Giappone – Il caso Rokudenashiko

In by Gabriele Battaglia

Megumi Igarashi, artista giapponese conosciuta come Rokudenashiko – letteralmente: “ragazza buona a nulla”, deve la sua fama alla sua vagina. E non per particolari caratteristiche fisiologiche. La sua vagina – come simbolo, in realtà del genere femminile – è infatti il tema portante delle sue opere, anzi è diventata essa stessa opera d’arte. La sua opera però è stata considerata oscena dalle autorità e il 24 dicembre scorso è partita l’incriminazione ufficiale. A metà aprile la prima udienza del processo. Per Rokudenashiko la celebrità ha avuto un costo. A inizio dicembre 2014, infatti, Igarashi è stata arrestata con l’accusa è di waisetsu butsu chinretsu ovvero di “esposizione di oggetti osceni”. Un primo ricorso contro la decisione è stato respinto dal giudice che ha concluso che l’imputata “potrebbe fuggire”; la difesa ha così avviato la procedura per richiedere al tribunale distrettuale la pubblicazione delle motivazioni della custodia cautelare.

A stretto giro, il 24 dicembre, è arrivata l’incriminazione ufficiale per oscenità. Ora, con la messa in stato d’accusa, se trovata colpevole, rischia fino a due anni di carcere.
Dopo quasi 20 giorni agli arresti, la donna vuole spiegazioni. “Sono stupita e non riesco a comprendere perché la polizia abbia bollato i miei lavori come osceni”, ha spiegato Rokudenashiko alla stampa.

In una lettera in cui l’artista sfoga la sua rabbia – citata nei mesi scorsi dall’Asahi Shimbun – si legge ancora: “Le mie sono soltanto opere ironiche, dove la vagina è decorata in maniera divertente. Niente di tutto ciò è ‘oscenità‘”.

Il 26 dicembre, la donna è stata liberata su cauzione. Ma ora la attende il processo, la cui prima udienza si terrà ad aprile.

Igarashi continua a difendere il proprio diritto di espressione, allo scopo di smontare il tabù giapponese dell’organo sessuale femminile. Ma il suo impegno, in un paese dove peraltro l’industria della pornografia è estremamente sviluppata e lucrativa, rischia di costarle caro.

Molto spesso [i genitali femminili] vengono chiamati ‘laggiù’ (asoko). Ma per me questa non è nemmeno una parola. Non capisco perché non possiamo chiamarli con il loro nome, come facciamo con le mani, le gambe, gli occhi, la bocca”, ha spiegato ancora all’Asahi l’artista, un passato nel disegno dei manga a settembre – poco dopo la prima perquisizione delle forze dell’ordine nel suo studio e il primo fermo. “Personalmente non ritengo la mia vagina disgustosa, per una donna non è nient’altro che una parte del corpo”.

Tuttavia, già a luglio del 2014 la donna, 42 anni, si era vista irrompere nel suo studio una pattuglia di polizia. Aveva da poco distribuito tra i sostenitori economici di una delle sue opere più recenti la scansione 3D della sua vagina via internet, un atto punibile per legge come waisetsu, oscenità. Era stata arrestata e rilasciata dopo poco. Alla luce di quanto successo nelle ultime ore, quello era solo un avvertimento.

Jake Adelstein, giornalista investigativo attivo in Giappone da almeno un paio di decenni, autore del bestseller sulla yakuza Tokyo Vice, ha scritto in un suo recente editoriale che il caso di Igarashi rientra in un più ampio spettro di politiche repressive avviate dal governo Abe con l’approvazione della legge sui segreti di Stato entrata in vigore questo mese.

L’arresto con l’accusa di connivenza con Rokudenashiko di Minori “Kitahara” Watanabe, proprietaria di un sex shop per sole donne a Tokyo e opinionista per quotidiani e magazine, dichiaratamente anti-Abe, poteva suscitare qualche sospetto.

Tuttavia, forse bisogna fare un passo più avanti e allargare ulteriormente il fuoco. Il recente Gender, Nation and State in Modern Japan (2014) aiuta a delineare una storia della sessualità nel paese-arcipelago. Il quadro generale è quello di milioni di cittadine “estranee all’interno dello Stato nazione”, sottoposte al dominio maschile e ridotte al rango di “risorse” sfruttabili ora per l’uno ora per l’altro obiettivo (il risparmio familiare a fine XIX secolo, l’incremento demografico e la ripresa economica a inizio del XXI).

Ancora una volta più che alla contingenza politica è alla storia che bisogna guardare per capire l’origine dell’ “oscenità” del sesso femminile. Chissà che il caso Rokudenashiko, in questa storia di ingiustizia e disparità, possa costituire un punto di svolta.

[Scritto per East Rivista di Geopolitica; foto credit: bengo4.com]