Il 2011 dei cinque -stan

In Uncategorized by Simone

Il 2011 è stato un anno di relativa calma per i cinque paesi dell’Asia Centrale. Kazakhistan, Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Kyrgyzstan hanno fronteggiato i problemi oramai usuali della regione e hanno stretto relazioni con le vicine Russia e Cina. Ma la loro stabilità non è un dato di fatto.
Super-Presidenti, o dittatori, ma comunque sopra le righe dei canoni istituzionali occidentali. Uzbekistan, Kazakhistan, Tajikistan e Turkmenistan vedono sempre in sella i loro forti Capi di Stato, che superano indenni il rischio di “sommosse a cascata” della Primavera Araba e anzi sembrano consolidare le posizioni.

Il Presidente kazako Nursultan Nazarbaev è stato rieletto per il suo quarto mandato consecutivo in Aprile, con oltre il 95 per cento dei voti: l’opposizione ha boicottato il voto e l’Osce ha preso atto di una condizione democratica non proprio ben sviluppata, ma nulla di più è accaduto.

Nazarbaev, inoltre, si è assicurato la possibilità di un leadership duratura ottenendo che la Costituzione fosse emendata ad personam, eliminando i limiti a sue future candidature. Inoltre, il 15 Gennaio 2012 si sono svolte anche le elezioni per il Parlamento: anche in questo caso i limiti istituzionali rilevati sono tanti, e il tentativo di democratizzazione rimane quantomeno superficiale (la pagina dell’Osce dedicata a questa tornata elettorale).

Il collega turkmeno Gurbanguly Berdymukhammedov ha fatto anche meglio pochi giorni fa, battendo i concorrenti (dello stesso partito) con il 97 per cento dei voti e parecchie riserve degli osservatori internazionali. C’è però da dire che queste elezioni sono solo le seconde dal 2006, cioè dalla morte di Saparmyrat Niyazov (unico Presidente dall’indipendenza, conseguita nel 1990), le prime con più candidati.

I Presidenti di Tajikistan (Emomali Rakhmon) e Uzbekistan (Islam Karimov) non dovranno confrontarsi con elezioni rispettivamente prima del 2013 e del 2014 (ma forse l’uzbeko potrebbe dimettersi prima del termine, per motivi di età e salute, designando il successore).

Solo il Kyrgyzstan ha mostrato una certa discontinuità, con le elezioni di ottobre, che hanno visto vincere Almazbek Atambaev in una contesa elettorale ampia e combattuta. Ricordiamo che solo questo paese ha vissuto di recente una rivoluzione, nel 2010, rimanendo però un centro di instabilità politica e sociale nell’area.

Sebbene l’Asia Centrale soffra di problemi simili a quelli che hanno scosso e scuotono i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente (povertà e forte disagio sociale, corruzione, governi dal pugno duro, spesso dittatoriali, e non solo), questa regione non sembra prona a ripercorrere le orme e a subire il contagio delle tante “primavere” recenti.

I precedenti di sommosse e contrasti in Kyrgyzstan, Ucraina, Georgia hanno già fornito delle lezioni ai governi locali (e alla Russia, che rimane la potenza con maggiore influenza sulla regione) per prevenire esplosioni incontrollate.

Inoltre ci sono interessi importanti che accomunano i paesi dell’area: contenimento del fondamentalismo islamico, gestione delle risorse energetiche e naturali regionali, iniziative di mercato comune e di sicurezza e, non da ultimo, due grandi attori, due potenti – Russia e Cina – a contendersi i favori e sostenere i governi. Fattori stabilizzanti, insomma.

Non bisogna però sottovalutare quello che è accaduto anche di recente, come le sommosse di Zhanaozen, in Kazakhistan, che nel dicembre 2011 hanno causato 16 morti; in quell’occasione le violenze sono nate da una dura protesta di lavoratori contro un’azienda che estrae petrolio, protesta che ha presto coinvolto le istituzioni, in particolare rispetto al diritto di voto delle popolazioni locali alle elezioni parlamentari (tuttora limitato).

Il fatto che in una zona relativamente ricca ci siano proteste è indice di un disagio che non era prima emerso. Sembra che in merito siano state avviate diverse iniziative (sia giudiziarie, nei confronti dei vertici politici e di polizia locali, che a livello centrale, per valutare soluzioni di “apertura democratica”), e che quindi la situazione sia dinamica anziché votata allo scontro. Da monitorare.

Non è un caso che il decimo anniversario della Shanghai Cooperation Organization (SCO), importante aggregazione regionale per la sicurezza guidata da Mosca e Pechino, si sia svolto ad Astana (Kazakhistan), e non è indifferente che la riunione abbia prodotto importanti novità dal punto di vista dell’espressione di posizioni comuni: una dichiarazione congiunta di opposizione al progetto di “scudo antimissile” americano in Europa, che è stata sottoscritta per la prima volta dalla Cina.

Per la cronaca, c’era anche Ahmadinejad, in uno dei pochi consessi internazionali dove ha avuto parecchio spazio per esprimere i suoi concetti più estremi; c’è anche da notare che il Pakistan ha dichiarato di voler entrare a pieno titolo nel gruppo, segno comunque di un’aggregazione che evidentemente acquista peso e stabilità.

E poi c’è l’Afghanistan, uno dei maggiori rischi per i paesi dell’Asia Centrale, soprattutto in vista dell’uscita della Nato dal paese nel 2014. Vi sono infatti i dubbi legittimi sulla tenuta di Karzai nel “dopo Nato”, timori fondati di crescente instabilità e mancanza di controllo del territorio, che inevitabilmente porterà a una più facile circolazioni di armi, oppio, gruppi di insorti ed estremisti (nel 2011 ci sono stati due attentati terroristici in Kazakhistan, il pericolo, insomma, è reale), oltre al rischio di contrasti interetnici. Prospettive tutt’altro che incoraggianti, anche perché, se dovesse accendersi un conflitto in Iran, la regione si troverebbe con un altro fattore esplosivo dietro casa, anzi, dentro casa.

La terra
è il primo affare, della Cina ovviamente. Nel 2011 il Tajikistan ha chiuso una vecchia disputa territoriale con Pechino (circa 1000 kmq nei monti del Pamir ceduti alla Cina), facilitando il rilancio degli investimenti cinesi nel poverissimo paese, soprattutto nei settori chiave dell’energia e delle infrastrutture.

C’è poi il Tapi, Trans Afghan Pipeline, grande “progetto geopolitico” che dovrebbe portare il gas dal Turkmenistan in India, attraversando Afghanistan e Pakistan. Il progetto è stato lanciato nel 2010, ma al momento rimane nel novero delle belle speranze: nulla di rilevante nel 2011, e il 2012 non dovrebbe portare grandi novità.

Ben più concreta e stabile è invece la “custom union” nata tra Russia, Bielorussia e Kazakhistan, a cui si è aggiunto di recente il Kyrgyzstan, con il Tajikistan in attesa. L’accordo consentirà una maggiore integrazione delle economie coinvolte, e quindi un più stretto legame alla Russia e a Putin che la promuove.

Una curiosità può infine essere di interesse, se non altro per comprendere come la regione acquisti attenzione sulla scena internazionale: nel 2011, durante la raccolta del cotone in Uzbekistan (uno dei maggiori produttori al mondo), circa 60 tra le maggiori aziende mondiali che vendono prodotti in cotone (tra cui Walt Disney, H&M, Adidas) hanno deciso di boicottare la produzione uzbeka, pressando, insieme a iniziative delle Istituzioni europee, affinché i bambini non vengano impiegati sui campi.

Il Kyrghyzstan ha dedicato nel 2011 al primo ministro russo un picco di montagna, alto 4500 metri. Putin ha superato Eltsin (3500 metri), ma rimane ben dietro a Lenin (7000 metri).

È un banale evento, certo, ma può essere anche una metafora della forza che la Russia può esprimere in questo momento storico nella regione. La Russia, come detto, rimane ancora l’attore principale dell’area.

I cinque “Stan” però, che hanno festeggiato l’anno scorso i 20 anni di indipendenza dall’Unione Sovietica (1991), nel tempo hanno assunto posizioni via via più autonome dalla nuova Russia, sviluppando una politica multi-vettoriale, come spesso sottolineato dai loro leader.

Sebbene dunque tale indirizzo caratterizzi le dichiarazioni politiche, non esiste al momento una cooperazione tale da rafforzare questi intenti, che sembrano spesso un modo per “alzare il prezzo”, a scapito di una maggiore integrazione che potrebbe aiutare la stabilità sia politica che economica. Attualmente sembra quindi mancare sia un “patronato” forte che un reale tentativo di indipendenza.

La effettiva calma del 2011 può non essere scontata nel 2012: rimangono infatti aperte le “solite” questioni, rispetto alle quali il 2011 non ha segnato passi in avanti. Instabilità politica in Kyrgyzstan, economia estremamente precaria in Tajikistan, rischi di successioni non democratiche in Kazakhistan e Uzbekistan, insieme ad un contesto di vicinato imprevedibile (Afghanistan e Iran), sono dunque i maggiori punti di attenzione per l’anno in corso.

[Questo articolo è apparso sul Caffè geopolitico, associazione culturale e rivista online di politica internazionale. Foto credit: kippslane.blogspot.com]