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Guerra dell’informazione sullo Stretto di Taiwan

In Relazioni Internazionali by Redazione

IL LIMITE IGNOTO. Proseguono le esercitazioni militari cinesi, e proliferano le fake news. Il ministro degli Esteri di Taipei Joseph Wu: «Temo che Pechino possa davvero lanciare un’offensiva»

«Una tempesta è in arrivo nella regione dell’Indo-Pacifico». Il premier di Singapore Lee Hsien-loong esprime meglio di tutti i sentimenti dell’Asia di fronte alle turbolenze sullo Stretto di Taiwan. Taipei è in prima linea, certo, ma ora sono in tanti a essere in fibrillazione. La visita di Nancy Pelosi prima e le vigorose esercitazioni cinesi poi stanno avendo un impatto rilevante sui paesi della regione. La sfida narrativa è già chiara. Washington punta il dito contro la reazione «eccessiva» e «irresponsabile» di Pechino per una visita che lo stesso Joe Biden ha sottolineato che «ha scelto di fare lei», personalizzando il tour taiwanese della speaker della Camera americana. Pechino definisce le sue contromisure «ragionevoli» e utilizza l’episodio come prova che ha da sempre avuto ragione a indicare negli Usa i portatori di conflitto, coloro che «gettano benzina sul fuoco».

IN MEZZO sono in tanti. Lee parla di «questioni intrattabili, profondi sospetti e contatti limitati», con la possibilità che «errori di calcolo» o «piccoli incidenti» possano rendere le cose «di gran lunga peggiori». Il fronte più immediato dove questi incidenti possono verificarsi è senz’altro Taiwan. Anche ieri sono proseguite le esercitazioni militari cinesi intorno all’isola, nonostante il primo annuncio dell’esercito popolare di liberazione avesse fissato in domenica a mezzogiorno il termine delle attività. Così non è stato, anche perché come emerso nei giorni scorsi è stata approntata una settima area rispetto alle sei precedentemente svelate dal comando orientale, quella al largo della costa orientale di Taiwan. Il ministero della Difesa di Taipei ha comunicato di aver rilevato la presenza di 13 navi da guerra e 39 aerei da combattimento intorno all’isola nella giornata di ieri, sottolineando che le forze armate locali hanno risposto «alzando i caccia e dispiegando unità navali e i sistemi missilistici». Si tratta comunque di un numero nettamente inferiore rispetto alle 14 navi e 66 aerei di domenica. Tanto che il traffico aereo nella giornata di ieri si è riavvicinato alla normalità pre Pelosi. L’esercito di Pechino ha comunicato che sono state svolte operazioni congiunte anti sottomarino e simulazioni di attacchi marittimi.

NON È CHIARO se i test militari proseguiranno ulteriormente, ma i prossimi giorni sono ritenuti decisivi. Oggi e giovedì sono in programma due esercitazioni a fuoco vivo dei militari taiwanesi nel sud dell’isola. Un’eventuale sovrapposizione dei test potrebbe segnalare un ulteriore desiderio di assertività da parte della Repubblica Popolare. «Temo che la Cina possa davvero lanciare una guerra», ha detto il ministro degli Esteri taiwanese Joseph Wu alla Cnn, ma «quello che sta facendo in questo momento è cercare di spaventarci».

BIDEN ha detto invece di essere «preoccupato» per i «movimenti» della Cina. Aggiungendo: «Ma non credo faranno altro». Per ora, non sembra esserci la volontà di cercare una escalation militare immediata. Domenica, quando una decina di navi dell’una e dell’altra parte si sono “studiate” a poca distanza è prevalso il controllo. Scontro aperto invece su informazione e retorica, che in questo caso possono avere ricadute molto concrete sulle resistenze dei taiwanesi. Secondo il governo di Taipei dal 1° all’8 agosto sono stati rilevati 272 messaggi controversi e fake news. Tra queste vengono incluse le voci circa l’ingresso di navi cinesi nelle nave territoriali interne taiwanesi e la mobilitazione di opere del Museo Nazionale di Taipei verso Usa e Giappone.
La sensazione è comunque che Pechino voglia regolarizzare le manovre militari intorno a Taiwan, per dare seguito alle rivendicazioni di sovranità sulle acque dello Stretto reiterate poche settimane fa. Elemento che spaventa non solo Taipei ma anche gli altri attori regionali, visto che Antony Blinken ha garantito che le navi militari americane torneranno a salpare quelle acque.

I MALIGNI suggeriscono che la missione di Pelosi può essere servita non solo a riportare la Casa bianca su una dinamica di confronto con Pechino, come detto al manifesto dall’analista taiwanese Kuo Yu-jen nei giorni scorsi, ma anche come esca per provare a compattare il fronte dei partner asiatici degli Usa dopo la prevedibile reazione cinese. Missione compiuta da tempo col Giappone, convinto ulteriormente dalla caduta di missili balistici Dongfeng nella sua zona economica speciale. Segnali dall’India, che conferma le manovre congiunte di ottobre a meno di 100 chilometri dal confine conteso con Pechino, teatro di violenti scontri nella primavera del 2020. Il presidente delle Filippine Marcos Jr. ha definito «cruciali» i rapporti con Washington non più tardi di sabato incontrando Blinken. «Singapore deve prepararsi per un futuro meno pacifico e stabile» ha detto Lee. Sembra che a prepararsi sia tutta l’Asia.

Di Lorenzo Lamperti

[pubblicato su il manifesto]