Giappone – We are all radioactive

In by Simone

We are all radioactive racconta come la precedente esistenza di un’intera comunità che viveva sul mare sia stata spazzata via dal terremoto. Un documentario a puntate su un gruppo di surfisti che si è unito ai pescatori per guidare la ricostruzione. E un esperimento di crowd-funding.
I danni dello tsunami e dell’incidente di Fukushima sono stati (e sono ancora) del tutto evidenti sulla terraferma: le immagini delle case e delle coste devastate dalla furia dell’acqua sono vivide nella memoria. Ma la catastrofe ha sconvolto anche la vita di chi, per lavoro o passione, trovava nel mare una fonte di sostentamento e un motivo di vita.

La giornalista Lisa Katayama e il regista Jason Wishnow ce lo ricordano con il loro documentario a episodi “We are all radioactive”. Non solo un film, in realtà, ma anche un esperimento di crowd-funding, dal momento che ogni singolo episodio viene messo online solo dopo esser stato interamente finanziato attraverso la piattaforma Indiegogo.

We are all radioactive racconta come la precedente esistenza di un’intera comunità che viveva sul mare sia stata spazzata via dal terremoto. La cittadina di Motoyoshi, a circa 150 chilometri da Fukushima, è composta da pescatori e surfisti che faticano a dare un senso a ciò che si trovano a fronteggiare, ma che stanno facendo il possibile per tornare alla normalità.

L’idea del documentario nasce quando la giornalista e il regista raggiungono Motoyoshi un anno fa, d’estate. Katayama spiega a “The Atlantic” che avevano sentito parlare del posto da un amico, Cameron Sinclair, fondatore del gruppo no profit Architecture for Humanity.

Sinclair aveva spiegato loro che stava accadendo qualcosa di insolito: in assenza di un vero e proprio sostegno dello stato, un gruppo di surfisti si era unita agli abitanti e ai pescatori per guidare la ricostruzione e cercare di sopravvivere anche senza le tradizionali attività di pesca.

Katayama, che collabora con “Wired” e il “New York Times Magazine”, giudicò la storia affascinante e pensò di scriverci un articolo. Si trovò a viaggiare con il collega Wishnow, con il quale provarono a verificare se c’erano i margini per realizzare del materiale audiovisivo.

Così”, continua Katayama, “decidemmo di riprendere la quotidianità di queste persone. E quando ce ne andammo da Motoyoshi, lasciammo agli abitanti alcune telecamere digitali così che potessero continuare a raccontare ciò che accadeva, stavolta dal loro punto di vista”.

Il risultato è una testimonianza realizzata per il 50 per cento da Katayama e Wishnow e per il restante 50 per cento dai residenti stessi.

Guarda il trailer

Nei singoli episodi viene dato risalto alle storie individuali, come quella di Autumn, surfista americana residente a Sendai, sposata con un altro surfista, Yuji, che nel primo spezzone (disponibile online l’11 marzo, a un anno esatto dal terremoto) racconta di essere tornata a Motoyoshi un mese dopo la sciagura per dare una mano.

Come racconta Autumn, la cittadina era un luogo speciale per il surf, per via dell’incontro di correnti che rendeva unico l’ambiente naturale. Lei e suo marito passavano lì molto del loro tempo libero. Ma il paesaggio ora è spettrale, l’acqua è marrone, inavvicinabile, nessuno sa quali effetti può produrre sull’organismo umano.

Guarda il primo episodio

Nel secondo episodio, Konno, un surfista locale, esprime il suo dispiacere per non poter più solcare con la tavola le acque che conosce fin dalla sua infanzia e, dice che, quando lo stress è troppo alto, si mette in viaggio per arrivare sulla sponda opposta e surfare là dove il mare non è contaminato. C’è poi Kikuchi, pescatore da quaranta anni: non può più andare in mare e ora fabbrica amache. Storie di gente ordinaria, dunque, ma anche interviste ad attivisti, esperti di nucleare, e rappresentanti delle istituzioni.

Guarda il secondo episodio

Fino ad ora sono stati pubblicati solo i primi due episodi, ma sul sito Indiegogo è possibile monitorare le donazioni e così partecipare attivamente con un contributo.

Per Lisa Katayama il fundraising collettivo e la struttura a episodi rappresentano soluzioni innovative per coinvolgere gli spettatori – vista la brevità e l’accesso alla visione tramite Internet – e non saranno le uniche: stanno anche pensando a chat con i protagonisti e a mappe interattive.

Perché, come ha spiegato Katayama a “The Atlantic” lo scopo ultimo del documentario è “Ricordare che un terremoto di magnitudo 9.0 non è solo una breaking news, ma è soprattutto un evento che coinvolge molte persone, riguarda le loro storie personali e la loro capacità di ripresa”.

* Benedetta Fallucchi, dopo una parentesi di attività nel mondo editoriale, si è dedicata al giornalismo. Collabora con alcune testate italiane e lavora stabilmente presso la sede di corrispondenza romana dello "Yomiuri Shimbun", il maggiore quotidiano giapponese (e del mondo: ben 14 milioni di copie giornaliere).

[Scritto per Sky.it]