Tra due giorni il Giappone smetterà di produrre energia nucleare: non capitava da 40 anni. Le aziende nazionali e l’opinione pubblica sono divise sull’opportunità di riprendere in futuro la produzione, mentre l’impennata delle importazioni di energia fiacca l’economia giapponese.
Il 5 maggio verrà spento anche l’ultimo dei 54 reattori nucleari giapponesi in funzione prima della tragedia di Fukushima: è il reattore 3 della centrale di Tomari nell’isola di Hokkaido, la più settentrionale delle quattro isole maggiori che compongono l’arcipelago giapponese.
Dal 6 maggio il Giappone non produrrà più energia nucleare e, secondo quanto annunciato dalla Tepco, i quattro reattori di Fukushima Daiichi saranno classificati come “non operativi”, abbassando a 50 il totale dei reattori utilizzabili nell’arcipelago giapponese.
Un viaggio all’indietro nel tempo. È da 40 anni che il Giappone non si ritrovava sprovvisto di energia nucleare, precisamente dal maggio 1970, quando i due reattori allora esistenti furono provvisoriamente spenti per le operazioni di manutenzione.
Il ministro per l’industria Yukio Edano al momento dell’annuncio ha specificato che si tratta di una sospensione "temporanea", ma nessuno sa quantificare i giorni che ci vorranno per tornare alla produzione di energia.
Nel frattempo, per venire incontro alle necessità energetiche del Paese, il governo ha aumentato le importazioni di combustibile fossile, mentre le compagnie elettriche hanno riattivato temporaneamente vecchie centrali energetiche.
Quello di Tomari era l’ultimo reattore operativo: dei 54 reattori attivi prima di Fukushima nessuno è stato riattivato dopo essere stato spento per i necessari controlli, a seguito delle progressive pressioni che la società civile ha esercitato sulle autorità dopo lo tsunami dell’11 marzo 2011.
E la Tepco, la vituperata compagnia elettrica di Tokyo che ha in gestione anche l’impianto di Fukushima Daiichi, ha reso noto che presto 4 dei suoi reattori, quelli coinvolti nell’incidente, verranno classificati come non più operativi, portando così a 50 il numero di reattori in grado di funzionare in tutto il paese.
Al momento il governo sta discutendo con gli enti locali della prefettura di Fukui affinché si giunga a un accordo per la rimessa in funzione dei reattori 3 e 4 della centrale di Oi.
Il governatore della prefettura – che ospita da sola 13 reattori – e il sindaco di Oi hanno infatti reso noto al governo che certe condizioni devono essere soddisfatte prima di prendere una decisione in merito al riavvio dei reattori: tra queste, la creazione di una commissione di esperti che dia la sua valutazione, nonché il sostegno delle aree confinanti, preoccupate per gli effetti di un’eventuale catastrofe radioattiva.
L’elettricità prodotta dai reattori 3 e 4 di Oi copriva, prima di Fukushima, circa il 2% del fabbisogno energetico dell’intera nazione, secondo dati del Ministero del Commercio e della Federazioni delle aziende elettriche giapponesi, riportati dalla Reuters.
Le prospettive dei servizi elettrici per i prossimi mesi sono allarmanti, anche se Fukushima ha lasciato una cicatrice indelebile e persino le aziende giapponesi – notoriamente votate allo stakanovismo senza freni che mal si adatta alla scarsità elettrica – si sono espresse privilegiando la sicurezza piuttosto che il riavvio dei reattori.
Secondo un sondaggio Reuters Tankan, è di questo avviso il 72% delle aziende (benché il 65% di essa riconosce che dalla sospensione dell’energia nucleare deriverebbero molti danni per la produzione industriale).
D’altro canto l’Istituto giapponese di economia energetica, un’organizzazione di ricerca governativa, ha stimato che il Pil nazionale crescerebbe del 2% se almeno metà dei 54 reattori fermi tornasse a funzionare (in caso contrario, invece, la crescita si attesterebbe solo allo 0,1%).
La questione resta controversa: il Japan Times sottolinea come gli stessi abitanti di Oi siano divisi tra favorevoli e contrari. Se da un lato c’è preoccupazione per i rischi futuri, c’è anche una forte consapevolezza della dipendenza dell’economia locale dal nucleare.
La decisione finale avrà bisogno dell’avallo dei cittadini delle aree coinvolte, ma, evidenzia The Australian, per una decisione serena sarà necessario evitare la farsa che si è verificata a luglio dello scorso anno, quando si speculava sulla riapertura dei reattori di Genkai, nell’isola del Kyushu, al sud del paese.
La compagnia elettrica Kyushu, che gestisce la centrale di Genkai, è stata invischiata in un infamante scandalo che la vedeva protagonista di un’operazione di manipolazione dell’opinione pubblica.
È emerso che gli impiegati dell’azienda venivano istruiti per fingersi comuni cittadini sostenitori del nucleare in diverse riunioni pubbliche e che finte mail pro-nucleare erano state mandate a un programma televisivo.
La sfiducia è alta in tutto il paese: secondo un sondaggio dell’Asahi Shimbun l’80% dei cittadini non si fida delle misure di sicurezza approntate dal governo; mentre un altro sondaggio, stavolta del Nikkei Shimbun, mostra che il 54% dei giapponesi è contrario al riavvio del nucleare.
Con i suoi 54 reattori, che avevano una capacità di generare energia pari a 48.960 Megawatts, il Giappone pre-Fukushima rappresentava il terzo paese al mondo per volume di energia nucleare prodotta (dopo Usa e Francia) e il nucleare copriva circa un terzo del fabbisogno energetico nazionale.
Tokyo stava persino pensando di costruire altre 14 centrali entro il 2030. La realtà oggi è ben diversa, assai meno confortante per il grande colosso industriale e per la sua famelica esigenza di energia. Alla chiusura dell’anno fiscale, nel marzo 2012, la bilancia commerciale giapponese portava il segno meno proprio a causa dell‘impennata dell’import energetico (l’import di gas liquido è aumentato del 52%, quello di petrolio del 23%, secondo il Financial Times).
Di fronte alla scarsità delle sue risorse naturali, il Giappone si riscopre un gigante dai piedi di argilla, dimenticando quella forza e quell’autonomia che il nucleare gli aveva garantito dal 1966 fino allo scorso anno.
Quella in arrivo sarà un’altra estate calda per i giapponesi: già nel 2011 il governo aveva invitato i cittadini a ridurre i consumi elettrici e aveva fissato multe per le aziende che superavano i limiti consentiti.
Insomma: addio ai condizionatori dalle temperature siberiane e bentornati agli abiti freschi e leggeri.
* Benedetta Fallucchi, dopo una parentesi di attività nel mondo editoriale, si è dedicata al giornalismo. Collabora con alcune testate italiane e lavora stabilmente presso la sede di corrispondenza romana dello "Yomiuri Shimbun", il maggiore quotidiano giapponese (e del mondo: ben 14 milioni di copie giornaliere).