Hong Kong – La campagna elettorale degli scandali

In by Simone

Tra scandali, conflitti di interessi, amanti e figli illegittimi ad Hong Kong si è entrati nel pieno della campagna elettorale. Si vota il 25 marzo e nel 2017 l’ex colonia britannica potrebbe essere il primo esperimento cinese di suffragio universale. E le foto dei candidati di Milo Sciaky*.Il 25 marzo a Hong Kong si voterà per il prossimo Chief Executive. Non per il sindaco, non per il presidente, né per il governatore, ma per il Chief Executive, l’Amministratore delegato, proprio come se Hong Kong fosse un’azienda. Il titolo di Chief Executive ha sostituito quello di governatore nel 1997, quando Hong Kong è tornata sotto l’egida della Cina.

E non saranno nemmeno i comuni cittadini a votare. Secondo la Basic Law, la costituzione di Hong Kong, l’elezione del presidente non è diretta. Toccherà all’apposito Comitato elettorale, costituito da 1200 cittadini (circa lo 0,01 per cento della popolazione di Hong Kong) gran parte dei quali pro-Pechino.

Questi ultimi sono nominati tra rappresentati di diversi settori dell’economia, di diversi distretti territoriali, di organizzazioni religiose oppure direttamente dal governo.Queste elezioni sono particolarmente importanti per l’ex tigre asiatica e regione amministrativa speciale.

I risultati saranno indicativi di come la Repubblica popolare – peraltro anch’essa intenta a prepararsi alla nuova generazione di leader che prenderà il potere il prossimo ottobre – gestirà la fase della transizione democratica ad Hong Kong che dovrebbe avvenire nel 2017.

Secondo quanto deciso nel 2007 dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale popolare,  per quella data lo Chief Executive di Hong Kong sarà espresso attraverso suffragio universale. Hong Kong quindi, nell’ambito della formula “un paese, due sistemi”,  potrebbe essere il primo esperimento cinese di suffragio universale.

Il momento è delicato anche perché gli abitanti di Hong Kong hanno paura che la loro città sia assorbita dalla Cina continentale e perda le sue specificità e sono inoltre in una fase di completo rigetto per una classe politica che si è rivelata corrotta e poco attenta ai problemi dei cittadini.

Il Chief Executive attualmente in carica, Donald Tsang, ha già espletato i due mandati che gli sono concessi per legge e ha completamente perso la fiducia del suo popolo quando si è scoperto che ha accettato “passaggi” su jet privati e yacht da alcuni imprenditori e che ha affittato un attico di lusso a Shenzhen dall’uomo di affari Bill Wong Cho-bau, uno dei maggiori investitori nell’azienda televisiva Digital Broadcasting Corporation. E non sono casi isolati.

Le inchieste giornalistiche degli ultimi mesi hanno portato alla luce un ambiente politico sicuramente troppo vicino a quello degli affari leciti e, a volte, illeciti. È di pochi giorni fa l’inchiesta del quotidiano Ming Pao che ha provato che nel 2007 il capo di governo aveva soggiornato in una suite di un casinò di Macao generalmente riservata ai pezzi grossi dei loschi ambienti legati al gioco d’azzardo.

L’Amministratore Tsang ha preso una serie di misure per cercare di ricostruire la fiducia del pubblico nella sua persona. Ha accettato interviste con i media e si è presentato in Legco, la camera unica del Consiglio legislativo di Hong Kong per chiedere scusa e rispondere a domande. Ma la popolazione non sembra convinta.

Un sondaggio della scorsa settimana del South China Morning Post ha evidenziato come quasi il 60 per cento dei residenti non è soddisfatto delle spiegazioni fornite e vorrebbe le sue dimissioni. Dimissioni che Tsang non è disposto a dare, tanto più che il 1 luglio sarà sostituito dal vincitore delle prossime elezioni.

Per il suo posto gareggiano Henry Tang e Leung Chun-ying dell’Alleanza pro-Pechino e Albert Ho dell’Alleanza pro-democrazia, non spalleggiato dal Governo centrale e con poche possibilità di vittoria. Fino a qualche settimana Henry Tang era indubbiamente il favorito, forse anche per le origini della sua famiglia, molto vicina alla cerchia dell’ex Presidente della Repubblica popolare Jiang Zemin. 

Ufficialmente comunque il governo centrale appoggiava entrambi i candidati pro-Pechino, paragonando la loro corsa per il seggio da Chief Executive dell’ex città stato, a “una corsa a due cavalli”.

Nell’atmosfera non esattamente democratica che aleggia su questa campagna elettorale, invece di ingaggiare dibattiti politici i due candidati supportati da Pechino si infangano l’un l’altro. Le ultime settimane sono state un continuo di scandali.

Tang è stato accusato di avere un amante, un figlio illegittimo e un sotterraneo abusivo e  invece di ritirarsi dalla gara come chiedeva a gran voce l’opinione pubblica, ha mandato la moglie a scusarsi pubblicamente di tutto e ha accusato il suo sfidante di altre nefandezze.

Leung, giudice di una gara d’appalto per edificare in una delle zone più esclusive della città, non avrebbe dichiarato i suoi legami con una delle aziende che partecipava al bando. Un chiaro conflitto di interessi a cui si aggiunge, ancora più grave, l’organizzazione di una cena  per la campagna elettorale in cui era presente un membro delle triadi.

In ogni caso Leung Chun-ying è ora convinto di vincere perché, nonostante le accuse che lo riguardano in prima persona, sembra non essere oggetto della campagna al vetriolo che ha investito il candidato Tang. Ha quindi dichiarato che non governerà senza invitare il suo avversario chiave Henry Tang e alcuni dei suoi sostenitori ad unirsi al suo gabinetto.

Ma è opinione diffusa che Tang continui ad essere il favorito. Con buona pace dell’opinione pubblica e dei sondaggi di opinione. Secondo gli analisti, il rifiuto di Tang a fare un passo indietro, potrebbe significare solo che non ci sarà una chiara decisione nella votazione marzo che richiede al vincitore di ottenere almeno la metà più uno dei voti (601).

Questa possibilità, secondo alcuni, riapre le speranze al terzo candidato in quanto alcuni sostenitori di Tang – tra cui il presidente onorario del Partito liberale, James Tien Pei-chun – hanno promesso di votare scheda bianca se Tang non riuscisse a colmare il divario con Leung nei sondaggi d’opinione, ormai significativo.

Ma Albert Ho non sembra convinto e ha addirittura dichiarato di non sapere quanti deputati affini all’alleanza pro-democrazia avrebbero votato scheda bianca, ma che in ogni caso avrebbe rispettato la loro decisione in quanto espressione di protesta contro la “cerchia ristretta” di elettori.

Albert Ho dell’alleanza pro-democrazia. Foto di Milo Sciaky*

Albert Ho dell’alleanza pro-democrazia. Foto di Milo Sciaky*

Albert Ho dell’alleanza pro-democrazia. Foto di Milo Sciaky*

Leung Chun-ying dell’alleanza pro-Pechino. Foto di Milo Sciaky*

Leung Chun-ying dell’alleanza pro-Pechino. Foto di Milo Sciaky*

Leung Chun-ying dell’alleanza pro-Pechino. Foto di Milo Sciaky*

* Nato nel 1983 a Milano, MiLo Sciaky si è occupato di news per l’agenzia Ansa dal  2009 al 2011. Attualmente produce reportages come fotografo indipendente tra l’Italia e Hong Kong. Dal 2012 il suo lavoro è distribuito dall`agenzia Luz. Il suo sito è www.milosciaky.it