I legami cinesi dell’imprenditore-mercenario

In by Gabriele Battaglia

Il sito The Intercept scrive che il fondatore della società di contractor Blackwater, Erik Prince, è sotto indagine del dipartimento di giustizia statunitense. Sotto la lente del governo ci sono i presunti legami con il governo Usa, i traffici in Africa e il possibile tentativo di riciclaggio di denaro. E legami poco chiari coi servizi cinesi. Ci sono tutti gli elementi del thriller geopolitico nella presunta inchiesta contro Erik Prince. Il fondatore della controversa e ormai disciolta compagnia di contractor Blackwater (le cui guardie furono condannate per l’uccisione di 14 civili a Baghdad nel 2007) sarebbe infatti nel mirino del dipartimento di giustizia statunitense per aver cercato di fornire mercenari e paramilitari ai libici e ad altri stati africani, avvalendosi dell’intelligence di Pechino e per presunti casi di riciclaggio di denaro tramite banche cinesi.

Almeno questo è quanto riferisce il sito The Intercept diretto da Glenn Greenwald. Prince «è sempre stato capace di evitare l’incriminazione», ha spiegato all’emittente Democracy Now il giornalista Jeremy Scahill, autore dello scoop assieme al collega Matthew Cole, «se il governo degli Stati Uniti procederà seriamente contro di lui è tutto da vedere».

Prince, ex marine convertito all’industria dei contractor, è attualmente presidente del Frontier Services Group, società specializzata in logistica ed evacuazione di aree a rischio. Da almeno un anno, rivelano i due reporter di Intercept, è sorvegliato dall’intelligence a stelle e strisce per i legami con uomini d’affari legati al Partito comunista e soprattutto ai servizi cinesi. Il gruppo Citic, ad esempio, è tra i principali investitori della Frontier Service. E cinesi sono due componenti del consiglio d’amministrazione della società.

Ma l’ex Navy Seal, che dice di non essere a conoscenza delle indagini contro di lui, si sarebbe mosso di fatto autonomamente rispetto al management della FSG cercando di strappare contratti illegali con alcuni governi dell’Africa, con l’intermediazione dei cinesi. Dalle attività di sorveglianza contro Prince sarebbe inoltre emersa la volontà del manager di aprire un conto in una banca cinese che sarebbe poi servito per riciclare i soldi di funzionari libici. In particolare sarebbe sotto osservazione un viaggio a Macao a questo scopo.

Tentativo andato a vuoto, cui ha fatto seguito un incontro tra Prince e agenti della sicurezza di Pechino che avrebbe sbloccato la situazione. Proprio in questi giorni tra l’altro un’inchiesta della Associated Press ha dipinto la Repubblica popolare come un hub globale del riciclaggio, che coinvolge criminalità europea, israeliana e colombiana, attraverso banche di Stato, servizi di import-export e money trasfer.

All’interno della stessa FSG, le mosse del presidente sarebbero viste comunque con apprensione e lo scorso ottobre il board della società avrebbe addirittura revocato le deleghe a Prince.

Cole e Scahill descrivono ad esempio l’offerta fatta ai libici di personale (formato da ex componenti delle truppe speciali australiane) ed equipaggiamento per riuscire a stabilizzare l’est del paese. Fallito il primo tentativo, considerata l’instabilità del governo libico e la complessità della situazione sul campo, a maggio del 2015, forte del ruolo di presidente della Fsg, ma senza l’ok della società, tornò alla carica, giustificando il dispiegamento di forze e uomini con la motivazione di controllare i confini, per fermare i flussi migratori verso l’Europa, in modo da fare pressioni sui leader europei affinché si muovessero per revocare le restrizioni finanziarie contro i libici.