Siamo ufficialmente abitanti del villaggio di Bollophur, periferia di Santiniketan, periferia di Bolpur, a tre ore da Calcutta, Bengala Occidentale. Questi sono i nostri diari.
Siamo tornati in Italia da più di un mese, per un tanto agognato periodo di ricarica. Ricarica di batterie psicologiche e nervose, completamente esaurite intorno alla fine di luglio quando di fronte alla funzionaria della pubblica amministrazione di Suri, ridente capitale del nostro distretto, abbiamo scoperto che le suppliche di rinnovo del visto non erano state accolte dai piani alti dell’ufficio visti di Delhi.
Che nemmeno parlano in bengali, ha notato costernata la funzionaria di cui sopra dopo sessant’anni vissuti con inerzia a perdere scartoffie di visitatori stranieri.
Il sollievo di rimettere finalmente seimila chilometri tra noi e la burocrazia indiana è stato pari solo alla prima pizza post atterraggio, una tempesta di "sapori nostri" accolta dal nostro sistema digerente, ormai bengalesizzato, con quasi una settimana di cacarella.
Ma dopo una quattro stagioni, mai cacarella fu più benvenuta.
Quando torni dall’India dopo quasi un anno ti sconvolgono principalmente tre cose: la pulizia delle città, l’abbondanza sugli scaffali dei supermercati e – se sei un maschio – le ragazze italiane per strada. Se i primi due si spiegano da sé, il terzo punto merita qualche riflessione.
Il concetto di seminudo, abituato all’austerità dei costumi indiani – e hindu, che non hanno nulla da invidiare ai musulmani se non il burqa – viene decisamente rivalutato fino ad accomunare una canottierina smanicata ad un preliminare da film porno.
In India, dove il sesso è stato parte integrante ed accettata della cultura tradizionale per secoli – basti pensare alle sculture erotiche del tempio di Khajurhao – oggi è in vigore una rigidità estetica da integralismo: vietato mostrare parti nude del corpo come la spalla, il braccio, le gambe e men che mai il seno, coprendo addirittura le inevitabili curve sotto il vestito con una sciarpina apposita, uno dei tre pezzi del noto "three pieces", il capo d’abbigliamento tradizionale/casual per le donne indiane.
Discutendo con una nostra amica, la vittima dell’attentato "squeeze and run" che avevo raccontato qualche tempo fa, siamo arrivati alla conclusione che la retromarcia della libido sia stato uno dei lasciti dell’aplomb british, assieme alla burocrazia farraginosa, alle ferrovie, alla Partition e a reati come la blasfemia e la sedizione, recentemente ritornati alla ribalta.
Tornando ai centimetri di pelle mostrati con orgoglio dalle ragazze italiane, se fanno a me quell’effetto dopo solo undici mesi di India, ho pensato, chissà come si deve sentire un bengalese vissuto una vita nel suo villaggio, catapultato una notte a Trastevere con giochini di plastica, accendini e rose da svendere, in mezzo alla "movida" romana.
Il sogno erotico di un bengalese me lo immagino come nella famosa scena di Arancia Meccanica, circondato però dagli avventori del bar Celestino – qualche casco con lo stemma della Roma.