge, nessuno degli arrestati è stato prodotto di fronte a un magistrato entro 24 ore dall’arresto e, in ritardo, l’udienza si è svolta alle 11:40 di notte di mercoledì, senza che alcun avvocato difensore fosse presente (o fosse avvertito)
– le accuse sono sproporzionate e ridicole (specie quella sull’aggressione armata), e alcune sono anche «non bailable», cioè non prevedono la richiesta di libertà su cauzione
– i 29 giovedì scorso sono stati tradotti in custodia cautelare in carcere, dove per assurdo sono «più sicuri» che nelle mani della polizia

Tutto questo dopo due giorni in cui il campus si è tramutato in una sorta di campo di concentramento per studenti, come raccontano diversi alunni di Hcu ad esempio qui e qui.

Tra i detenuti – qui la lista completa – figurava anche il professor Konda Yesu Ratnam, diabetico, che ancora non ha ricevuto né visite da parte della sua famiglia, né da avvocati, né è stato in grado di contattare nessuno fuori dalla prigione.

Uno degli studenti (Uday Bhanu) arrestati per aver cucinato all’aperto mentre per ordine di Appa Rao le mense del campus sono state chiuse (per 48 ore), durante l’arresto ha subito percosse tali da obbligarne l’ospedalizzazione.

Martedì 29 marzo, dopo quattro giorni di detenzione, tutti gli imputati sono stati scarcerati su cauzione dietro pagamento di 5000 rupie a testa (meno di 70 euro). E contestualmente alla ripresa delle attività didattiche a HcU, il vice chancellor Appa Rao ha diramato un comunicato in cui si spiace delle ripercussioni legali subite da studenti e docenti, dicendosi disposto – «come sempre» – al dialogo per superare i dissidi interni.

L’impressione è che nella gestione del dissenso all’interno degli atenei indiani le autorità – universtiarie e di polizia, col beneplacito del governo – abbiano messo a punto una strategia tanto lineare quanto inquietante: ad Hyderabad, come a Jnu, chi manifesta nel campus viene immediatamente arrestato e accusato di crimini sproporzionati, costretto a un periodo di detenzione automatico secondo la burocrazia legale indiana, durante il quale possono essere esercitati pressioni di tipo psicologico e fisico. Al termine della detenzione, non rinnovabile in mancanza di prove che vadano a corroborare le accuse pesantissime – come quelle di sedizione a Jnu, aggressione armata a HcU -, con la libertà su cauzione i manifestanti avranno occasione di riflettere sull’opportunità di continuare a mettere in discussione un sistema apparentemente immutabile, mentre fisiologicamente l’hype della protesta rientra e l’attenzione dell’opinione pubblica si sposta altrove (come già sta succedendo a Jnu).

Per ora rileviamo che se episodi del genere fossero accaduti in Cina o in Iran, la stampa di mezzo mondo si catapulterebbe in analisi tranchant sulle dittature nemiche dell’Occidente e dei diritti umani.

Invece, accadendo questo a Hyderabad, lontano dal centro dell’Impero, e per di più nella democratica India, molti di voi in questi giorni hanno potuto ammirare fior fior di gallerie fotografiche sulla «festa dei colori che impazza», la bella cartolina annuale dell’India spirituale e felice che ci piace tanto.

Felice Holi a tutti.

[Aggiornamento di un articolo originale scritto per Eastonline]