I Diari di Bollophur – L’enigma Kabir Bedi

In by Simone

Siamo ufficialmente abitanti del villaggio di Bollophur, periferia di Santiniketan, periferia di Bolpur, a tre ore da Calcutta, Bengala Occidentale. Questi sono i nostri diari.
Dieci giorni alla Kolkata Book Fair 2012 sono un’esperienza che si ha molta fretta di dimenticare. Tornati nella nostra isola felice di Bollophur, uno l’odore di marcio dei fiumiciattoli attorno allo spiazzo della fiera del libro li vuole dimenticare e basta.
Vuole dimenticare i corvi che la mattina alle 6 ti svegliano ancora prima che il traffico di Calcutta riprenda ad intasarti le orecchie e le narici, la lotta per trovare spazio in autobus, le spintonate sistematiche ogni qual volta, per qualsiasi banale motivo – all’entrata della fiera come in fila per comprare il latte – si crea una vaga idea di coda, un concetto che in India è ignorato in senso verticale.
Dall’ultimo dei rikshawalla al professore universitario.

La fila diventa un esercizio di forza subdolo, sono spinte alla cieca rivolte contro l’umanità che ti circonda la quale, però, non viene degnata nemmeno di uno sguardo.
In India ti spingono senza nemmeno guardarti.

Poi i tassisti che si rifiutano di portarti dove devi andare così, perché non gli va, e allora uno rimpiange la marzialità dei tassisti cinesi, educati negli anni a non questionare, eseguire gli ordini, salvo in condizioni climatiche avverse come in caso di pioggia.
Ma almeno in Cina, quando piove, il tassista evita proprio di fermarsi, non ti illude.
Mentre in India si ferma, sente dove vuoi andare e se non gli va – o non ci guadagna, ma allora decade proprio il concetto di servizio pubblico, e i tassisti dovrebbero essere dei broker a Wall Street, non dei tassisti – dicevo, se non gli va, ti guarda disgustato dalla tua richiesta e se ne va.

E tu rimani lì, sedotto ed abbandonato, a respirare lo smog o ad accenderti sigarette.

Insomma uno certe cose le vuole dimenticare – anche se tra un paio di giorni sarò di nuovo a Calcutta, e a dimenticar due volte fai il doppio della fatica – poi però parli su Skype con un amico e gli dici di Kabir Bedi e lui ti dice “Eh no, un pezzo su Sandokan lo devi fare!” Ma no, guarda che Kabir Bedi è solo la punta dell’iceberg, ho un pezzo in testa ma rischio di rovinare i rapporti istituzionali col consolato (quali rapporti poi? Boh), ma lui insiste, e alla fine ok. Sto pezzo su Kabir Bedi lo faccio.

Che c’entra Kabir Bedi col padiglione italiano alla Kolkata Book Fair? Difficile dirlo, ma Sandokan presenziava tra gli ospiti d’onore chiamati all’inaugurazione. C’era anche Severgnini, che due o tre cose sull’Italia le poteva dire e le ha dette, ma Kabir Bedi, eroe sexy degli anni ’70 – con tutto il rispetto, trattandosi di una Fiera del Libro – che c’entrava?
Si scopre che Kabir – oltre la settantina, una montagna, accompagnato da fidanzata indiana molto più giovane – è stato raccattato all’ultimo al Festival della Letteratura di Jaipur la settimana precedente (e anche lì: che c’entra Kabir Bedi col Festival della Letteratura di Jaipur?) e gli è stato detto: “Kabir, ti paghiamo volo e pernottamento all’Oberoi, vieni un paio di giorni?

Kabir ha detto ok, si è fatto scarrozzare con le macchine istituzionali in dotazione al consolato italiano di Calcutta, si è fatto fare le foto, ha mangiato e dormito all’Oberoi (io l’ho visto solo da fuori l’Oberoi, e so che farsi lavare e stirare due capi di vestiario dal service dell’hotel costa come un mese di affitto qui a Bollophur) e dopo due giorni se n’è andato.
Che giustamente avrà pensato: “Ma che c’entro io con la Kolkata Book Fair?

Sospendendo ogni valutazione personale sull’uomo Kabir Bedi, che personalmente mi è sembrato anche abbastanza affabile, scopro su Wikipedia che nel 2010 è stato nominato Cavaliere Ordine al Merito della Repubblica Italiana, dietro proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La cerimonia si è svolta però a Mumbai, dove Kabir ha ricevuto i paramenti cavallereschi dall’ambasciatore italiano.
Se ho capito bene, Sandokan dovrebbe essere Cavaliere assieme a queste persone qui. Mica la pizza.

In questo momento ho un’illuminazione: e se Kabir Bedi fosse stato invitato come personificazione in carne ed ossa del mito letterario creato da Emilio Salgari più di 100 anni fa? E’ un’ipotesi, ma il dubbio rimane.

Tornando alla fiera, ci sono poi altre storielle correlate che mi sono arrivate grazie ad un incessante lavoro di gossipping, alternato alla mia mansione di volontario allo stand italiano. Una posizione di responsabilità che prevedeva principalmente due compiti: convincere la clientela bengalese ad acquistare corsi d’italiano o antologie di poesia italiana tradotte in inglese; far sfollare la massa creatasi attorno a me o a Carola per motivi assolutamente lontani dall’interesse culturale e letterario.

C’è, ad esempio, l’Invitato arrivato dall’Italia che viene fatto alloggiare al Taj, hotel comunque di lusso, ma che il giorno dopo si lamenta con l’organizzazione e si fa spostare all’Oberoi assieme agli altri ospiti reputati evidentemente più importanti.
Incontri mondani simili, ho imparato, sono capaci di far emergere il peggio dell’Invitato, che è proprio un genere antropologico a sé, dovrebbe essere studiato nelle università.

Oppure c’è l’Invitata che vola in business con una compagnia mediorientale ed all’arrivo si lamenta che i sedili erano scomodi e l’aereo traballava troppo, facendosi cambiare la prenotazione del volo di ritorno con una compagnia più consona al suo rango.
Tutto – prendendo in prestito un cavallo di battaglia del grillismo – pagato coi soldi del contribuente.

Ci sono poi gli italiani dell’imprenditoria a Calcutta terrorizzati dai racconti di una stagista del consolato che si muove per la città coi mezzi pubblici – “Ma davvero prendi l’autobus?!” – o quelli che insultano i camerieri un po’ impacciati di un bar di lusso del centro, una specie che lasciata libera di scorrazzare in lungo e in largo per il globo vanifica puntualmente ogni sforzo di rinnovo dell’immagine dell’Italianità.
O forse, vista dall’altra parte, la conferma.

Esempio.
Signora bionda sulla quarantina, dopo una serie di improperi contro il bengalesino che alla domanda “Can we seat outside?” aveva risposto “No” – ma probabilmente non aveva nemmeno capito – si alza stizzita e si accende una sigaretta. Arriva la security e le spiegano che deve fumare fuori dal cortile davanti al locale, differenza di alcuni metri, ma lei non vuole sentire ragioni.
Ma stiamo scherzando?! Io fumo dove e quando voglio”, avrà pensato.

La signora – jeans attillato, tacchi, piega impeccabile, scarpa col tacco – continua nel turpiloquio respirando ampie boccate dalla sigaretta di marca straniera mentre il compagno, businessman piacente nordico del tipo “parlo inglese con un po’ di strascico così non si vede che sono di Legnano e ho la battuta sempre pronta, sono simpaticissimo” ridacchia a gambe accavallate seduto al bistrot.

Ah questi indiani, non impareranno mai.

Un’altra cosa che ho imparato: la soglia di sopportazione dell’indianità, ovvero la vittoria della pazienza e del relativismo culturale contro l’istinto immediato di insultare in italiano chiunque stazioni nell’arco di due metri dal soggetto in questione, è direttamente proporzionale al tempo di permanenza in India e alla temperatura percepita.
Mi piacerebbe scrivere questo pensiero in formula matematica, ma non ne sono capace.

E poi, diciamocelo, l’India, per l’Invitato, spesso fa solo da contorno alle strette di mano, al compulsivo scambio di biglietti da visita e al fantasticare sui grandi progetti che si potrebbe fare insieme, noi Invitati, ma che alla fine, nel 90% dei casi, vengono accantonati non appena saliti sull’aereo.
Tanto gli Invitati prima o poi si rivedono, magari a Pechino o a Stoccolma, e allora ci si metterà tutti quanti seduti in un bar del centro a ricordare quella volta a Calcutta, alla Fiera del Libro, quando il cameriere non mi faceva fumare.
Ci saranno le risate, altri biglietti da visita, teniamoci in contatto, ma sempre con una domanda ricorrente che non riesce a trovare una risposta.

Ma alla fine, Kabir Bedi, cosa c’entrava con la Kolkata Book Fair?