Hu Shuli lascia. La fine di un’era editoriale in Cina

In by Simone

Hu Shuli ha lasciato la direzione di Caijing, la pubblicazione economica più influente della Cina. Dopo un mese di indiscrezioni e voci, che hanno spinto i due terzi della redazione a rassegnare le dimissioni, l’ufficialità della notizia ha gettato nello scompiglio il mondo del giornalismo cinese. La Cina rischia così di perdere una delle voci più libere nel suo panorama editoriale. Fondata nel 1998 dalla stessa Hu Shuli e dal banchiere Wang Boming, Caijing si è da subito caratterizzata per la sua indipendenza e per la volontà di portare avanti un giornalismo investigativo e di denuncia, che ha fatto guadagnare alla sua cinquantaseienne direttrice,  l’appellativo di “donna più pericolosa della Cina”. Un titolo conquistato sul campo, grazie ad inchieste e scoop esplosivi.

Nel 2000 fu proprio Caijing a denunciare alcuni casi di insider trading ad opera di alcuni potenti uomini d’affari del paese. E fu ancora la rivista diretta da Hu a condurre una serie di inchieste sulla SARS nel 2003 e a investigare sulle ragioni del crollo di numerose scuole – causa della morte di migliaia di bambini – in seguito al devastante terremoto che ha colpito la provincia del Sichuan nel maggio 2008. Inchieste scomode, ma gradite al pubblico, che hanno fatto diventare Caijing magazine la rivista economica più venduta del paese. Un successo che non ha impedito il sorgere di contrasti tra Hu e la proprietà del giornale, il colosso di Hong Kong Stock Exchange Executive Council (Seec). Contrasti che Hu avrebbe voluto appianare allargando la compagine azionaria e favorendo l’ingresso di nuovi investitori, così da limitare il potere di controllo della Seec.

Un progetto poco gradito all’attuale maggioranza, che preferirebbe una linea meno combattiva e più incline alle esigenze dell’establishment. Per far valere la propria posizione, la Seec ha fatto pressione su uno dei punti vitali dell’editoria, la pubblicità, sottraendo alla rivista la maggior parte degli introiti pubblicitari. Troppo per la combattiva Hu Shuli, un passato da Guardia Rossa durante la Rivoluzione culturale e da simpatizzante degli studenti che manifestavano a piazza Tiananmen nel giugno 1989. Con lei sono pronti a lasciare Caijing almeno settanta giornalisti che con lei potrebbero dar vita ad una nuova pubblicazione chiamata Caixin. Le dimissioni di Hu sono state definite “un disastro” da David Bandurski, direttore del China Media Project dell’Università di Hong Kong, che ha visto tra i suoi ricercatori anche la signora Hu. Un riferimento al recente discorso del responsabile della propaganda del Partito comunista, Li Changchun, che in occasione della “Giornata del giornalista, ha esortato i cronisti a rafforzare il controllo del Partito sull’informazione. Discorso al quale ha fatto seguito l’inchiesta del South China Morning Post che, citando una ricerca di un avvocato pechinese, traccia un quadro desolante del giornalismo cinese, caratterizzato dal preoccupante aumento dei casi di giornalisti coinvolti in fenomeni di corruzione.

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[Pubblicato su Il Fatto Qutodiano del 17 novembre 2009]

[Picture from english.caijing.com.cn]